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L’”Air Defense Identification Zone” cinese: un errore o un passo strategicamente considerato?

di Vladimir Terehov - 08/01/2014


5700368-adiz-05-800x546L’introduzione della cosiddetta Air Defense Identification Zone (ADIZ) nel Mar Cinese Orientale (ECS), il 23 novembre da parte del Ministero della Difesa della Repubblica Popolare Cinese, rimane uno dei maggiori eventi politici mondiali degli ultimi mesi. Dobbiamo ricordare che questo passo è stato compiuto da Pechino 40 anni dopo che una zona simile venisse adottata dal Giappone, cioè, uno dei principali oppositori regionali della Cina e che potrebbe diventarne il principale avversario in futuro. Il significato speciale della comparsa dell’ADIZ cinese è determinato dal fatto che questa zona si trova su parte della superficie della Regione Asia-Pacifico, in cui il centro della politica globale si sposta. Tale zona marittima, adiacente alle coste orientali della Repubblica Popolare Cinese e all’Hindustan è un moderno “Balcani” politico, un punto particolarmente sensibile in cui gli interessi degli attori più importanti del mondo s’intersecano.
In connessione con l’introduzione dell’ADIZ di Pechino, alcuni esperti nazionali hanno espresso l’opinione che ciò sia un “errore conseguente ed evidente” della diplomazia cinese. Vi sono alcuni motivi per tali considerazioni, se ricordiamo le conseguenze della politica dell’”assertività” perseguita dal 2009 dall’ex-dirigenza del PRC, soprattutto nel Mar Cinese Meridionale. In risposta alle rivendicazioni territoriali cinesi sul Mar Cinese Meridionale, alcuni Paesi rivieraschi chiesero aiuto, prima di tutto Filippine e Vietnam. Tali appelli furono ascoltati da Washington, e poi la sub-regione del Sud-Est asiatico è stata spesso visitata dai principali statisti statunitensi, che hanno ignorato le richieste cinesi di non interferenza di “forze esterne alla regione” nelle dispute territoriali fra Pechino e i suoi vicini. La serietà delle intenzioni degli Stati Uniti è stata sottolineata dall’”esplorazione” del Mar Cinese Meridionale delle navi della Settima Flotta degli Stati Uniti. A quanto pare, la Cina si è subito resa conto di rafforzare la posizione del suo principale avversario geopolitico, nella sub-regione di fondamentale importanza, con le proprie azioni. Negli ultimi mesi, ciò ha comportato una svolta positiva nella retorica della leadership cinese, in relazione ai suoi vicini meridionali. Tuttavia, il rafforzamento della presenza militare e politica nel Mar Cinese Meridionale è divenuto un fatto compiuto, e ciò è stato confermato ancora una volta dal recente incidente causato dalle manovre dell’USS Cowpens pericolosamente vicino alla portaerei cinese Liaoning che partecipava ad una esercitazione di routine della Flotta del Mar del Sud della Cina.
L’opinione che la Cina abbia commesso l’ennesimo errore in politica estera, con l’introduzione dell’ADIZ, si basa su alcuni punti ragionevoli. In primo luogo, dato che un arcipelago subacqueo, di fatto sotto il controllo della Corea del Sud (ma rivendicato dalla Repubblica Popolare Cinese), rientra nell’ADIZ, ha provocato il deterioramento delle relazioni tra Pechino e Seul. Nel frattempo, l’istituzione di fiduciose relazioni bilaterali negli ultimi anni è un traguardo importante per la politica estera della Cina, in quanto ha bloccato gli annosi sforzi di Washington nel formare un’alleanza politico-militare tripartita “USA-Giappone-Corea del Sud”. Sebbene i commenti ufficiali del Ministero della Difesa della Cina indicano chiaramente che l’introduzione dell’ADIZ sia rivolta contro il Giappone (rapporti che sembrano difficili da peggiorare), piuttosto che contro la Corea del Sud, la leadership di quest’ultima potrebbe semplicemente non avere scelta se non riavvicinarsi a Tokyo. Nonostante il fatto che il sentimento anti-giapponese cresca tra i coreani. Comunque, vi sono già state segnalazioni di un possibile coordinamento dei tentativi di entrambi i Paesi per contrastare eventuali azioni militari cinesi nello spazio delineato dall’ADIZ. In secondo luogo, Giappone, Corea del Sud e Taiwan non hanno riconosciuto la legittimità di questa zona cinese, e gli aerei delle loro compagnie ignorano i prerequisiti stabiliti dal Ministero della Difesa della Cina per volare nell’ADIZ. Tutto ciò fornisce motivi per valutare queste attività della RPC come controproducenti. Eppure, nonostante gli evidenti costi tattici attuali, a quanto pare la decisione d’introdurre l’ADIZ si basa sulla definizione di obiettivi strategici. Quest’ultima sembra probabile, almeno perché notizie sono state diffuse sulla possibile istituzione dell’ADIZ anche sul Mar Cinese Meridionale da parte di Pechino, dopo la manifestazione delle conseguenze negative di questa decisione per la Cina.
Possibili aspetti strategici di questa misura della Cina sono indicati, in particolare, dalla monografia di Robbin F. Laird e Edward Timperlake, recentemente pubblicata, “Ristrutturazione del Potere militare USA nella regione Asia-Pacifico“. Pubblicata un mese prima dell’introduzione dell’ADIZ dalla Cina, gli autori, naturalmente, hanno ritenuto necessario commentare una delle più notevoli vicende politiche regionali degli ultimi tempi, con un articolo speciale. Quando analizzano i motivi e le conseguenze dell’azione del Ministero della Difesa della Cina qui discussi, si basano sul concetto formulato nel libro del “quadrilatero strategico allungato” formato dai quattro principali alleati regionali degli Stati Uniti: Giappone, Australia, Singapore e Sud Corea. L’efficienza del  triangolo del potere statunitense, formato dalle basi militari sul territorio degli Stati Uniti (arcipelago hawaiano, isola di Guam) e in Giappone, può essere raggiunta solo in condizioni di libertà di movimento sul mare e negli spazi aerei del quadrilatero. Pertanto, sulla base di dette posizioni, l’introduzione dell’ADIZ cinese, interna al “quadrilatero”, indica che la RPC crea la base per adempiere ai propri obiettivi strategici militari. Ciò è dovuto dalla necessità di violare la libertà di movimento delle unità da combattimento e da trasporto militare degli oppositori regionali di questo “quadrilatero”, se tale necessità diventasse rilevante. In particolare, ciò può verificarsi se Pechino perde la pazienza riguardo Taiwan, che sempre più diventa uno Stato indipendente de facto, invece di rientrare, in una forma o nell’altra, nella “madre patria” (continente). Ciò contraddice gli obiettivi finali della politica della Repubblica Popolare Cinese sullo sviluppo delle relazioni economiche e culturali con Taiwan. In caso di passaggio a mezzi “non pacifici” per affrontare il problema di “ristabilire l’unità della nazione”, come previsto dall’atto legislativo del Congresso Nazionale del Popolo nel 2005, il compito d’impedire agli Stati Uniti d’interferire nel conflitto (molto probabilmente in collaborazione con il Giappone) diventerà molto rilevante.
Contrariamente all’opinione popolare secondo cui lo scopo principale dell’introduzione dell’ADIZ cinese siano le isole Senkaku/Diaoyu, il cui possesso la Cina contesta al Giappone, Zachary Keck, viceredattore del giornale elettronico The Diplomat, popolare nella regione, ritiene che il principale obiettivo sia Taiwan. Se le speculazioni degli esperti sono vicine alla verità, ciò vorrà dire che l’istituzione dell’ADIZ della Cina nel Mar Cinese Orientale dimostra che Pechino ha scelto una strategia politica di contrasto controffensivo diretto ai tentativi dei suoi avversari regionali di limitarne la libertà di azione nello spazio immediatamente adiacente al territorio della Repubblica Popolare Cinese. Solo ulteriori sviluppi dimostreranno se tale versione sia corretta o meno. Tuttavia, anche oggi non vi è dubbio che la scelta strategica militare e politica dello “spigolo contro spigolo” tipico della tradizione cinese, sarà accompagnata da notevoli rischi. Ad esempio, alcuni membri dell’elite politica di Taiwan parlano della necessità di proteggere la propria ADIZ e di coinvolgervi Giappone e Corea del Sud, per contrastare una possibile azione militare della Repubblica Popolare Cinese.
Infine, si deve rilevare di non sottovalutare il potenziale del pensiero strategico della leadership cinese, un Paese la cui storia ha più di un millennio. In queste circostanze piuttosto disagiate (in gran parte conseguenza dei propri errori), la Cina non ha apparentemente nessuna politica “buona” e deve sceglierla tra “cattiva” e “pessima”.

Vladimir Terekhov, ricercatore presso il Centro Asia e Medio Oriente del Russian Institute for Strategic Studies, in esclusiva per la rivista online New Oriental Outlook.

Traduzione di Alessandro Lattanzio – SitoAurora