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Il classismo aristocratico della sinistra italiana

di Antonello Tinelli - 23/11/2016

Il classismo aristocratico della sinistra italiana

Fonte: l'Opinione Pubblica

Le vittorie della Brexit in Gran Bretagna e di Donald Trump negli Stati Uniti d’America, hanno obbligato la sinistra italiana – moderata e radicale – a gettare la maschera mostrando il suo vero volto. Quest’ultime infatti sono state due vittorie anti-establishment che hanno riportato le classi popolari alla ribalta della scena politica occidentale, scatenando la furia verbale e ideologica di una sinistra che da più di un ventennio ha tradito la propria missione storica di emancipazione dei ceti più deboli, lasciandosi blandire ed incantare dal grande capitale globalizzato e chiudendosi in una torre d’avorio.

Dopo il golpe poltico-giudiziario del 1992, la sinistra italiana s’è trasformata in una accozzaglia di “anime belle” impregnate di becero buonismo piccolo-borghese, relegando la critica e la contrapposizione di classe nella pattumiera della storia. La difesa delle classi subalterne (lavoratori, disoccupati, precari, pensionati, esodati) è diventato un compito anacronistico, retaggio novecentesco da dimenticare e rimpiazzare con fantomatici “diritti civili”: dal fanatismo pro-gay al radicalismo falso-femminista, passando per l’estremismo immigrazionista e per il feticcio dei “diritti umani”. Falsi miti alimentati dagli apparati propagandistici delle élite finanziarie, a cui giova la distruzione di qualsiasi forma di Stato Sociale.


 
Col crollo del muro di Berlino, la sinistra italiana ha potuto liberarsi ufficialmente di un’ideologia (il comunismo) che de facto aveva abiurato sin dagli anni ’70 sotto la guida di Enrico Berlinguer, e approdare trionfante nei circoli finanziari che contano. L’europeismo antidemocratico e antinazionale divenne così a partire da quel momento il nuovo dogma. Da qui in poi, vi è stato un susseguirsi di feroci attacchi legislativi – direttamente o indirettamente – ai diritti dei lavoratori come la soppressione della “scala mobile”, le selvagge privatizzazioni del sistema bancario e dell’IRI, la “legge Treu” – che avviò il processo di precarizzazione del mondo del lavoro – fino ad arrivare agli ultimi provvedimenti del governo Renzi.

La politica estera, un tempo internazionalista e antimperialista, è oggi in piena e totale sintonia con i diktat della NATO sui temi di esportazione della “democrazia” in quelle Nazioni non sottomesse al volere di Washington (vedi Jugoslavia, Libia e Siria) e persino con ammiccamenti verso la fratellanza musulmana (Egitto in primis). La millantata lotta a favore del martoriato popolo palestinese è solo uno specchietto per le allodole, utile a mascherare l’avversione verso l’iran, la Siria e gli Hezbollah libanesi che della resistenza palestinese hanno fatto un principio inderogabile.  Il vassallaggio nei confronti degli interessi stranieri, e la sindrome esterofila, ha condotto la sinistra nostrana a disprezzare il concetto stesso di Stato nazionale che s’è tramutato così in odio verso quelle classi popolari a cui la globalizzazione ha rubato lavoro e futuro.

Il dato più preoccupante riguarda le nuove generazioni, i cosiddetti “millennials”. Sono i figli della buona borghesia ideologizzati di “modernismo”, la cui unica preoccupazione è il nuovo modello di iPhone o la scelta della discoteca più “cool” dove scattare infinità di “selfie” durante l’Erasmus. Sono loro l’avanguardia della “new left” che riversa il proprio “odio di classe ” (si scusino i termini forti, ma in questo caso necessari) verso i loro coetanei meno fortunati, coloro che per permettersi l’Università si spaccano la schiena lavorando, che abbandonano gli studi a causa delle precarie condizioni economiche della famiglia; o che vengono schiavizzati nei magazzini Amazon e nei call center per un misero stipendio. Un disprezzo che diventa ancor più accentuato se si parla di anziani e operai.

La sinistra qualunquista e moralista non analizza più il conflitto lavoro-capitale, ora la nuova dicotomia è tra generi: donna (brava e buona) contro uomo (cattivo e maschilista), eterosessuale (misogino e omofobo) contro omosessuale (vittima a prescindere), italiano (bianco e razzista) contro immigrato (risorsa irrinunciabile), laureato (intelligente) contro diplomato (rozzo ignorante). E chi non si omologa a determinati ragionamenti irrazionali e contorti, viene esposto al pubblico ludibrio con accuse e insulti. La categorie del pensiero liberal hanno sostituito la lotta di classe del pensiero tradizionalmente marxista e di sinistra.

Come se tutto ciò non fosse già terribilmente angosciante, negli ultimi giorni i media “progressisti” (Repubblica, Il Manifesto, Rai News 24, ecc…) hanno raggiunto l’apice arrivando a mettere in discussione il suffragio universale, conquista fondamentale e irrinunciabile delle classi subalterne, nonché storica battaglia del movimento Socialista del secolo scorso. Tutto questo perchè, anzichè la loro candidata Hillary Clinton, a vincere era stato qualcun altro: Donald Trump.

Potremmo continuare in eterno ad elencare le preoccupanti “teorie” dei partiti e dell’informazione di sinistra, ma un dato resta incontrovertibile: la tradizione socialista e comunista della sinistra italiana è ormai morta e sepolta. Il cordone ombelicale che la legava ai lavoratori è stato reciso dal neoliberalismo. Col suo snobismo elitario, e con un classismo tipico delle aristocrazie settecentesche, la sinistra consegnerà i lavoratori e le nazioni europee direttamente nelle grinfie delle destre estreme e xenofobe.