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Oggi è la giornata del migrante. Quindi, smontiano un po’ di falsi miti: da Belgrado ai fan della Bhutto

di Mauro Bottarelli - 15/01/2017

Oggi è la giornata del migrante. Quindi, smontiano un po’ di falsi miti: da Belgrado ai fan della Bhutto

Fonte: Rischio Calcolato

Oggi è la giornata mondiale del migrante e del rifugiato e, quasi per un macabro scherzo del destino, proprio oggi si tornano a contare i morti nel Mediterraneo: un barcone carico di immigrati è naufragato a circa 30 miglia a nord delle coste libiche. Fino ad ora sono stati recuperati otto cadaveri e quattro superstiti che hanno riferito che a bordo vi erano 107 persone: insomma, una possibile nuova strage del mare. Le operazioni di soccorso sono coordinate dalla centrale operativa della Guardia Costiera di Roma ma, nella zona dell’incidente, le condizioni meteo sono pessime.

Qualcuno starà piangendo per i morti, qualcun’altro per i mancati introiti che questa ennesima, infinita tragedia porterà con sé. E’ inutile chiedermi di essere pietoso, come la penso è noto e la mia linea non cambia di una virgola: occorre bloccare le partenze, punto. E, magari, evitare che mezzi pagati con i soldi dei contribuenti italiani vadano a salvare gente praticamente sulle coste libiche, quasi in spiaggia: una cosa è salvare in acque internazionali, una cosa è fare da taxi.

Ma non c’è nulla da fare, la propaganda immigrazionista è troppo forte e radicata. Dalla sua ha la macchina da guerra del politicamente corretto di sinistra, quello che vede fratelli e risorse nei migranti e non nuovi schiavi e potenziali elementi disgreganti per gli strati più poveri della nostra società ma anche la Chiesa cattolica, Papa in testa, con il suo enorme potere di condizionamento. Praticamente, una battaglia persa, Davide contro Golia. C’è però la fionda della realtà, quella che i cittadini vivono ogni giorno sulla loro pelle: degrado, paura, insicurezza, spaccio, prostituzione, micro-criminalità dilagante fino all’extrema ratio di qualche fanatico jihadista che possa agevolmente mimetizzarsi nella massa di gente che entra quotidianamente in Italia, pressoché senza controllo.

Non so se ci avete fatto caso ma da qualche giorno, sempre più trasmissioni televisive e giornali hanno concentrato la loro lacrimevole attenzione sulle condizioni in cui vivono a Belgrado circa 2mila migranti, bloccati dalla chiusura della rotta balcanica e dall’operazione di blindatura dei confini dell’Ungheria. Scene strazianti di uomini all’addiaccio, in fila per ottenere un pasto caldo nell’attesa che il destino decida qualcosa della loro esistenza patibolare. Addirittura, alcuni media internazionali hanno scomodato il paragone fra le code per il cibo fatte in questi giorni dai migranti di Belgrado e le immagini della Stalingrado del 1943, quando nell’inferno della Seconda Guerra Mondiale, i prigionieri tedeschi attendevano nel freddo glaciale russo la consegna delle razioni di cibo. Ormai la decenza è morta, così come la vergogna.

Peccato che gli stessi media abbiano ignorato bellamente le parole del Commissariato serbo per i migranti e profughi, il quale in una conferenza stampa non solo ha respinto con sdegno quel paragone ma ha messo le cose in prospettiva: “Consideriamo tutto ciò un’ipocrisia e un mancato riconoscimento degli enormi sforzi che la Serbia sta mettendo in atto per aiutare e prestare soccorso alle migliaia di migranti. La vera immagine da proporre è quella degli sforzi incessanti del Commissariato e del suo personale, il quale senza sosta, 24 ore su 24 e per tutto l’anno assistono i migranti nei centri di accoglienza”.

Il Commissariato ha poi precisato che dalla scorsa settimana circa 400 dei quasi 2mila migranti che da mesi sono accampati all’aperto negli spiazzi nei pressi della stazione degli autobus di Belgrado sono stati sistemati in centri di accoglienza nel Paese. Nel suo comunicato, il Commissariato ha rinnovato l’appello pressante a migranti e profughi ad accettare l’invito a trasferirsi nei centri di accoglienza per sfuggire al freddo intenso, alla neve e al ghiaccio che mettono in pericolo la salute e la loro stessa vita. Il portavoce, Ivan Miskovic, ha però detto all’Ansa che in pochi accettano di essere ospitati nei centri di accoglienza: “Hanno paura di essere registrati, di essere rimandati nel Paese di provenienza e di non poter così continuare il loro lungo viaggio verso la Ue. In sostanza, sono in tanti a preferire l’altra opzione, quella più costosa e rischiosa di affidarsi ai trafficanti, pagando per trasferimenti clandestini verso i Paesi occidentali”. Ops, come mai manca questa parte della narrativa nei resoconti lacrimevoli della varie trasmissioni, da “Piazza pulita” a “Tagadà”, dal “Manifesto” a “Repubblica” e via discorrendo?

E chi opera a Belgrado, dove con l’ondata di gelo le temperature di notte scendono anche a meno 15-20 gradi, in aiuto dei migranti, oltre al Commissariato serbo? Ong e organizzazioni umanitarie, in primo luogo la sezione serba dell’UNHCR e Medici senza frontiere: non sarà che, casualmente, siano state loro a far convergere con timing perfetto e in contemporanea le telecamere e i teleobiettivi di tutto il mondo a Belgrado? Parliamo di 2mila persone cui il governo vuole dare un tetto sulla testa ma che si rifiutano, perché non vogliono farsi identificare e puntano tutto sulla tratta degli schiavi via terra: quale sarebbe la vergogna, il pubblico ludibrio cui viene additato il governo serbo e la municipalità di Belgrado? Preferiscono morire che farsi identificare? Cazzi loro, con tutto il rispetto. Un’opportunità per non congelare ce l’hanno, così come tre pasti caldi al giorno: ma questo i media non lo dicono, scomodano Stalingrado e fanno parlare solo i responsabili delle ong e chi con il business della cosiddetta accoglienza fa milioni di euro. Tanto più che, se per caso le autorità serbe obbligassero la gente ad andare nei centri con la forza, sicuramente qualche telecamera o macchina fotografica sarebbe prontissima a riprendere “le brutalità delle autorità di Belgrado nei confronti dei migranti”.

Ma si mettano l’animo in pace, perché dopo aver deciso di cacciare dal suo Paese proprio tutte le ong legate alla Open Society Foundation di George Soros, vere centrali operative dell’immigrazionismo di massa, l’Ungheria di Viktor Orban assesta un nuovo schiaffo all’ipocrisia dell’Unione europea e annuncia che metterà in detenzione tutti i migranti, anche quelli che chiedono legittimamente asilo. Una norma che il governo nazionalista di Budapest afferma di sapere essere “contro le norme internazionali accettate anche dall’Ungheria” ma di “volerlo fare lo stesso”. Il provvedimento anti-immigrati annunciato da Orban e giustificato con il pericolo del terrorismo islamico – il quale prevede la detenzione dei richiedenti asilo, cui sarà impedito di spostarsi liberamente per tutta la durata dell’esame della loro pratica – era già in vigore qualche anno fa ma Budapest aveva deciso di sospenderlo nel 2013, sotto la pressione dell’Unione europea, della Corte europea dei Diritti umani e dell’Onu.

Ecco le parole di Orban oggi: “Da allora in Europa ci sono stati sanguinosi attentati e dunque sulle regole internazionali e dell’Europa, liberamente accettate da Budapest, deve prevalere l’interesse della nostra auto-difesa”. Per il mondo, quello che si beve la narrativa a metà dei migranti a Belgrado, è un fascista. Per me, un patriota. E mi piacerebbe venisse compiuto un sondaggio in merito nelle periferie metropolitane d’Italia o nei piccoli comuni, dove si è deciso di inviare migranti senza nemmeno chiedere il parere di sindaco e cittadini. Siamo alla logica del prefetto di ferro 2.0.

Ma si sa, quando si fa notare che la stragrande maggioranza di chi arriva in Italia e qui si ferma in attesa delle verifiche, non ha diritto allo status di profugo, perché non arriva da zone di guerra, la filastrocca è sempre la stessa: si scappa anche da fame, cambiamenti climatici, regimi dispotici e persecuzioni politiche. Bene, in tal senso pochi giorni fa è arrivato un esempio molto chiaro da Udine, dove un nutrito numero di pachistani è ospitato nella caserma Caverzani, prima di finire in alberghi o strutture gestite da onlus e Caritas. Bene, la loro richiesta d’asilo si fonda sulla loro appartenenza ferrea al Partito del Popolo Pachistano (PPP), fondato Zulfiqar Ali Bhutto (morto impiccato) e poi retto dalla figlia, Benazir Bhutto, assassinata nel 2007. Insomma, classico caso di persecuzione politica.

Peccato che le forze investigative avessero fatto compilare a queste persone dei test conoscitivo per valutare il grado di veridicità e profondità della dichiarata persecuzione politica: e cosa è saltato fuori? Di tutto, compreso il fatto che alcuni di loro nemmeno sappia cosa sia il PPP. Stranamente, poi, a dichiararsi seguaci della Bhutto sono in parecchi casi pachistani di tradizione sunnita: il fatto che la bandiera del PPP riporti i colori tradizionali dell’Islam sciita, ovvero nero-rosso-verde, dovrebbe farvi capire da soli al grado di balle con cui ci stiamo confrontando. Quindi, questa gente viene qui con la certezza che la parola “Bhutto” sia in grado di far aprire la porta al diritto d’asilo e sia sufficiente ma, appena si scava un pochino, si scopre che sono filo-PPP quanto potrei esserlo io. O voi. Non è che arrivano qui già indottrinati con la versione ufficiale da sciorinare a chi, superficialmente, compila le domande? Magari imbeccati da qualche operatore di ong o mediatore culturale che prepara loro la lezioncina a tavolino da imparare a memoria, salvo fare un figura di merda appena gli investigatori fanno una domanda in più?

Sarebbe interessante capire quale ruolo hanno, se ne hanno uno, onlus e ong in questo diluvio di richiedenti asilo da Paesi tutt’altro che in guerra o in emergenza. E sarebbe interessante valutare quale sia la percentuale di dichiarazioni fotocopia da parte dei richiedenti, così da sgombrare il campo da equivoci: esiste forse un CEPU per i migranti, gente che ti prepara ad affrontare l’esame delle forze dell’ordine e degli enti preposti dello Stato per ottenere un asilo che non hai diritto di avere e sfruttare il welfare italiano? A chi nega tutto questo e continua a fiancheggiare questa invasione, ammantandola di umanitarismo, dico una cosa sola: le vostre azioni hanno, sul medio termine, un’unica reazione. Ritrovarvi un Orban al governo, perché la gente è stanca. E stavolta gli 80 euro vi dirà dove infilarveli, quando e se sarà possibile andare al voto in un futuro relativamente prossimo. E che siano in malafede lo conferma l’attivismo del ministro dell’Interno, Marco Minniti, su questo fronte, addirittura con visita in Libia per cercare accordi bilaterali su partenze e rimpatri. Ma non era il PD a negare che fosse in atto un’emergenza? Ipocriti. A tutti i livelli, politico e mediatico.