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Chi perdonerà gli ebrei romani?

di Antonio Caracciolo - 20/06/2007

Fonte: clubtiberino




Ieri sera nei telegiornali della notte ho ascoltato e visto un servizio dove si riportava che ad inscenare la manifestazione contro il novantatreenne Priebke sarebbero stati circa un centinaio di giovani ebrei romani. Credo che siano gli stessi che si sono distinti in Teramo contro l’ottantenne Faurisson, che a differenza di Priebke non ha avuto nessuna responsabilità diretta in fatti bellici e parabellici della seconda guerra mondiale, ma che ha invece la sola “colpa” di pensarla in modo diverso dagli ebrei romani. Uno di loro, un “giovane romano”, si è addirittura spacciato per poliziotto, evidentemente immaginando possibile fino a questo punto l’indubbia copertura ufficiale da parte delle istituzioni. Ormai hanno posto tutto ciò che è ebraico al di sopra dei diritti degli altri cittadini. Le parole pentimento e vergogna si ritorcono contro chi le ha usate. Se ben ricordo, citato da Pannella, il rabbino capo di Roma, Toaff, aveva sentenziato su Priebke che da parte ebraica era più che sufficiente che venisse ritenuto colpevole e condannato, ma che poi lo si sarebbe dovuto lasciar morire in pace.

A mio avviso, era una mossa astuta ed intelligente. Personalmente, non sono convinto della “colpevolezza” di Priebke. Non perché l’ufficiale tedesco non sia stato responsabile dei fatti che gli vengono addebbitati, ma perché trovo inadeguato il concetto di responsabilità individuale in fatti catastrofici collettivi, bellici ed ambientali che sconvolgono ogni sicura determinazione delle responsabilità da parte di singoli individui.
Mentre nessuno mai ne parla, io penso sempre al gesto “eroico” degli attentatori di via Rasella, che pare avessero previsto la reazione che vi fu poi e che avrebbe dovuto avere l’effetto di suscitare nuovo odio contro i tedeschi, fino al giorno prima alleati ed il giorno dopo nemici ed occupanti: i soliti giri di valzer all’italiana. Mi chiedo quale fosse il valore strategico di quell’attentato e soprattutto paragono il loro starsene nell’ombra con il comportamento dei kamikazi musulmani, che nella loro disperazione uccidono per prima se stessi.

Di fronte ad una persona di 93 anni, l’età in cui è morta mia madre, io non riesco poi a nutrire sentimenti di vendetta e di odio, qualsiasi cosa abbia fatto in gioventù. Se qualcosa ha fatto negli anni del suo vigore, si tratta per me di un’altra persona, che doveva essere giudicata allora, mentre oggi ha solo tempo per pensare alla morte che lo attende ogni giorno. Non si parli di giustizia e di giusta condanna, perché io non non ne vedo di giustizia. Vedo solo vendetta. La Giustizia veste i panni di Parisi e di Mastella. Difficile immaginarne una caricatura più grottesca, ma senza volerlo forse Parisi si è lasciata sfuggire una mezza verità: se manca il pentimento, forse vuol dire che il diretto interessato non ha mai pensato di essere in colpa. A 93 anni non si ha motivo di mentire a se stessi. La cosa dovrebbe farci riflettere.
Non intendo con ciò negare competenza ed autorità ai giudici che si sono pronunciati, ma voglio sperare che a me quegli stessi giudici mi vogliano e possano riconoscere il diritto alle mie opinioni. Non ho certezze e verità da imporre agli altri, ma solo opinioni o anche verità che impegnano soltanto me e dalle quali nessuno mi può separare. In Teramo, i “giovani romani”, qualificatisi come ebrei romani figli di deportati, si sono scatenati con furia fascista contro un vecchio di ottant’anni che certamente in vita sua non ha mai deportato nessuno. Inoltre, non si vuol capire che non si tratta di camere a gas si, camere a gas no. Si tratta di un problema generale di interpretazione di cosa è stata quella immane guerra civile che ha funestato l’Europa dal 1914 al 1945. Tutti sono stati vittime. Tutti hanno sofferto.

Ma non è questo il punto per il quale a mia volta non mi sento di “perdonare” i giovani ebrei romani. Qualunque cosa Faurisson avesse da dire o potesse dire, esisteva un mio diritto di poterlo ascoltare e di potermene fare una personale idea. I giovani ebrei romani hanno calpestato questo mio diritto, ritenendo che si possa pensare solo cià che loro autorizzano a sapere e pensare. Non intendo perdonare loro quella che per me è una prepotenza inaudita e non dimenticherò. Sarà questa la mia “memoria”. Ne ho una convinzione morale e persuasione intellettuale. Mi chiedo cosa sarebbero gli ebrei romani senza i Priebke. Come potrebbero vivere senza nutrirsi della colpa altrui, o meglio della colpa che loro pensano il mondo intero abbia verso di loro. Su questa base fondano la loro tracotanza, la loro pretesa ad un risarcimento morale e materiale infinito. Anche se nato cinquant’anni dopo i fatti, di cui non sa nulla di nulla, ogni europeo è responsabile in eterno verso di loro. Così in un ennesimo Appello con Amos Luzzatto primo firmatario, dove mentre si tenta di arginare il boicottaggio inglese verso Israele, si ricorda che “L’Europa intera è in debito verso Israele”? In debito di che?

Norman G. Finkelstein, ebreo lui stesso ma totalmente estraneo all’enfasi olocaustica della persecuzione subita, ha rivelato al mondo come Svizzera, Germania, Austria ed altri paesi siano stati alleggeriti delle loro risorse finanziarie e vivano sotto un costante ricatto morale. Ebrei come Finkelstein si attirano l’odio delle varie organizzazioni ebraiche in quanto diventa difficile bollarli con la consueta patente di antisemita. Spesso si pone l’equazione chi non è con Israele è un antisemita. Guai poi a criticare la politica israeliana verso i palestinesi che da 4o anni vivono come in una riserva indiana, con periodiche mattanze che alleggeriscano la pressione demografica di una popolazione che non si decide a scomparire e togliere il disturbo. L’antisemitismo è una sentenza di condanna passata in giudicato che viene utilizzata ad ogni piè sospinto per mettere a tacere ogni possibile critiche verso bravate come quelle teramane, dove è stata intimidita un’intera università. È strabiliante come si sia costruita su simili basi una dottrina della superiorità morale. La prepotenza arrogante e fascista ha addirittura forgiata una inedita teoria dell “cinquina” educativa, che non è stata tale perché nella confusione un vicequestore in borghese ci ha rimesso una spalla, della quale qualcuno dovrà pur rispondere. Mah!

Bambino palestinese

2.
RASSEGNA STAMPA COMMENTATA

1. Poteva mancare Elie Wiesel?. Sarebbe questo un Premio Nobel? Nobel di che? Richiamo qui tutto il bene che di lui dice Norman G. Finkelstein el il giudizio riportato del critico Alfred Kazin: «Dopo Night non c’è più nulla che valga la pena d’esser letto». Credo che abbia individuato perfettamente la natura dell’uomo. Non credo valga la pena di spendere altre parole su di lui. È soltanto il consulente ideologico, il mentore morale, per operazioni come quelle celebrate recentemente in Italia dai “giovani ebrei romani”.
La “corretta” visione del mondo: «Carla di Veroli dell’Associazione ex deportati che chiede al ministro Padoa-Schioppa di giustificare la spesa di un milione di euro l’anno per pagare la sorveglianza a Priebke. «Vogliamo vedere i certificati medici con cui è stato rilasciato dal carcere per problemi di salute - reclama -. Se può andare a lavorare, può anche andare a dormire in carcere. Napolitano deve intervenire per bloccare una sentenza che sporca l’immagine dell’Italia»». Ben detto! Una vergogna tutta italiana con matrice ebraico-romana!

2. L’uomo delle “cinquine” con i suoi “ragazzi”. Non poteva mancare Riccardo Pacifici, l’uomo delle cinquine, che anche nell’impresa Priebke ha riconosciuto i giusti meriti ai suoi “ragazzi”, gli stessi che si sono distinti a Teramo contro un vegliardo di poco più giovane del novantatreenne costretto a viaggiare in scooter.


Per il resto la stampa dimostra in genere una grande libertà di giudizio ed una profonda dirittura morale. Il conformismo e la voce del padrone sono da sempre i suoi criteri guida.

3. Un giornalista cretino ed una pietà sincera. La “notizia” è che per fortuna non tutti gli “ebrei romani” sono assatanati come ai tempi dei giochi cruenti al Colosseo. Esiste ancora un briciolo di pietà anche in un cuore ebreo. Ho smesso di leggere l’ampia notizia quando il giornalista, forse memore del film della Cavani, parla di relazione morbosa fra vittima e carnefice. Non c’è nessuna vittima e nessun carnefice. C’è solo un cretino che non sa fare neppure il suo mestiere, o lo fa con licenza ebraico-romana, secondo istruzioni del Club della Cinquina. L’oggettività del giornalista è solo apparente. Tutto l’impianto dell’articolo è volta a far percepire a chi legge che in fondo si tratta di un caso patologico, di qualche mentecatta, che non ha capito quello che i “giovani” della comunità romana, impiegati o in attesa di impiego nell’industria dell’Olocausto hanno già capito bene, e cioè che il novantatreenne signore è un “Boia”, come lo fu Mastro Titta, al quale almeno dopo tanti anni di onorato servizio non ha subito nessun processo e nessuna condanna. I Cinquinisti seguono la dottrina canonica dell’«odio verso se stessi». L’ebreo che non si unisce al coro industriale dell’Olocausto, o che semplicemente si dissocia dalle iniziative delle organizzazioni ufficiali dell’ebraismo, spesso foraggiati con i soldi estorti a Svizzera, Germania, Austria ed altri, non possono essere tacciati di “antisemitismo” (vero jolly che spunta ad ogni occasione), ma sono ebrei che “odiano se stessi”. Non sembra che la signora della foto, se ebrea, odi se stessa. Ha soltanto un briciolo di pietà ed umanità che manca totalmente ai “giovani” ebrei. Il giornalista nella sua falsa oggettività, che privilegia particolari futili, getta la maschera quando senza virgolette scrive: Un feeling assurdamente forte tra vittima e carnefice. Assurda è l’ottusità intellettuale e morale del giornalista che riporta la notizia. La Signora che ha concesso l’intervista al giornalista olocaustico è la vera “vittima” di chi gli ha fatto un così abominevole ritratto morale. Per chi ha visto il film della Cavani, “Portiere di notte”, non è difficile fare le conseguenti associazioni di idee.

4. ”Pasque di sangue” in Palestina. I bambini, che sono le nostre speranze, sempre ci commuovono. Basta soltanto evocarli perché diventino obbligate determinate reazioni morali e sentimentali. Per chi si vuol documentare su questi spettacoli, basta collegarsi con i siti internet che ogni giorno diffondono immagini come queste che non si trovano nella stampa olocaustica. Anzi se qualcuno li pubblica, quelli della Informazione Corretta scagliano il loro esercito di Lapidatori perché inondino di proteste le redazioni dei giornali e magari licenziono l’incauto giornalista che non sa quali notizie far passare e come farle passare.

Questa frase la si legge virgolettata nella url di LiberoBlog. Il testo della Redazione è ignobile nel suo complesso, ma da esso sembra di capire che alle Fosse Ardeatine ci fossero anche bambini. Non sono uno specialista di quella macabra tragedia e non intendo verificare. Ma chi ha pronunciato quella frase ed ama i bambini è invitato ad osservare le foto dei bambini che ogni giorno muoiono in Palestina, nei campi di concentramento dove nascono da quarant’anni. Periodicamente assistiamo – quando il fatto non può essere negato – alle burocratiche scuse degli ebrei israeliani: un piccolo trascurabile errore tecnico, oppure: era inevitabile; se lo meritavano; e simili. Se ben ricordo, la condanna di Priebke fu tecnicamente pronunciata perché al numero delle vittime comandate come “decimazione” dell’attentato “glorioso” di via Rasella, per errore, se ne erano aggiunte cinque in più. Priebke aveva ecceduto negli ordini ricevuti. Se è così, si tratta di una mostruosità giuridica. Non si può stabile che una vita umana vale altre 10 o cento vite umane. L’eccezionalità dell’evento storico scardina tutti i criteri di imputazione della responsabilità individuale. Unico colpevole è guerra e vittime sono tutte quelle che la guerra ha coinvolte. Ma siccome con “L’Industria dell’Olocausto” i morti fruttano danari, pensioni, onorificenze, monumenti, allora i morti non devono mai morire e riposare in pace. Della loro morte deve sempre essere trovato un qualche responsabile che possa continuare a pagare per l’eternità. La Cuccagna non può finire e lasciare disoccupati quanti anche solo moralmente ed intellettualmente ci campano sopra.

3.
ARTICOLI CORRELATI

1. Lettera destinata ad ogni singolo Firmatario del Manifesto Mantelli.
2. Una testimonianza sull’assalto squadristico in Teramo il 18 maggio 2007.
3. Comunicato ANPI del 22 maggio 2007 in Teramo, ivi definiti “squadristici”, “esecrabili”, “violenti”, “vergognosi”, “inumani”, “criminali”, “paranoici”, “ipocriti”, “fascisti”, “patologici”, “ignobili”, “intimidatori”, “sionistici”.