Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / La rassegnazione o l’anticonformismo

La rassegnazione o l’anticonformismo

di Lorenzo Vitelli - 01/05/2014

Fonte: L'intellettuale dissidente


L'idea rassegnata che tanto le cose non si possono cambiare, oltre ad essere sintomo di poca immaginazione, è il risultato di un'adesione incondizionata alla realtà. Chi la esprime è circoscritto nelle dinamiche che intercorrono l'esistente, e queste dinamiche esauriscono tutto il suo essere, tutta la sua umanità, sicché egli è un prodotto che rappresenta il mondo dato, è la negazione della possibilità

conformismo

Oggi accettiamo come valida la condizione rassegnata nei confronti di un presente che si dichiara immutabile, poiché viviamo questa realtà come unica soluzione possibile e conforme alla natura umana. L’uomo ha in sé, secondo la moderna tradizione filosofica, innate inclinazioni a cristallizzarsi nella società capitalistico-liberale.

La rassegnazione ci porta quindi a sospendere il dialogo con la Storia, che fa della società liberale il suo termine ultimo, e sembra la sola condizione esistenziale tollerata. Paradossalmente la società di mercato generalizzato prende le mosse dal concetto di individualismo e di libertà individuale, forte di una concezione antropologicamente egoistica, ma richiede invero, come ogni forma chiusa e totalizzante della realtà, un profondo conformismo, un istinto adattivo alla condizione rassegnata.

Come sappiamo il motore della Storia non è la rassegnazione – ovvero la conformità passiva al rapporto tra ideologia e realtà – ma piuttosto la non accettazione di questo rapporto chiuso tramite l’intervento dell’ideale che vuole modificare il reale. Tuttavia una volta che l’ideologia si viene a materializzare, mondanizzandosi e scendendo a compromessi con la realtà, essa si compie nella contraddizione.  

L’Illuminismo ha in questo senso rappresentato sul piano ideale un’autonomizzazione del soggetto nella realtà, dandogli dignità e facoltà di giudizio, nonché una relativa libertà culturale, ma si è andato compromettendo con la realtà esistente come relativismo concettuale, nichilismo e individualismo: un dispositivo funzionale al capitalismo. 

Persa la sua inattualità, la dimensione ideale si materializza nell’esistente e lo giustifica. Quando queste due dimensione si intaccano e, parafrasando Michels, i rivoluzionari del passato divengono i reazionari del presente, allora l’organizzazione sociale si cristallizza, divenendo una forma chiusa, profondamente conservatrice di sé stessa. I due piani, ideale e reale, intrattengono perciò una relazione di interdipendenza l’uno con l’altro e la realtà produce una sovrastruttura ideologica che legittima i rapporti di forza dell’esistente. Un esempio di interconnessione tra questi campi è dato dal fatto che il modello capitalistico-liberale giudica l’esattezza, la correttezza e la moralità del pensiero e di un’ideologia “in base a qualcosa che non è pensiero, in base cioè al suo effetto sulla produzione o sulla condotta sociale” (Horkheimer, Eclissi della Ragione)

Così i concetti di democrazia, giustizia e libertà che corredano l’apparato ideologico dell’universo Occidentale, una volta mondanizzati, una volta dichiarato il compromesso con la società capitalistica, si vengono a con-fondere con la realtà, plasmandosi in base alle dinamiche di questa. Essi si squagliano nell’esistente, né divengono il riflesso, ma non lo modificano.

E’ tuttavia dalla consapevolezza della contraddizione tra il momento ideale e il momento reale e la coscienza della subordinazione strumentale dell’uno all’altro, che nasce la rivoluzione, quella frattura che interviene per armonizzare le dimensioni in conflitto. Ciononostante quando il rapporto si chiude nella contraddizione (dovuta al compromesso) e si sistematizza, esso necessita, per alimentarsi, della rassegnazione. Questa condizione consiste nell’accettazione passiva dell’ordine precostituito e si compendia nell’affermazione secondo la quale la realtà non è modificabile. Un tale atteggiamento è il riflesso spontaneo di una conformità alla realtà, di un’adesione generalizzata alle sue forme e alle sue dinamiche. La realtà descrive l’individuo e l’individuo esaurisce la realtà. Così lo slancio sovversivo diventa improbabile, perché il soggetto non è portatore simbolico e ideale di altro, ma rappresentazione vivente dell’esistente: egli sana, attraverso la rassegnazione, quella disarmonia che vuole emergere per farsi vita, per mettere in evidenza la possibilità di mondi altri rispetto a quello che ci è dato (come unico).

L’anticonformismo, in questo senso, è la consapevolezza ragionata della contraddizione tra ideologia e realtà, e superamento di essa in vista di un’armonizzazione. La condizione anticonformista è allora valida quando l’idea di altro rimane profondamente inattuale e non scende a compromessi con il mondo e i rapporti di forza che lo intessono. Essa, contrariamente alla rassegnazione mimetica, è avanguardia, possibilità trasformatrice, esplosività che fa dell’ideale la lotta alla necessarietà e all’indeclinabilità dell’esistente per muovere la Storia verso vette più alte.