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L'immanenza di internet

di Luigi Milani - 04/04/2007

   
   

Cyberspazio: un’allucinazione vissuta consensualmente ogni giorno da miliardi di operatori legali [...] Una rappresentazione grafica di dati ricavati dalle memorie di ogni computer del sistema umano...                                                                                                      
                                                                                         
William Gibson - Neuromancer

Ancora agli inizi degli anni novanta, la generalità dei media era solita riferirsi al Web come al cyberspazio. Il nome traeva origine dal celebre romanzo Neuromante di William Gibson, pubblicato nel 1984. Lo scrittore canadese, padre riconosciuto del movimento letterario Cyberpunk assieme a Bruce Sterling, altro autore per eccellenza molto legato al campo delle nuove tecnologie comunicative, tratteggiò un universo informativo affascinante, che a molti sembrò anticipare, con sorprendente lungimiranza, la vasta ragnatela informativa del Web.
E tuttavia la visione del grande scrittore descriveva, con precisione e un senso di realismo eccezionali, un universo composto di rappresentazioni tridimensionali, assimilabili alla realtà virtuale e come tale generato artificialmente. Il soggetto umano accedeva a tale realtà immaginaria – creata sì dall’interconnessione di reti di computer – mediante un collegamento diretto tra computer e cervello, con l’utilizzo di apposite spine neurali. Una buona rappresentazione visiva del procedimento è quella offerta in un paio di film hollywoodiani: il primo, del 1995, direttamente ispirato a un racconto di William Gibson, Johnny Mnemonic, interpretato da un attore culto per il nuovo cinema di fantascienza e d’azione, Keanu Reeves. Il secondo, dopo aver dato luogo a ben due sequel, è divenuto negli anni un vero e proprio fenomeno culturale e di massa. Sto parlando, come sarà già apparso chiaro agli amanti del genere, della Trilogia di The Matrix, anch’essa interpretata da Reeves.
In queste pellicole, il protagonista accede a un angosciante mondo virtuale governato da entità software, attraverso un’interfaccia neurale che è l’esatta riproduzione della descrizione fatta da William Gibson in alcuni suoi libri.
A dire il vero, l’analisi di The Matrix offrirebbe diversi motivi di riflessione, viste le complesse – a detta di alcuni, furbe, implicazioni esoterico filosofiche di stampo New Age che gli autori della saga, i fratelli Andy e Larry Wachowski, hanno voluto inserire nella storia: concetti quali la percezione alterata della realtà, il contrasto tra mondo virtuale e reale, il ruolo dell’essere umano nell’era del computer.
Chiusa la parentesi cinematografica, torniamo all’esame della definizione utilizzata per larga parte degli anni novanta: cyberspazio. Come abbiamo visto, i concetti che tale termine esprime non possono essere applicati tout-court alla realtà del Web, poiché le visioni di Gibson non hanno trovato attuazione in seguito all’avvento del Web, né si prevede che ciò avverrà nel prossimo futuro. La stessa attenzione dei media nei confronti di un tema considerato solo pochi anni fa di gran moda, la realtà virtuale, non compare se non occasionalmente, utilizzato per lo più in contesti prettamente ludici. Nonostante ciò, dobbiamo comunque prendere atto che le espressioni “cyberspazio” e “cybernauta”, usate rispettivamente per designare il World Wide Web e la sua utenza, sono state largamente utilizzate fino a tempi recenti.
L’espressione cyberspazio è oggi considerata una sorta di residuato romantico, figlio di un entusiasmo nelle promesse della telematica e della tecnologia oggi sostituito da una visione della realtà ben più prosaica, che tende a vedere il Web come un semplice strumento di utilizzo comune, alla stessa stregua di tecnologie forse meno appariscenti, ma pur sempre dedicate alla comunicazione. Analogamente all’utilizzo del telefono - uno dei più antichi strumenti di comunicazione, e come tale perciò non più in grado di destare stupore – il Web non desta più lo stupore del prodigio tecnologico. Quel senso di meraviglia connesso con l’avvento di una nuova tecnologia, che aveva contribuito a drogare la percezione di Internet, portando i media, e di conseguenza gli utenti finali, all’iperbolica convinzione che la Rete fosse divenuta una Panacea universale per qualunque tipo di situazione o problema. Sono gli anni in cui una certa elite di soggetti, fino a quel momento il più delle volte derisa come nerd, riesce a conquistare l’attenzione dei media, perché più informata tecnologicamente, all’avanguardia rispetto alla media degli altri soggetti. Non dimentichiamo che, agli inizi degli Anni Novanta, la percentuale di utenti che accedono ad Internet è ancora relativamente modesta, a causa anche di una certa difficoltà nell’utilizzo del mezzo tecnico. Circostanza questa che favorì necessariamente un iniziale fenomeno di elitarizzazione dell’accesso alla Rete.
È nel corso degli anni ’90 che si afferma come principale rivista di tendenza dedicata alle nuove tecnologie il mensile Wired, in quegli anni considerato la Voce del mondo di Internet. Non è un caso che oggi, ad ubriacatura smaltita, la rivista abbia visto pesantemente ridimensionato il proprio successo, dopo aver subito anche un cambio di proprietà che ha finito per trasformare Wired in una versione hi-tech di Vogue.
Ma torniamo a quegli anni. Anni di entusiasmo crescente, anche sotto il profilo economico finanziario. È in questo arco di tempo che prende piede e si diffonde a macchia d’olio la moda delle società cosiddette “dot.com” (punto.com). Si tende a considerare il Web come l’Eldorado dei facili guadagni, delle ricchezze improvvise e ingenti. Comincia a muovere timidamente i primi passi il sistema del trading on line.

Tale cieca fiducia nelle possibilità offerte dalla Rete era destinata, se non proprio a spegnersi, certamente a ridimensionarsi, per tornare a livelli assai più modesti, e perciò più credibili. All’alba del nuovo millennio, l’età delle dot.com si può dire sia già finita.
Eppure nel frattempo, nonostante l’implosione delle dot.com, Internet nel suo insieme è ormai divenuto un’esperienza di massa, sempre più presente – in tal senso, dunque, immanente - nella vita di ciascuno di noi. Il suo utilizzo, diversamente da quanto avveniva nella sua prima fase di diffusione, nei primi anni del nuovo millennio si articolerà in una varietà di forme articolata, dalla navigazione sul Web, alle chat, all’instant messaging, al webphone e allo streaming video. E non solo: accesso e condivisione di immagini, musica, film, dati di qualunque tipo.
Così, se nel 1964 il grande massmediologo Marshall McLuhan, per riferirsi alla società tecnologicamente evoluta – quella connessa mediante il medium televisivo – ricorreva all’espressione “Società elettrica”, il nuovo millennio vede l’affermarsi di un nuovo tipo di società. La società digitale, come era stata preconizzata, solo pochi anni prima, dal Direttore del MIT, Nicholas Negroponte, una delle figure più rappresentative della nuova cultura hi-tech. Oggi il Web sta evolvendo in qualcosa di diverso, una realtà informativa, ludica e collaborativi che si fonda – o aspirerebbe a fondarsi – sul contributo dei fruitori della Rete. È il cosiddetto Web 2, il nuovo volto della Rete, che dovrebbe essere specchio reale delle esigenze di quelli che un tempo erano detti Internauti, e che oggi rivendicano legittimamente il diritto a divenire essi stessi attori e autori – non più solo spettatori e fruitori passivi, quindi – dello sterminato universo contenutistico del Web.

Bibliografia:
Marshall McLuhan, Understanding Media, 1964
Nicholas Negroponte, Being Digital, 1995
William Gibson, Neuromancer, 1984

Link utili:
http://it.wikipedia.org/wiki/Marshall_McLuhan
http://web.media.mit.edu/~nicholas/
http://www.williamgibsonbooks.com/index.asp
http://en.wikipedia.org/wiki/Web_2