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Je ne regrette rien (in morte del felquiste Paul Rose)

di Gianni Sartori - 08/04/2013

 

Paul Rose, morto nella sua città natale il 16 marzo 2013, avrebbe compiuto 70 anni in ottobre. Con lui scompare un esponente storico  dell'indipendentismo québécois di sinistra (come Raoul Roy, Louis Riel, George Schoeters, Pierre Callières...). L'ex militante del FLQ aveva trascorso l'infanzia e l'adolescenza in povertà nella periferia di Montréal facendo decine di lavori per pagarsi gli studi. All'epoca i “franco-canadesi” (ma già dagli anni '50 la maggioranza dei francofoni iniziò a definirsi Québécois) subivano una forte discriminazione, sia culturale che sociale. A Montréal, più del 40% dei cittadini viveva attorno alla soglia di povertà e nei quartieri popolari si contavano oltre 300mila analfabeti.

In risposta a questo strisciante apartheid nei confronti dei francofoni, nel 1960 nacque l'Azione socialista per l'indipendenza del Québec. Per scrollarsi di dosso la tradizionale dominazione economica degli anglofoni e assumere in prima persona il governo della propria comunità. Dopo il Partis pris (“formazione politica indipendentista, socialista e laica” sorta dai movimenti studenteschi), nel 1963 venne fondato il Front de libération du Québec che nei circa dieci anni della sua esistenza operò con numerosi attentati contro gli interessi anglofoni pubblici e privati. 

Nella seconda metà degli anni sessanta, dopo aver insegnato matematica e francese, Paul Rose si specializzò nell'educazione dei minori handicappati e successivamente ottenne una laurea in scienze politiche. Il suo radicale indipendentismo si sposò sempre (oltre che con la strenua difesa della lingua francese che all'epoca non godeva dello status di lingua ufficiale nei rapporti tra gli stati della Federazione) con l'impegno a fianco dei più deboli. Collaborò attivamente con il Rassemblement pour l'indépendance nationale partecipando a numerose manifestazioni, compresa quella storica del 24 giugno 1968.

In seguito aveva aderito al FLQ. Il 10 ottobre 1970 prese parte al rapimento di Pierre Laporte, un sequestro che si concluse tragicamente con la morte del “ministro della disoccupazione e dell'assimilazione” come lo definivano i felquistes (militanti del FLQ). Un gesto sicuramente condannabile, ma che va inserito nel clima di aspri conflitti sociali e lotte di liberazione nazionale (dall'Algeria ai Paesi Baschi, dall'America Latina all'Irlanda) caratteristico di quel periodo storico.

Per dovere di cronaca, va ricordato che negli anni novanta due dirigenti storici del FLQ (Pierre Callières e Charles Gagnon) contestarono a uno dei sequestratori, Francis Simard, la possibilità che il commando fosse stato strumentalizzato dai servizi segreti (anche se all'insaputa degli indipendentisti).

Qualche giorno dopo il FLQ rapiva il diplomatico britannico James Richard Cross e i due avvenimenti determinarono quella “crisi di Ottobre” che permise al primo ministro canadese Pierre-Elliot Trudeau di dichiarare lo stato di guerra, inviare nel Québec un forte contingente militare e procedere all'arresto indiscriminato di migliaia di souveranistes.

Paul Rose venne condannato all'ergastolo nel 1971. Qualche anno dopo un'inchiesta escluse la sua partecipazione all'esecuzione di Laporte (rimane il dubbio che il ministro si sia involontariamente soffocato cercando di liberarsi) e nel 1982 venne scarcerato in libertà condizionale (con la proibizione di militare in organizzazioni politiche e sindacali). Come dichiarò in tale circostanza: “Je ne regrette rien: 1970, les enlevaments, la prison, la souffrance, rien. J'ai fait ce que j'avais à faire...”. Uscito di prigione, lavorò presso L'Aut'journal (un mensile di sinistra), divenne consigliere sindacale e fino al 2000 dirigente del Parti de la dèmocratie socialiste. In seguito aderì al partito di sinistra Québec solidaire coniugando sempre la lotta per l'indipendenza della Belle Province con quella contro le ingiustizie e le disuguaglianze sociali. L'anno scorso aveva partecipato alle iniziative dei gruppi studenteschi più radicali e alle manifestazioni del printemps érable. In una delle sue ultime interviste aveva dichiarato di “ne pas vouloir d'une souveraineté de businessman” ma di lottare per “un projet de socièté visant le respect des travailleurs e la fin d'une economie froide et inhumaine”.