Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / «Il risultato delle urne allontana la pace con i palestinesi» Intervista a Zeev Sternhell

«Il risultato delle urne allontana la pace con i palestinesi» Intervista a Zeev Sternhell

di U.D.G. - 12/02/2009



Il volto d’Israele uscito dalle urne. Vincitori e vinti. E un futuro nel segno dell’incertezza politica. L’Unità ne ha discusso con il più autorevole tra gli storici israeliani: Zeev Sternhell, docente di Scienze Politiche all’Università ebraica di Gerusalemme, autore di numerosi saggi tra i quali «Nascita di Israele. Miti, storia, contraddizioni» (Baldini Castoldi Dalai). Sternhell - che pochi mesi fa ha subito un attentato da parte di un gruppo dell’estrema destra israeliana - non nasconde il suo pessimismo: «Per quanto riguarda la pace con i palestinesi - afferma - quale che sia il governo che si formerà, non potranno esserci seri progressi». E sul crollo del Labour, annota: «I laburisti continuano a pagare il prezzo di una perdita di identità e del venir meno di quella rendita di posizione elettorale che gli derivava dall’essere percepito come il partito "anti-Likud"».
Professor Sternhell, come è possibile che Israele si trovi di nuovo, il giorno dopo le elezioni, senza una direzione politica sicura?
«Purtroppo questo è un problema strutturale nella democrazia israeliana, aggravato oltretutto dalla poca chiarezza del sistema che – in una situazione come quella scaturita dalle elezioni di ieri (martedì, ndr.) - lascia la possibilità di formare il governo sia a Netanyahu che alla Livni. E né l’uno né l’altro potranno presentare un governo in grado di confrontarsi veramente con le sfide di fronte alle quali si trova Israele. Buona parte di questo risultato è frutto di un sistema problematico e che esiste oggi solo in Olanda. Per quel Paese – dove sono vissuto per un anno e dove ho constatato che in tempo di elezioni i cittadini erano a malapena coscienti del fatto che si doveva andare a votare – va bene. Ma per Israele, no. È un sistema che ha il pregio di voler dare voce a tutti i settori della società ma che crea una frammentazione politica quasi ingestibile. Il sistema della elezione diretta del primo ministro è stato provato e si è visto che non è adatto per Israele, ma ci sono fra questo e il sistema presente, molte possibilità intermedie che vanno seriamente studiate. Il problema è che una riforma elettorale seria e che restringa il numero dei partiti, dovrebbe essere studiata, preparata e approvata da quegli stessi parlamentari che potrebbero poi esserne colpiti. Coloro che sono disposti a mettere in forse una loro futura rielezione alla Knesset, non sono poi molti».
In ogni caso, che significato ha il voto del 10 febbraio per il domani di Israele?
«Per quanto riguarda la pace con i palestinesi, quale che sia il governo che si formerà, non potranno esserci seri progressi: ci saranno sempre quelli che vorranno, quelli che non vorranno e quelli che non potranno. È triste, ma d’altra parte ciò rispecchia la società israeliana odierna: sa di avere grandi problemi, ma non sa decidersi chi dovrà risolverli e come; vuole in grande maggioranza la pace, ma non è disposta a dare carta bianca per far pagare il prezzo necessario per conseguirla. Saremo quindi costretti a continuare a stare nella stessa piccola palude dove lo spazio è molto ristretto. Non che questo sia così diverso da tanti altri Paesi, Italia compresa; ma nessun Paese al mondo si trova di fronte a problemi esistenziali come quelli di Israele.
Si temeva un calo della sinistra, ma è avvenuto un vero e proprio crollo. Come lo spiega?
«Per quanto riguarda il Meretz (la sinistra sionista, ndr.), ha commesso un fatidico errore: quello di volersi presentare come "Nuovo Movimento" laddove non c’era niente di nuovo e sicuramente non si trattava di un movimento. Gli elettori non hanno trovato alcun motivo valido per votare un partito che nella migliore delle ipotesi era la coda del partito laburista. Da parte sua, il Labour continua a pagare il prezzo di una perdita di identità e del venir meno di quella rendita di posizione elettorale che gli derivava dall’essere percepito come il partito "anti-Likud". Al di là della indubbia crisi di leadership, lo spostamento di voti degli ultimi giorni è stato in funzione della volontà di molti di bloccare la crescita della destra, soprattutto di Lieberman. Non è più il Labour ad essere percepito come baluardo contro la destra, bensì il Kadima di Tzipi Livni. Ma al di là del rammarico per il crollo dei partiti di sinistra, devo dire che il ragionamento dell’elettorato è stato del tutto logico: rafforzare Kadima, nella attuale congiuntura politica, è stato l’unico modo per mettere Netanyahu in difficoltà, rendendogli quasi impossibile qualsiasi alternativa di governo che preveda solo la destra. È stato in fondo un calcolo intelligente e maturo di un elettorato di sinistra che ha preferito spostare e concentrare le forze più al centro per arginare la destra rappresentata da Netanyahu. E il Partito laburista è stato quello che ha pagato il prezzo maggiore per questa operazione».