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Crimea: una prospettiva storica

di Francesco Frisone - 12/03/2014

Fonte: L'intellettuale dissidente


Sotto il dominio russo da due secoli e mezzo, ucraina per caso, la Crimea rappresenta un'enclave il cui controllo è imprescindibile non solo per lo storico legame con Mosca, ma anche e soprattutto per ragioni militari e economiche.

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Historia magistra vitae. Quando si presenta il bisogno di fare chiarezza sul presente è difficile rimanere lucidi nel mezzo della tempesta degli eventi. Fortunatamente la Storia, quella con la S maiuscola, ci permette di analizzare ciò che accade oggi in maniera assai più chiara e disincantata di quanto, magari, le cronache convulse dei giornali, le ideologie o alcune prospettive poco sincere ci permettano. Volgiamo il capo all’indietro, apriamo i libri di storia, guardiamo al passato. Non ci stiamo chiedendo, ora, se ciò che sta accadendo in Crimea sia giusto o sbagliato, non ci stiamo chiedendo cosa reciti il diritto internazionale, non ci stiamo neanche chiedendo quali scenari possano presentarsi per un potenziale conflitto. No. Ci stiamo domandando invece il perché: perché proprio la Crimea? Perché proprio ora? E allora eccoci qui, apriamolo questo libro di storia.

26.000 km2, quasi 2 milioni di abitanti, la Crimea si stende come un pugno chiuso sul Mar Nero, ponte levatoio tra l’Europa e la Russia. Amministrata dalla Repubblica Autonoma di Crimea, la penisola appartiene all’Ucraina e la sua popolazione conta una maggioranza etnica russa, circa il 58,5%, una sostanziosa minoranza ucraina, il 24,1%, e una piccola minoranza tatara, il 12,4%, la quale rappresenta il nucleo originario degli abitanti della penisola. Abitata anticamente dai cimmeri, che i greci chiamavano tauri, la Crimea ha subito numerose dominazioni: greci, sciiti, romani, goti, unni, genovesi, tartari, veneziani, turchi, russi e ucraini si sono alternati al controllo della regione.

La Crimea diviene stato autonomo al disgregarsi dell’Orda d’Oro, quando i Tatari di Crimea, che da sempre avevano abitato la penisola, ne prendono il possesso e vi fondano nel 1441 il Khanato di Crimea, stato tributario della Sublime Porta. E’ il 1735 quando la zarina Anna, proseguendo il progetto panslavista di Pietro il Grande, tenta di estendere i territori russi fino al mar Nero e poi nei Balcani, nell’ambito della guerra russo-turco. La Crimea viene occupata e devastata dalle truppe russe che devono però ripiegare in Ucraina. Ma ormai la penisola taurina è entrata nell’orbita degli ambiziosi progetti russi, guidati dal sogno messianico di riunire sotto lo scettro dello Zar tutte le popolazioni slave. E’ il 1784 e le truppe russe di Caterina la Grande strappano la Crimea a un Impero Ottomano che ha ormai iniziato il suo lento e indolente tramonto. L’impero russo si assicura uno sbocco sul Mar Nero e stabilisce in Crimea la principale base della sua flotta meridionale. Inizia per i Tatari di Crimea quello che essi stessi definiscono il Secolo Nero: la popolazione tatara perseguitata dalla Russia zarista passa da un milione di abitanti a 200.000 unità, e per la prima volta diviene minoranza etnica a casa propria. Il fatto che la Crimea sia scelta poi come teatro del conflitto in cui conflagrano, nel 1854, le rivalità tra la Francia di Napoleone III e l’Inghilterra da un lato e la Russia di Nicola I dall’altro, conferma l’importanza strategica della penisola. All’indomani dell’assedio di Sebastopoli e del Congresso di Pace di Parigi, la condizione più umiliante per la Russia è proprio la smilitarizzazione della regione.

Durante la guerra civile del 1917 la Crimea diviene roccaforte dei bianchi reazionari, ma infine cade sotto il controllo bolscevico. La penisola continua a rivestire per lo stato sovietico la medesima importanza che rivestiva per quello zarista. E’ chiaro ormai, infatti, che la sicurezza ad Ovest dipende dal possesso di questo lembo di terra nel Mar Nero. L’aveva capito anche il Fuhrer che nel 1941, mentre le armate tedesche si spingono verso Stalingrado, ordina che un contingente delle Waffenn SS devi verso sud, proprio in Crimea, per strappare ai russi il loro braccio verso occidente. A pagare lo scotto del conflitto sono ancora i tatari che, accusati da Stalin di aver collaborato con i nazisti, vengono deportati in Asia centrale. La metà della popolazione muore, vittima delle carestie e delle malattie. Nel 1954 è l’ucraino Kruscev a donare la Crimea all’Ucraina in occasione del trecentesimo anniversario dell’alleanza tra Kiev e la Russia. Il regalo di Kruscev appare però esagerato. Eltsin, negli anni 90, comprende che dopo la caduta del gigante sovietico, con il fiato sul collo dello strapotere finanziario e bellico statunitense e con affianco un oggetto non identificato come un’Europa apparentemente unita, la Russia non può assolutamente rinunciare a quello sbocco strategico sul Mar Nero. E così firma con Kiev un oneroso affitto di lunga durata, recentemente prolungato fino al 2042.

Ci stavamo domandando perché. Perché proprio la Crimea, perché proprio ora. E la storia passata e più recente ce lo ha detto. Sotto il dominio russo da due secoli e mezzo, ucraina per caso, la Crimea rappresenta un’enclave il cui controllo è imprescindibile non solo per lo storico legame con Mosca, ma anche e soprattutto per ragioni militari e economiche. Al di la del plebiscito ottenuto da Yanukovich alle elezioni 2010, al di la dell’opposizione tra Euromaidan e filorussi, al di la delle dichiarazioni di rito, la Crimea appare irrinunciabile per la Nuova Russia di Putin, per gli stessi motivi per i quali appariva irrinunciabile alla Russia zarista e a quella sovietica: irrinunciabile perché dal suo possesso dipende la sicurezza ad ovest di Mosca, dal suo possesso dipende uno sbocco sul Mar Nero e quindi sul Mar Mediterraneo, dipende, infine, il risparmio di un affitto costoso per il mantenimento delle proprie base aeree e navali sulla penisola e il controllo delle autostrade del gas che portano all’Europa.