Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / L'Unicef: «Bambini allo stremo, stavano meglio con Saddam»

L'Unicef: «Bambini allo stremo, stavano meglio con Saddam»

di Monica Ricci Sargentini - 17/07/2007

Manca l'acqua pulita. Impossibile distribuire cibo e medicine. E le scuole sono deserte


L'Iraq sta perdendo i suoi bambini. Molti non vanno più a scuola, non hanno cibo e acqua potabile, vivono lontani da casa, in rifugi d'emergenza. Peggio di un anno fa, molto peggio di quando al potere c'era Saddam Hussein. La denuncia viene da una fonte autorevole: il Fondo delle Nazioni Unite per l'Infanzia (Unicef). A lanciare l'allarme è Dan Toole, vicedirettore esecutivo dell'organizzazione, a capo dei programmi d'emergenza. «Quando c'era Saddam — dice al telefono da Ginevra — l'istruzione era a livelli alti e anche il sistema sanitario funzionava molto bene. Ora molti dottori, come anche gli infermieri e gli insegnanti, sono scappati. Una vera fuga di cervelli. Che pesa sul futuro dei bambini».
Da un anno a questa parte si è dissolto anche il programma di aiuto alimentare messo in piedi durante la dittatura, nel 1991, per far fronte alle sanzioni delle Nazioni Unite. Alla gente arrivavano cereali, legumi, latte in polvere. Ma ora il sistema di distribuzione pubblica che lo gestiva non funziona più. «Non c'è possibilità di far arrivare gli alimenti dove servono — spiega Toole al Corriere —. E i due terzi dei bambini non hanno accesso all'acqua pulita. Questa è forse la nostra maggiore preoccupazione. Nella stagione estiva avremo diarrea e disidratazione, con rischi mortali. I primi casi di colera nel sud del Paese sono stati un gigantesco campanello d'allarme. Bisogna agire subito».
La soluzione? Non c'è se non aumenta la sicurezza. «La violenza — dice il vicedirettore dell'Unicef — deve cessare. Non si può risolvere il problema della frequenza scolastica se i genitori hanno paura di far uscire i figli di casa anche per portarli in ospedale. Non possiamo sperare che ci sia una buona alimentazione se le madri tremano ad andare al mercato per comprare il cibo. Quindi la violenza deve cessare. Gli indicatori nutrizionali e sull'accesso alle cure sanitarie stanno cambiando in peggio».
La situazione è precipitata dopo la distruzione della moschea d'oro di Samarra, nel febbraio del 2006. È esplosa la guerra civile, il numero dei rifugiati è raddoppiato e i piccoli passi che erano stati fatti dopo la caduta di Saddam, nel 2003, sono stati spazzati via. Da allora 822mila iracheni hanno lasciato le proprie case. In tutto sono più di quattro milioni i rifugiati, una buona metà bambini. Sia in Iraq che nei campi profughi la scolarizzazione è bassa. «C'è stato un grosso calo nella frequenza scolastica. Le cause sono due: la violenza e la mancanza di insegnanti. Basta andare in giro per l'Iraq per vedere che ci sono aule deserte e altre sovraffollate ».
L'emergenza è al centro e al sud. Mentre al nord la situazione è molto migliore anche se appesantita dal continuo arrivo di sfollati. «Lì c'è attività industriale, — spiega Toole — la distribuzione funziona e anche il sistema sanitario è in buono stato». A Erbil, per esempio, il programma di vaccinazione contro il morbillo viaggia a gonfie vele. E in tutto il Paese sono 3,6 milioni i bambini che sono stati immunizzati. «Ma anche al nord — aggiunge —, come dimostra l'attentato a Kirkuk, tutto è precario, può andare bene un giorno ma non quello dopo. E i bambini sono i più vulnerabili».
Per l'Unicef l'Iraq merita di figurare tra le crisi umanitarie trascurate. Nonostante la grande attenzione della stampa mondiale, «l'accento è posto sulla situazione politica e di sicurezza, non sulle condizioni di vita degli iracheni che convivono con le privazioni». Nel 2006 il Fondo delle Nazioni Unite ha speso 57 milioni di dollari in Iraq per distribuire cibo, acqua e medicinali. C'è riuscito grazie al lavoro di quelli che sono restati, nonostante i rischi. Ora però il loro sforzo non basta più.