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La nuova politica per il Medio Oriente di Trump trova gli ostacoli lasciati da Obama

di Luciano Lago - 19/02/2017

Fonte: controinformazione

 

Mettendo insieme tutte le informazioni disponibili per ottenere un quadro completo, si può verificare come la situazione del Medio Oriente stia cambiando drasticamente, in particolare assistiamo ad un cambio di strategia degli USA e come si vadano formando nuove alleanze.
L’Amministrazione Trump ha messo al primo posto della sua agenda l’ostilità contro l’Iran, sulla base di false accuse pretestuose che sembrano “suggerite” da Israele e ripetute “a pappagallo” da Donald Trump nel corso delle sue ultime dichiarazioni.

Da questo si deduce che tutte le nuove scelte di politica estera di Washington nel Medio Oriente saranno direttamente influenzate da Tel Aviv e dai suoi interessi già noti di arrestare l’influenza iraniana e spezzare l’asse della Resistenza costituitosi fra Siria-Iran-Hezbollah con l’appoggio decisivo della Russia.


Trump che, come immobiliarista ha grossi interessi e rapporti di business investiti nelle monarchie del Golfo ( vedi: tutti gli affari mussulmani di Donald Trump ) sembra stia puntando alla costituzione di una nuova alleanza, una specie di NATO dei paesi arabi sunniti che permetta di condividere l’intelligence di Israele per sostenere un fronte comune contro l’Iran, questo si ricava dagli ultimi colloqui e dichiarazioni fatte dai responsabili del Dipartimento di Stato USA e dalle interpretazioni di vari analisti medioorientali.

Trump in business con Emiri Arabi

La coalizione che gli USA stanno promuovendo nella regione dovrebbe includere l’Arabia Saudita, gli Emirati Arabi (EAU), il Kuwait, il Bahrein, la Giordania e si punta anche all’Egitto (per quanto quest’ultimo paese di si sia spostato verso la Russia). Una alleanza fra questi paesi sarebbe stabilita con clausole similari a quelle previste dalla NATO, con patto di difesa mutua in caso di attacco contro uno dei suoi membri.  Gli USA ed Israele dovrebebro cooperare dall’esterno con questa alleanza con cui dovrebbero condividere informazioni di intelligence.

Secondo un diplomatico arabo, rimasto anonimo, gli USA si appresterebbero a definire come “terrorista” l’Organizzazione del F.lli Mussulmani (che in passato Washington ha appoggiato) per convincere anche l’Egitto a partecipare in tale progetto e ci sono forti pressioni di Washington sul Cairo per ottenere questo scopo.

La visita di Netanyahu al presidente Trump ha suggellato non solo il consolidamento dei rapporti ma anche una stretta dipendenza della politica estera USA dalle esigenze di Israele. Trump ha infatti offerto all’ ingombrante ospite la garanzia degli USA circa la possibile minaccia nucleare dell’Iran paventata da Netanyahu ed ha escluso che Teheran possa arrivare a disporre di armi nucleari. Nello stesso tempo Trump ha fatto capire di essere disposto ad andare molto più in là di una semplice rinnovo delle sanzioni verso l’Iran e dei semplici “avvertimenti” alle autorità di Teheran.
Nel frattempo l’Amministrazione Trump sta programmando l’invio di nuove truppe sia in Iraq che in Siria per riaffermare la presenza militare USA nella regione. Di fatto Trump andrebbe a continuare la tendenza seguita dall’Amministrazione Obama ed in particolare lo stesso Presidente ha dichiarato ultimamente , dalla Florida dove si trova per il fine settimana, la sua intenzione di riprendere il vecchio progetto di creare delle “zone sicure” in Siria dove la popolazione civile possa rifugiarsi per non dovere andare in esilio.

Naturalmente Trump finge di non sapere che l’insicurezza ed il caos in Siria sono state prodotte proprio dalla politica perseguita da Washington (e dai suoi alleati) di armare i gruppi terroristi islamici che hanno devastato buona parte della Siria.
Alla dichiarazione di Trump ha fatto immediatamente eco la risposta del Governo siriano, tramite il cancelliere Walid al-Moalem il quale ha messo sull’avviso Washington che, realizzare zone di sicurezza in Siria, senza coordinarsi con il Governo di Damasco, comporterebbe seri rischi per la vita stessa dei civili.
Fonti militari indicano fin da ora quali sarebbero i contingenti di truppe USA che si aggiungerebbbero a quelli già presenti sulla zona, fra questi viene indicato un contingente di circa 2.000 soldati della 82a Airborne Division’s e di una Brigata da Combat Team, di stanza a Fort Bragg in North Carolina.

La Casa Bianca aveva già parlato in Gennaio del progetto delle “zone sicure” in Siria ma gli analisti militari avevano fatto rilevare che questo comporterebbe un grosso spiegamento di truppe e di copertura aerea, considerando che queste truppe dovrebbero affrontare sia le truppe dell’Esercito siriano sia quelle dell’ISIS. L’attuazione di questo progetto costituirebbe una escalation della presenza statunitense in Siria e non sarebbe conciliabile con la presenza di forze russe e siriane che sono già sul territorio. Questo significa che Washington dovrebbe trovare una forma di accordo con la Russia per operare e mettere la questione nel programma di conversazioni previsto prossimamente con Mosca.

Rimane il problema che gli USA non potrebbero in ogni caso operare da soli in un teatro di conflitto complicato come quello della Siria e il problema a cui si troverebbe di fronte l’Amministrazione USA sarebbe quello di decidere con chi allearsi, con quali altre forze cooperare e se collaborare o meno con altri alleati per coordinare le attività.
Questo dimostra l’importanza di accelerare i negoziati ed i colloqui multilaterali con gli altri attori nella regione. Nello scorso 16 Febbraio si sono riuniti il Segretario di Stato, Rex Tillerson e il capo dello Stato Maggiore Congiunto Gen. Joseph Dunford, i quali si sono riuniti faccia a faccia con i loro omologhi russi, il Ministro degli Esteri , Serguéi Lavrov ed il capo di Stato Maggiore General Valeriy Gerasimov a Bonn ed a Bakú.

Da questi contatti diretti potrebbe scaturire un processo di accordi per affrontare le questioni della sicurezza e di un eventuale coordinamento tra Russia-USA- Iran-Turchia. Tutte le questioni dovranno essere messe sul tavolo nella prossima riunione prevista in Slovenia dove si potrà capire se Washington rinuncerà alla politica del doppio gioco mantenuta fino ad oggi dalla precedente Amministrazione Obama, che da una parte affermava di combattere l’ISIS e dall’altra favoriva l’avanzata dei gruppi terroristi per rovesciare il Governo di Damasco. Simile la situazione della Turchia che ha inviato proprie truppe in Siria con il pretesto di combattere contro i curdi ma con la volontà di annettersi una parte del territorio delle zone a nord della Siria.

Considerando i soci a cui si affianca l’Amministrazione Trump, paesi complici del terrorismo e del piano di smembramento della Siria, come Arabia Saudita, Qatar, Emirati Arabi, Turchia e Giordania, la situazione non promette niente di buono ed un processo di reale pacificazione in Siria sembra ancora lontano, visto che tutti gli attori (della coalizione pro USA ) continuano ad inviare tonnellate di armi ai gruppi terroristi.

Dall’altra parte i siriani, dopo sei anni di guerra, centinaia di migliaia di morti, non sono disposti a capitolare ed a rinunziare alla loro sovranità ed integrità come paese. Tanto meno Putin dimostra di voler voltare le spalle a Bashar al-Assad ed all’Esercito siriano, alle cui nuove reclute, in questo momento, istruttori russi stanno provvedendo a fornire addestramento e nuovi equipaggiamenti militari.
Un vecchio motto romano recita: “si vis pace para bellum” (se vuoi la pace, prepara la guerra).

Fonti: RT Actualidad

Al Mayadeen