Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / L’orrore sacro dei boschi risveglia la facoltà mitica del ragazzo

L’orrore sacro dei boschi risveglia la facoltà mitica del ragazzo

di Francesco Lamendola - 09/06/2013




 

Se il mondo del bambino è spalancato sulle porte del mistero, del sogno, dell’immaginazione, quello dell’adolescente e del giovinetto si apre al senso di comunione con le cose della natura, con le piante, i boschi, gli animali, le rocce, le fonti, le grotte, le montagne.

I bambini adorano gli uccelli e vanno in estasi davanti a uno stormo di aironi che volano alti sopra di lui, a un canarino che canta nella sua gabbietta, a un merlo, a un pappagallino multicolore: gli uccelli, per lui, rappresentano la libertà sconfinata; le loro ali, che li trasportano a volo da un luogo all’altro, anche su grandissime distanze, come le rondini che partono in autunno per l’Africa sub sahariana e ritornano in primavera, hanno con sé il respiro dell’infinito, il soffio della favola che non finisce mai e che non cessa di destare stupore e coinvolgimento.

Gli adolescenti, invece, preferiscono accostarsi agli animali più terrestri e meno elusivi, alle piante, ai fiori, agli insetti, al miele, ai fossili e ai minerali: il modo in cui si accostano al mondo è più affettivo che fantastico, più emozionale che intellettivo; la cristallografia dei minerali, la fisiologia delle piante e l’anatomia degli animali li annoiano, perché sembrano loro cose aride e morte, mentre ciò che li attrae è lo spettacolo della vita che pulsa e brulica ovunque. Ecco perché il professore di scienze naturali dovrebbe far leva sul vivo interesse che naturalmente i ragazzi provano per il mondo del vivente e anche della loro particolare predisposizione all’affettività: non è indifferente che egli sia non solo bravo nella materia che insegna, ma anche nel saper trasmettere entusiasmo e freschezza e che possieda un tratto di umanità che lo differenzi nettamente da un pedante studioso, interessato solo alla trasmissione di nozioni e alla distribuzione di voti.

L’adolescente si stupisce davanti allo spettacolo del muschio che cresce sulla corteccia degli alberi o del lichene che si abbarbica sulle pietre di un vecchio muro; mentre il bambino si delizia nel raccogliere le conchiglie in riva al mare e gode dei loro colori, delle loro forme, delle sensazioni tattili che evocano, per non parlare di quelle uditive, allorché accosta l’orecchio alla cavità di quelle più grandi e crede di udirvi l’eco della risacca.

L’adolescenza, dunque, è l’età in cui si ridestano le facoltà “mitiche” degli uomini antichi, il loro senso di comunione con la natura, la loro ammirazione e il loro sbigottimento davanti allo spettacolo del cielo stellato, di una cascata che precipita dal fianco del monte, di una grande foresta che nereggia ininterrotta fino all’orizzonte, in controluce, sul crinale di una montagna; in cui affiora un certo animismo, retaggio- forse - di epoche remote della civiltà umana, quando tutte le cose della natura possedevano un’anima ed era impossibile, per l’uomo, vedere in esse solamente degli oggetti, perché tutte, dai grandi alberi della foresta alle stelle che brillano in cielo nelle limpide notti d’inverno, è animato da una vita segreta, potente e suggestiva.

Pertanto l’adolescenza è un’età della vita umana che si presta particolarmente all’accostamento con le scienze che studiano la natura, a patto che il ragazzo non venga sommerso da aride nozioni libresche o che i fatti della natura non gli vengano presentati in una prospettiva crudamente materialistica e meccanicistica, ma rispettandolo e, anzi, incoraggiando ad accostarli con quella stupefatta ammirazione, con quella sensibilità che lo porta ad avvolgerli in un’aura misteriosa e poetica, che scaturisce innanzitutto dalla bellezza che in essi rifulge.

Perfino nelle umili alghe acquatiche che tremolano sulla superficie d’un canale cittadino, a due passi dal traffico e dal rumore delle automobili che passano, l’adolescente trova un oggetto degno d’interesse, di meraviglia, di studio: beninteso se viene incoraggiato a vivere il più possibile all’aria aperta e a guardarsi intorno, invece di chiudersi un una stanza davanti allo schermo di un televisore o di un computer. Ricordiamo, infatti, che educare viene da «educere», ossia «trarre fuori».

La scuola e la pedagogia dovrebbero tenere presente questo fatto, per indirizzare l’adolescente a coniugare in se stesso l’amore per la natura come fatto estetico, afferente la sfera della sensibilità e del bello (pittura, scultura, musica, poesia, letteratura) e quella dell’etica, che si manifesta nella delicatezza e nel rispetto verso la vita, così come quella propriamente scientifica, che trova espressione nelle scienze naturali (cfr. anche quanto già da noi detto negli articoli «Una bene intesa didattica delle scienze può sacrificare del tutto lo spazio della fantasia?» e «Come ci s’innamora della botanica», apparsi sul sito di Arianna Editrice rispettivamente il 06/08/2010 e il 26/07/2012).

Osservava, a questo proposito, un grande psicologo della gioventù, il francese Pierre Mendousse, oggi quasi dimenticato, forse per la sua matrice cattolica che lo rende inviso alla cultura dominante, laicista e tendenzialmente o apertamente irreligiosa (da: P. Mendousse, «L’anima dell’adolescente»; titolo originale: «L’âme de l’adolescent; traduzione italiana di Luigi Volpicelli, Roma, Anonima Veritas Editrice, 1948, pp. 159-61):

 

« Al contrario, la montagna non offrirà mai più tanto interesse [come nell’adolescenza]. Il bisogno di movimento sempre soddisfatto, gli orizzonti continuamente rinnovati, i luoghi che si succedono in definitivamente offrono alle giovani immaginazioni un alimento più attraente  in quanto il mistero delle sorgenti, delle grotte, dei luoghi inaccessibili sollecita ad un possesso più intimo della natura. La diversità del terreno, i caratteri  e l’origine delle differenti rocce risvegliano una immensa curiosità; certe pietre per il loro colore, la loro durezza o il loro splendore suggeriscono delle associazioni simboliche, che possono arrivare fino a delle vere superstizioni; e nel nuovo gusto per i gioielli, i ninnoli, i porta-fortuna vi è come una sopravvivenza della venerazione dei primitivi per i feticci e gli amuleti. È per questo che le collezioni di minerali, meno interessanti per i fanciulli che gli erbari o le collezionid0insetti, diventano oggetto di una sensibile preferenza. Ciò non significa che gli animali o le piante, in particolare i fiori e gli alberi suscitino meno l’attenzione. I fiori anzi destano una’attenzione crescente: la loro freschezza, il loro profumo, il loro colore, la eleganza delle loro forme, la dolcezza del loro contatto, ricordano la carezza  e forniscono all’immaginazione un piccolo repertorio di termini da utilizzare per le comparazioni amorose o mistiche. Il “linguaggio dei fiori” fa le delizie della prima adolescenza, ma non tarda a apparire come un simbolismo molto puerile, a contatto con l’importanza propria ai problemi  suggeriti dal fenomeno della florazione: origine della vita, suoi rapporti con la bellezza, significato di questa e suo ruolo nella natura, ecc.  D’altra parte l’influenza della foresta non era ancora stata e non sarà così angosciosa, soprattutto quando essa si combina con quella del vento ululante tra i rami. L’orrore sacro dei boschi risveglia la facoltà mitica del ragazzo grande, che non ha alcuna difficoltà a rappresentarsi le diverse leggende in cui è personificata l’anima degli alberi. Non è essa una emanazione diretta della natura  in cui i giganti del mondo vegetale affondano le loro radici come per prendervi forza e sondarne il mistero? (Michelet, “Ma jeunesse”, p. 249) Questa simpatia produce per quattro comunque anni una indifferenza  assai marcata e talvolta una vera avversione  per l’arida annotazione dei caratteri di una pianta, la dissezione anatomica del cadavere, ed anche una ripugnanza fino ad allora sconosciuta per la distruzione inutile della vita, anche quando si manifesta nelle forme più umili. Molti, come Maxwell a sedici anni hanno ripugnanza a cogliere un fiore o a uccidere una mosca.

D’altra parte gli animali, anche più familiari, cominciano a diventare estranei e come lontani. Dalle statistiche fatte in America risulta che l’interesse per i cani, i gatti, ecc. subisce una netta decrescita. Questa indifferenza si comprende: i caratteri inerenti alla nuova personalità che si organizza hanno poca analogia con le tendenze proprie dell’animale. A misura che l’uomo emerge, l’animale scompare. Ma per questa ragione, vi è progresso nell’apprezzamento delle qualità morali, affetto, fedeltà, ecc. e una preferenza assai marcata per gli animali che ne sono dotati.  Gli uccelli, così cari ai fanciulli, sono abbandonati quasi del tutto, mentre il cane passa dal rango di compagno di giuochi  a quello di collaboratore, quasi di amico. Il cavallo è scelto in ragione dei servizi che rende; il gatto pare faccia eccezione alla regola poiché gode assai spesso  di un favore sproporzionato alla sua intelligenza o utilità. Sarà dovuto, forse, ala speciale sensazione che si prova accarezzando la sua pelliccia o ala grazia di movimento e di attitudini che ne fa il più estetico degli animali familiari? Forse il suo sguardo e le sue pose di sfinge un’attrattiva incosciente in una età cui abbondano gli enigmi da decifrare. Ma in rapporto stesso con l’attrattiva esercitata dall’anima delle bestie, nulla di più raro che la curiosità anatomica prima dei diciotto-venti anni; ciò che conferma la conclusione già formulata. Il mondo esteriore esercita sui giovani una  influenza affettiva e morale piuttosto che intellettuale. La maggior parte di essi potrebbero dire come uno dei corrispondenti di Lancaster: “Io avevo i più ampi ideali e i pensieri più puri,  quando ero solo sui monti, nei prati o tra i fiori coltivati da me”.»

 

Abbiamo già avuto occasione di dire quanto sia importante, per la crescita e la maturazione di un bambino e di un ragazzo, il fatto di vivere a contatto con un animale domestico e di prendersene cura; e lo stesso vale per una pianta da appartamento o per un piccolo giardino, per una serra o per un balcone fiorito, che vengano affidati alla sua responsabilità.

L’albero esercita un fascino particolare sull’immaginazione e sul senso estetico del ragazzo: un grande albero secolare, che protende al cielo i suoi palchi massicci e che d’estate si copre di migliaia e migliaia di foglie ed ospita centinaia di piccoli animali e di uccelli, suscita ancora in lui un poco di quel senso di rispetto religioso che era proprio dell’uomo antico e che, attraverso la pratica delle edicole e dei “capitelli” costruiti fra i rami, è sopravvissuto, dopo l’avvento del cristianesimo, come un’eco smorzata del tempo in cui egli alberi erano delle creature sacre, e i boschi erano la sede terrena delle divinità. Sarà forse per questo che l’abete di Natale desta ancora in noi così intense emozioni, quando, nel buio delle sere invernali, esso brilla e sembra alludere ad una sua vita segreta, misteriosa e infinitamente affascinante, che non è legata solo al simbolo cristiano di cui è espressione, ma a qualche cosa di più antico e più istintivo, forse anche di più oscuro ed enigmatico?

Nel caso dei boschi, è tutta la sua sensibilità che viene messa in sommovimento: il ragazzo può imparare più cose da una escursione nella foresta, pur senza conoscere i nomi di tutte le piante che incontra o di tutti gli animali che vede, di quante ne potrebbe imparare dalla lettura di una intera enciclopedia: si direbbe che il bosco, nell’età dell’adolescenza, risvegli nell’uomo memorie legate alle passate generazioni, come nella teoria dell’inconscio collettivo di Carl Gustav Jung.

Anche nella letteratura, le pagine dedicate all’esperienza di una passeggiata nel bosco sono, a volte, quelle in cui gli scrittori di talento hanno saputo cogliere questo legame ancestrale e suggerirne un’eco ai propri lettori: si pensi all’episodio della «Lettera scarlatta» di Nathaniel Hawthorne, in cui la protagonista, Hester Prynne, e la sua figlioletta Pearl, si recano nella foresta per incontrare il reverendo Dimmesdale, con il quale iniziare una nuova vita; o a quello dei «Promessi Sposi» in cui Manzoni ci mostra un Renzo Tramaglino che, in fuga da Milano, si spinge in un bosco, dopo il tramonto, mentre sta cercando di raggiungere il fiume Adda per mettersi in salvo, ed è sorpreso da un inspiegabile “pavor nocturnus”.

L’elenco sarebbe lunghissimo, se volessimo ricordare anche solo le opere più importanti in cui compare questo tema. Una cosa è certa: il bosco, per il ragazzo, non è semplicemente un insieme di creature viventi, vegetali ed animali, grandi e piccole, giovani e mature; è molto di più: è un luogo in cui si ridesta la sensazione di un legame profondo, ancestrale, indissolubile con la natura e nel quale, pertanto, più e meglio che in qualsiasi libro, per quanto ben scritto e, magari, magnificamente illustrato, egli può capire in quale misura l’uomo sia una parte della natura e quanto assurda sia una filosofia che lo vorrebbe distaccato da essa, freddo studioso di essa e, quasi, suo acerrimo nemico, animato dalla volontà di piegarla, conquistarla e sottometterla ai suoi voleri, per sfruttarla senza  limiti e senza rimorsi.

Una cosa è certa: il bambino e l’adolescente, in modi e tempi diversi, sentono con forza la suggestione della natura; un progetto educativo ben ponderato dovrebbe tenerne conto e far sì che tale suggestione trovi il modo di esprimersi e incontrarsi con la conoscenza scientifica. Un bambino e un ragazzo che abbiano coltivato così l’amore per la natura, saranno poi degli adulti migliori…