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Asse Berlino-Tel Aviv

di Lorenzo Centini - 14/05/2014

Fonte: millennivm


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Parlare di Germania ed Israele senza tirare in mezzo la diatriba olocaustica è difficile. E anche improduttivo, sotto molti punti di vista, dato che l’esatto rapporto tra Berlino e Tel Aviv può essere compreso solo calcolando il binario sul quale la Storia e l’esperienza nazista hanno messo le relazioni tra i due paesi. Oltre una memoria comune in via di cauterizzazione, ci sono interessi molto prosaici che entrambi i partner reputano di primaria importanza.

Nel Medio Oriente la Germania è invischiata fino al collo, fin da quando la politiche estere del Bundenstag erano affittate dall’alleanza Nato. La Germania e Israele sono in fondo due entità statali nate e concepite come “neociviltà cuscinetto”: ad uso e consumo del dominio statunitense, interessato a controllare l’arcinemico sovietico in Europa e a garantirsi la linfa idrocarburica in Medio Oriente.

I rapporti tra Israele e Tel Aviv sono, ad oggi, stretti e di collaborazione. La natura di tali rapporti è stata ribadita anche l’anno scorso, quando Guido Westerwelle, Ministro degli Esteri tedesco, ha sostenuto le posizioni israeliane in merito al nuclerare iraniano, asserendo che “le armi atomiche in mano a Teheran non sono un’opzione per la Germania”. Durante la stessa visita, oltre al rituale pellegrinaggio al museo della Shoah e ribadendo che la Germania si riteneva responsabile del genocidio degli ebrei, promettendo di combattere ovunque e in qualunque luogo la rinascita di movimenti negazionisti (con una staffilata quindi ai movimenti nazionali che sempre di più, in Germania, intaccano l’aura di innocenza dello Stato ebraico), il Ministro ha ribadito che il supporto ad Israele non è solo “ideologico e politico”.

Il Ministro non dice il falso: Germania ed Israele condividono la stessa missione anti-araba occidentalista. Nel dopoguerra e in particolare dopo i fatti di Monaco 1972, le relazioni tra i servizi segreti federali e il Mossad si fecero intense, per controllare e reprimere la possibile saldatura tra la “questione turca” delle periferie tedesche e la resistenza terroristica dell’OLP. Fin dal 1964 si hanno notizie di compravendita di armi tra Bonn e Tel Aviv, soprattutto in termini di tecnologia navale e missilistica.

Le relazioni politiche tra Germania Federale ed Israele si rafforzeranno significativamente dopo il 1970 e la Risoluzione dell’Onu che definì il Sionismo quale “forma di razzismo”. Israele non trovò l’appoggio sperato nell’Europa di allora, attraversata dalle politiche post-coloniali europee, e che non si sentiva abbastanza sicura per opporsi ad una posizione difficilmente contestabile. Tuttavia Bonn non fece attendere il suo supporto, soprattutto per non uniformarsi alla posizione di Belrino Est, che invece supportò la risoluzione, essendo stata proposta dalla coppia Egitto-Unione Sovietica.

Dopo la fine dei blocchi e la riunificazione, il matrimonio ideologico tra Berlino e Tel Aviv si è consumato sulla falsariga degli anni 90′ mediorientali: con la Germania impegnata attivamente nella prima guerra del Golfo (percepita da Israele come un gentile regalo strategico da parte degli States), ma più perplessa per la seconda e per la guerra in Afghanistan, sarà proprio Berlino e creare la connessione politica con Tel aviv, mettendo la questione delle “legittimità dello Stato ebraico” al centro del dibattito strategico e culturale europeo.

I due paesi sono anche simili da un punto di vista economico. Entrambi privilegiano l’esportazione e fanno forza sull’alta produttività delle industrie sull’alto valore aggiunto del lavoro. Entrambe investono molto sulla ricerca scientifica d’avanguardia, e le ristrettezze di materie prime hanno costretto i due paesi a ottimizzare l’interscambio con i paesi produttori di materie prime, nonchè a garantirsi la stabilità delle fonti di approvvigionamento.

Più che sulla geocultura, Tel Aviv e Berlino si capiscono in merito alla geoenergia. Entrambi hanno padrini potenti che illuminano i loro giorni di mediopotenza. Ma mentre Israele ha da anni legato a sé le vicende saudite, la Germania deve fare i conti col fatto che il proprio fornitore si trova dall’altra parte della barricata.

Il triangolo Russia-Israele-Germania sembra essere un’ipotesi di lettura. Questi tre attori si trovano divisi su molte questioni, a partire dalla Siria, dove la Germania cerca di fare da paciere, fino alla rappresentanza dei Paesi emergenti negli istituti internazionali, dove invece è Israele a non aver ancora manifestato una posizione precisa e non fraintendibile. Tuttavia in linea teorica tutte e tre desiderano un Medio Oriente pacificato e aperto al commercio e senza intoppi jihadistici.

Israele non ha mai fatto mistero di stare dalla parte dei ribelli in Siria, ma è anche preoccupata dall’eventualità che il paese cada in mano a forze incontrollabili. In Israele molte voci si sono levate contro il supporto Israeliano all’ELS quando si è saputo che tra i suddetti ribelli militavano anche membri di Hamas e Al-Fatah. La Germania continua a latitare e vorrebbe disperatamente poter appoggiare i ribelli liberali che tanto aveva sostenuto all’inizio del conflitto, ma che adesso sembrano non esserci mai stati.

D’altro canto la Russia, che ha già vinto in Siria respingendo il “modello Libia”, potrebbe accontentarsi di un governo siriano non islamista ma meno assertivo nei confronti di Israele. Non è scontato che nel dopo Assad ci sia comunque un governo maggiormente partecipato, e che Putin prema per dare ascolto all’opposizione laica e moderata, che pure in Siria c’è sempre stata.

Una Siria post-Assad nazionalista e laica ma stabile è sicuramente l’opzione che più attira due attori su tre e verosimilmente sarebbe accettata anche da Mosca in virtù della logica del compromesso: al Cremlino sanno fin troppo bene qual’è la linea rossa da non varcare.

In questo triangolo così complesso e poco trigonometrico, l’unica vera variabile è la posizione statunitense. Per un motivo o l’altro, in modo più o meno evidente e forte, i tre attori hanno motivi di frizione con gli Stati Uniti. In Israele Washington non è più vista come la benevola spada anti-Iran, soprattutto dopo le aperture di Rohani e le rocambolesche dichiarazioni di Kerry sulla questione palestinese. Sempre di più a Tel Aviv gli Stati Uniti paiono in crisi e non più capaci di ottemperare alla difesa israeliana dalle minacce ultrasunnite e dagli Ayatollah. A Berlino l’ingerenza statunitense negli affari europei, in modo indiretto, con la sommessa critica di Washginton alla politica del rigore in Europa promulgata da Berlino, ha suscitato irritazione, aumentata in modo spropositato dopo lo scandalo dello spionaggio americano nei confronti della Cancelliera Merkel.

Nella disarticolazione progressiva che sta subendo l’impero americano Tel Aviv e Berlino sono legate a doppio filo. Entrambe alla periferia dell’Impero, tutt’e due affascinate dall’ipotesi di riscoprire una politica personale e attiva (la Germania) o a dismettere definitivamente il volto da “bravo ragazzo” acquisito in questi anni (Israele).

I rapporti tra le due potenze evolveranno, probabilmente, in direzione di una più forte e strutturata capacità cooperativa. Tuttavia l’eccessiva militarizzazione del rapporto, evidenziata bene dalla vendita di 6 sottomarini a propulsione nucleare ad Israele da parte di aziende tedesche, rischia di far percepire la Germania in Medio Oriente come fiancheggiatrice totale dello Stato ebraico. Sarebbe un peccato, in quanto la Germania, come voce critica del monopolio statunitense nel campo occidentale, gode in Medio Oriente di maggior peso diplomatico, e si era parlato di un suo coinvolgimento non solo nel dialogo sul nucleare iraniano, ma pure per quanto concerne la questione palestinese. La Merkel, dopo la ridda europea, dovrà pensare anche a questo, tenendo conto che sulla scena mediorientale si sta facendo vedere anche una scalpitante Cina in cerca di risorse.