Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Heidegger e l’aborto: appunti per una cultura laica della vita

Heidegger e l’aborto: appunti per una cultura laica della vita

di Gian Maria Bavestrello - 29/12/2013

Fonte: heimat

Che la battaglia contro l’aborto debba essere uno dei temi imbracciati dal mondo cattolico (o dagli atei devoti) contro quello laico o laicista è uno dei grandi equivoci del nostro tempo. Pericoloso, per di più, perché il diritto all’aborto affonda le sue pretese sull’assenza di una cultura “pro-life” autonoma dal pensiero cristiano; dall’idea che, in ultima istanza, la vita sia un dono di Dio. La conseguenza è nota: rimosso Dio, venuta meno la fede, la vita cessa di essere un dono che vincola all’accoglimento e diventa una “cosa”, un materiale biologico del quale l’uomo è padrone e giudice.

Seguire l’istinto di proteggere e difendere la vita rinunciando all’appello a Dio come Persona che elargisce il dono. Procedere sulla strada di una cultura laica della vita, verificando in seconda battuta la profondità e gli effetti di questa complessa operazione culturale. Spingersi ad affermare che, a prescindere da Dio, la vita è un dono e come tale non può essere, sul piano morale, oggetto di rifiuto o distruzione. E’ possibile?

Un tentativo merita indubbiamente di essere fatto, e in questa sede vale la pena tracciare la sinossi di un libro ancora da scrivere.    Se dobbiamo indicare un filosofo che offre gli strumenti concettuali adatti allo scopo non possiamo che pensare a Martin Heidegger. E’ nell’idea di “Essere” heideggeriano e nella visione di uomo gettato dall’Essere nella “radura”, nel “-ci” dell’ esser-ci, e quindi chiamato a farsi pastore dell’Essere stesso, che l’idea di vita come dono proveniente da una dimensione misteriosa e insondata (che per mera comodità diremo generalissima, trascendente e trascendentale), può prendere forma.

Una premessa è necessaria: l’Essere non è Dio, come alcuni sono portati superficialmente a credere. “Nella vicinanza dell’uomo all’Essere – scrive Heidegger in Lettera sull’umanismo – si compie, se mai si compie, la decisione intorno a se e come Dio e gli dei si neghino e resti la notte, se e come il giorno del sacro albeggi, se e come nell’albeggiare del sacro possano cominciare di nuovo ad apparire Dio e gli dei. Ma il sacro, che solo è lo spazio essenziale della divinità, che sola a sua volta concede la dimensione per gli dei e per Dio, viene alla luce solo se prima, dopo lunga preparazione, l’essere stesso si è aperto nella radura ed è esperito nella sua verità. Solo così comincia, a partire dall’essere, il superamento di quella spaesatezza in cui non solo gli uomini, ma l’essenza dell’uomo stanno vagando”.

L’essere, dunque, pre-cede Dio (se mai Dio, e il Dio della tradizione ebraico-cristiana in particolare, sia seguente ad esso attraverso la fede) , è la pre-condizione della possibilità di pensare a Dio e, più in generale, della stessa possibilità di pensare. E’ ciò che ci spinge a domandarci, e-staticamente, “perché l’essere e non il nulla”, “perché tutto questo che si manifesta ai nostri sensi e non il vuoto”.

Noi siamo chiamati e destinati dall’essere ad abitare, attraverso il linguaggio, questo Mondo, la “radura” in cui siamo stati gettati, come “pastori” di una manifestazione e di un’apertura della quale non siamo capaci di misurare il carattere “abissale”. Con Heidegger la filosofia cessa di essere mero esercizio intellettuale e diventa geo-filosofia, arte dell’abitare la Terra, arte di creare le condizioni spirituali perché l’essere si manifesti al pensiero nella forma del linguaggio e in particolare del linguaggio poetico.

Ebbene, la nostra ansia di dominio sulla vita e sugli enti esce fortemente frustrata da questa visione, ben più radicale di quella cristiana che nel delimitare una sfera del sacro, preclusa alla nostra disponibilità e  difesa dall’idea di peccato, conferisce all’uomo una posizione di netta preminenza sul creato e apre alle sue facoltà un’area di intervento che ha potuto partorire l’era odierna, l’era della tecnica e della manipolazione scientifica della materia.

Che la vita sia un dono di Dio o meno, è questione dunque secondaria rispetto al presupposto, inaggirabile, che la vita sia in sé e per sé un dono, un’epifania proveniente da quell’Essere di cui non possiamo altro che percepirci – non per scelta ma perché gratuitamente “gettati” nell’Essere dall’Essere – semplici “pastori”. Non padroni né giudici.

La vita, l’esser-ci, è dunque un dono insondabile che proviene dalle lande del Mistero che siamo a noi stessi, un mistero che per alcuni la fede scioglie successivamente (e parzialmente) e che per altri rimane tale, non meno impegnativo o destinante, non meno lontano dalla visione di uomo come padrone dell’ente, anche qualora questo ente “abiti” il proprio corpo.  L’essere, che si creda o no in Dio, è ciò che ci chiama a un’amorevole “attesa” di ciò che non è nella nostra disponibilità, a un’apertura all’e-vento in cui si decide della nostra “umanità”, ossia della nostra “e-sistenza: dell’estatico stare-dentro nella verità dell’Essere”.

(…continua)