YouTube, Linux, Wikipedia: nomi forse oscuri per gli ultimi scampati alla rivoluzione informatica, eppure assolutamente familiari per ogni utente medio di Internet. Nomi che hanno un elemento in comune: quello di riferirsi a realtà costruite “dal basso”, ovvero dagli utenti stessi che immettono informazioni, video o aggiornamenti tecnici in modo autonomo, a prescindere da ogni struttura gerarchica e centralizzata.


Per riprendere una efficace formula di Alain De Benoist, insomma, possiamo dire che il labirinto ha preso il posto della piramide. Nella stessa logica tipicamente postmoderna rientra anche il caso dei blog. Nel gergo della rete, un blog è un diario in rete. Il termine, creato da Peter Merholz, è la contrazione di web log, ovvero “traccia su rete”.

Il fenomeno, di moda negli USA fin dal 1997, ha iniziato a prendere piede in Italia solo dal 2001 con la nascita dei primi servizi gratuiti dedicati alla gestione di blog. In sostanza, si tratta di un sito personale e gestito in modo autonomo dove ciascuno scrive, in tempo reale, le proprie idee e riflessioni. Rispetto ad un normale sito, tuttavia, la struttura è più agile e dinamica, dalla costruzione meno impegnativa e più alla portata di tutti, spesso con la possibilità di inserire commenti da parte degli utenti, creando così le cosiddette community.

Cyberdemocrazia? Socializzazione dell’informazione? È presto per dirlo. Eppure i media tradizionali sembrano già avvertire sulla propria pelle i cambiamenti di una società che sembra ormai procedere ad un passo più spedito del loro. Lo hanno fatto presente, ad esempio, i direttori delle principali testate giornalistiche italiane, intervenuti la settimana scorsa a Bagnaia ad un convegno sull’editoria cui ha partecipato anche Gianfranco Fini. Carlo Verdelli, direttore della Gazzetta dello Sport, ha a questo proposito parlato di «stampa lentissima» in difficoltà rispetto ad una «società velocissima». Ed in effetti, rispetto alla velocità pressoché istantanea delle informazioni sulla rete, le 24 ore di attesa tra un’uscita e l’altra di un quotidiano assomigliano quasi ad ere geologiche.

Ma se la stampa piange, la Tv non ride. Secondo quanto riportato da Repubblica del 14 maggio, infatti, in America le Televisioni sarebbero già nel bel mezzo di una crisi senza precedenti: il mese scorso, ad esempio, la Nbc ha registrato i livelli più bassi di ascolto degli ultimi vent'anni. «Solo una congiuntura statistica», hanno spiegato i manager del network televisivo.

Eppure la settimana successiva le cose sono peggiorate ulteriormente, segnando un nuovo record negativo. Ma anche il quadro generale non sembra lasciare spazio all’ottimismo: Abc, Cbs, Fox, oltre alla Nbc, hanno perso 2,5 milioni di telespettatori negli ultimi due mesi rispetto allo stesso periodo del 2006. Tutto questo mentre i nuovi media legati ad Internet galoppano in un’ascesa anche economica che sembra destinata a non finire mai, a cominciare proprio dal colosso Google-YouTube-Wikipedia.

Ma, se è vero che giornali e Tv rivestono un ruolo quasi istituzionale nelle liberaldemocrazie occidentali, a questo punto ci si deve chiedere quanto questi nuovi media finiscano per modificare l’essenza stessa del panorama politico che ci fa da sfondo. La velocità della rete, ad esempio, sta già facendo rinascere le speranze di una democrazia diretta, in cui il popolo possa essere quotidianamente chiamato a decidere del suo futuro. A tal proposito, non mancano movimenti che si rifanno a questa visione “greca” della politica, con slogan come “Nessun spettatore, solo partecipanti”.

Rispetto a tali problematiche, uno dei più entusiasti sostenitori della cyberdemocrazia come il filosofo Pierre Levy ha fatto notare come «media interattivi accessibili da ogni luogo, comunità virtuali deterritorializzate e libertà di espressione sempre più estesa definiscono una nuova sfera pubblica che sta radicalmente riplasmando le condizioni del governo e che probabilmente farà emergere nuove e prima inimmaginabili forme politiche».

Ovviamente, si può legittimamente diffidare del globalismo esasperato e del tecno-progressismo aprioristico di Levy. Forse le agorà in cui si deciderà la democrazia del futuro saranno fatte ancora di cemento e mattoni piuttosto che di pixel. E tuttavia non possiamo certo limitarci ad uno sguardo superficiale rispetto a certi mutamenti ormai in atto. Il cyberspazio sta in effetti creando una sorta di “vita2” (e non è un modo di dire: pensiamo a Second Life) che se all’inizio poteva essere solo una semplice dimensione virtuale con cui fuggire dalla noia della “vita1”, ora sta pian piano acquistando un’autonomia impensabile solo fino a pochi anni fa. Andiamo ancora a cena in ristoranti della vita1, certo, ma se cominciamo a studiare nella vita2, a fare amicizie nella vita2, a comunicare con gli altri al 70, 80, 90% nella vita2, a lavorare e guadagnare tramite la vita2, a comprare una quantità di oggetti (anche per la vita “vera”) nella vita2, ad un certo punto la vita2 diventa forse più importante della vita1. In quest’ottica, i blog potranno essere per la cyberdemocrazia ciò che i giornali sono stati per la democrazia tradizionale? E, in fondo, siamo proprio sicuri che la logica della rete sia necessariamente democratica?

Secondo Miro Renzaglia, poeta e collaboratore del Secolo d’Italia, «la rete è democratica né più né meno delle altre reti di comunicazione: stampa, radio, tv, etc... ovvero: tutto dipende dall’uso che se ne fa e dai mezzi di cui disponi per fare e/o per dire quello che vuoi...». Il vantaggio di internet, semmai, è dato per Renzaglia dalla «possibilità della interazione tra fornitore e consumatore di notizia (mi riferisco soprattutto ai blog e ai forum: le riviste telematiche e le chat mi lasciano freddino). In questa ottica, vedo nella rete una forma di “democrazia” partecipata e diretta all’informazione, o alla “controinformazione” se si preferisce. L’altra faccia della medaglia, quella negativa, sono l’improvvisazione, il dilettantismo e la caduta di quel senso di responsabilità soggettiva che l’adozione di nickname spesso favorisce».

Del resto lo scrittore romano, già deus ex machina del blog omonimo www.mirorenzaglia.com (1.769.298 accessi solo nel primo anno on line festeggiato di recente), può ben parlare con cognizione di causa:

«Giudico positivamente il mio primo anno di questa esperienza da blogger, soprattutto per la qualità della proposta delle discussioni che gli articoli hanno promosso e dove, spesso, i commenti valgono tanto quanto i post (che non sono solo i miei). Ma qui, il mio unico merito è stato quello di aver saputo attrarre un manipolo di amici che lo hanno caratterizzato come luogo di confronto e di approfondimento credo intellettualmente avanzato. Proprio il livello delle discussioni, mi fa ritenere che i frequentatori del sito, al di là di chi materialmente vi scrive, abbiano un profilo culturalmente abile... ».

Ovvero: quando il blog diventa una vera e propria comunità di amici. Ma attenzione ai facili entusiasmi, sempre Miro Renzaglia avverte: «In una visione sana, le comunità virtuali possono supportare e/o preparare quelle reali. Se però si sostituiscono a queste ultime e chi ne fa parte si appaga del virtuale, temo ci siano, in atto o latenti, patologie legate alle difficoltà di relazioni faccia a faccia: la vita non è dietro ma fuori ed oltre lo schermo che, proprio in quanto “schermo”, protegge e rassicura ma non fa “vera” comunità... »