Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Gracián, l’imprudenza del saggio

Gracián, l’imprudenza del saggio

di Sergio Romano - 23/02/2009

     
 

 
 
Sergio Romano mette in relazione gli insegnamenti del gesuita spagnolo Baltasar Gracián forniti nella sua opera L’arte della prudenza (1647) con il clima politico europeo e in particolare con quello spagnolo alla metà del XVII secolo. L’Europa era sconvolta dalle guerre di religione, dalle lotte interne e dalle insurrezioni popolari e, secondo Romano, questo clima influenza l’opera di Gracián, traducendosi in un pessimismo di fondo. Gracián si prefigge di insegnare ai pochi saggi come sopravvivere alla tirannia dei re, alla violenza del potere e all’ignoranza della maggioranza degli uomini. Ma nonostante insegnasse la prudenza, Gracián stesso subì le conseguenze del suo pensiero: fu richiamato dall’ordine dei gesuiti, condannato a un periodo di penitenza e privato della cattedra.

Vi sono coincidenze cronologiche più interessanti e rivelatrici di qualsiasi analisi storica e letteraria. Nell’anno (1647) in cui il gesuita Baltasar Gracián y Morales, cappellano delle armate spagnole e insegnante di Sacre scritture al collegio di Saragozza, pubblicò il suo Oracolo manuale e arte di prudenza, l’Europa era sconvolta da guerre civili, guerre di religione e rivolte popolari. In Inghilterra un re cattolico, Carlo Stuart, era agli «arresti domiciliari» nel castello di Hampton Court. A Napoli un certo Tommaso Aniello, detto Masaniello, trascinava il popolo della città contro le milizie del re di Spagna, invadeva la reggia, apriva le carceri, piegava il viceré alla sua volontà. E in Germania quasi tutti gli eserciti europei stavano combattendo le ultime battaglie della Guerra dei trent’anni che si sarebbe conclusa con la pace di Westfalia un anno dopo. Gracián era suddito di un grande re e cittadino di una grande potenza, ma gli avvenimenti di quell’anno furono percepiti a Madrid come minacciose nuvole nel cielo del glorioso impero spagnolo.
Nell’Oracolo il lettore non troverà traccia di quelle vicende. Ma il tono del libro e i consigli impartiti da Gracián ai suoi connazionali e ai contemporanei rivelano uno stato d’animo alquanto diverso da quello che si respirava nelle opere del Secolo d’oro, quando la Spagna dominava pressoché incontrastata il Mediterraneo e le due coste dell’Atlantico. La prosa è elegante, gli argomenti sono svolti con grande finezza, ma il tono è profondamente pessimista. Pur senza dirlo esplicitamente, Gracián lascia intendere che l’uomo saggio e intelligente è costretto ad attraversare un mondo popolato da esseri stupidi, violenti e perfidi. Mentre Machiavelli aveva insegnato al principe il governo degli uomini e degli Stati, Gracián spiega a pochi uomini come sopravvivere alla tirannia del principe e alla brutale ignoranza dei loro simili. Il saggio non deve scoprire le proprie carte e non deve umiliare il sovrano con la dimostrazione della propria superiorità intellettuale. Deve trovare e utilizzare i punti deboli del suo interlocutore, adeguarsi al suo carattere, misurare il proprio linguaggio, controllare le proprie emozioni, nascondere i propri sentimenti. Deve essere cortese e amichevole per calcolo anziché per natura. Deve fare un uso misurato della forza, astenersi dal fare promesse, non ostentare eccessive preoccupazioni. Durante una conversazione deve ascoltare attentamente per apprendere tutto ciò che può essergli utile, ma senza mai credere interamente a ciò che gli viene confidato. Gracián non si spinge sino a suggerire l’inganno, ma elogia l’«artificio», vale a dire la capacità di stupire e spiazzare l’avversario, mutando più volte lo stile della conversazione o addirittura usando il candore come la più raffinata delle astuzie. Uno dei passaggi più curiosi è nel capitoletto 79, intitolato «Carattere gioviale». Gracián pensa che un «pizzico d’arguzia» sia «condimento adatto in ogni caso» e che un motto di spirito possa servire a «cavarsi d’impaccio, perché vi sono cose che debbono essere prese in ischerzo, anche se l’altro le considera più serie di tutte». [...]
Il piccolo libro di Gracián appartiene al genere secentesco della «precettistica prudenziale» inaugurata qualche anno prima (1641) da un bel libro di Torquato Accetto intitolato Della dissimulazione onesta. Sono opere di un secolo difficile e sanguinoso in cui le passioni civili e religiose fecero scorrere molto sangue nei maggiori Paesi europei. Non sappiamo se e quanto abbiano giovato a coloro che dovettero vivere in tempi così funesti. Sappiamo tuttavia che Gracián fu richiamato all’ordine dai suoi superiori, condannato a un periodo di pane e acqua, privato della cattedra. Raccomandò la prudenza, ma lo fece con franchezza, intelligenza, efficacia, vale a dire con virtù che i suoi confratelli gesuiti considerarono inopportune. [...]

Baltasar Gracián, L’arte della prudenza, Milano, Bur, 2009, pp. 102, € 4,90.