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Petizione popolare contro l’accordo USA/Italia che prevede un nuovo “scudo antimissilistico”

di redazionale - 19/07/2007

 

L’Italia sotto lo “scudo” Usa*

Ecco perché è importante fi rmare la

PETIZIONE POPOLARE

contro l’accordo USA/Italia che prevede

un nuovo “scudo antimissilistico” sui nostri territori

1 Estratto da una serie di articoli di Manlio Dinucci e Tommaso Di Francesco, pubblicati su “Il Manifesto”, aprile 2007.

La fi rma segreta dell’Accordo

«Ho il piacere di annunciare che lo scorso febbraio abbiamo

stabilito un memorandum di accordo quadro con l’Italia

e possiamo ora iniziare

a sviluppare possibilità di

condivisione di tecnologie di

difesa missilistica, analisi, e

altre forme di collaborazione

»: così il generale Henry

Obering III, direttore

dell’Agenzia Usa di difesa

missilistica, ha annunciato

il 27 marzo 2007, di fronte

al comitato per i servizi

armati della Camera dei

rappresentanti, che l’Italia entra uffi cialmente nel programma

dello “scudo” anti-missili che gli Usa vogliono

estendere all’Europa.

Nessun annuncio, invece, da parte del Governo italiano.

Quando, il 12 marzo, Jaap de Hoop Scheffer, segretario

generale della Nato, dichiara che «in materia di

difesa missilistica non ci devono essere paesi di serie A e

paesi di serie B all’interno della Nato», il ministro

degli esteri Massimo D’Alema dice di condividere

l’opinione di Scheffer, auspicando

che la proposta degli Usa di estendere il

loro “scudo” all’Europa venga discussa dalla

Nato e dall’Unione Europea. Non dice però

che l’Italia ha, a questo punto, già sottoscritto

il memorandum di accordo quadro ed è stata

quindi promossa in “serie A”.

La fi rma dell’accordo quadro viene dunque tenuta

segreta al Parlamento e, a quanto si dice, anche a parte

della coalizione governativa. Un accordo di tale portata

avrebbe dovuto invece essere sottoposto al Parlamento

prima della sua conclusione e reso pubblico già in questa

fase. È stato invece concluso in segreto, tenendo gli italiani

all’oscuro delle sue implicazioni sul piano militare,

politico ed economico.

A cosa serve lo “scudo”

Il piano prevede l’installazione dei primi 10 missili

intercettori in Polonia e di una stazione radar nella Repubblica

Ceca. La funzione dei missili intercettori è distruggere

i missili balistici nemici una volta lanciati. Sul

territorio statunitense, ce ne sono già 17 (14 in Alaska e

3 in California), che saliranno a 21 nel 2007 e a 30 nel

2008. Essi fanno parte di uno “scudo a più strati” che dovrebbe

essere in grado in futuro di intercettare i missili

nemici sia nella fase di lancio che in quelle intermedia

e terminale. Il sistema è però ancora lontano dall’essere

affi dabile, come dimostra il fallimento di diversi test.

Ma se un giorno gli Stati Uniti riuscissero a realizzare

uno “scudo” anti-missili affi dabile, essi fi nirebbero col

disporrere di un sistema non tanto di difesa quanto di

offesa: sarebbero infatti in grado di lanciare un fi rst strike

contro un paese dotato di armi nucleari, fi dando nella

capacità dello “scudo” di neutralizzare o attenuare gli

effetti di una eventuale rappresaglia. Proprio per questo

USA e URSS avevano stipulato nel 1972 il Trattato Abm,

trattato affossato nel 2002 dall’amministrazione Bush.

Anche se lo “scudo” è ancora in fase sperimentale,

il Pentagono lo vuole già estendere all’Europa,

installando i primi missili intercettori

in Polonia e una prima stazione radar nella

Repubblica Ceca. Altri missili e radar, nei

piani del Pentagono, dovrebbero essere installati

ancora più a est in Ucraina, e a sud

in Italia.

Uffi cialmente, l’installazione dei missili intercettori

dovrebbe servire a proteggere Stati Uniti

ed Europa dai missili della Corea del Nord e dell’Iran.

Nessuno di questi paesi, né un altro “stato canaglia”, ha

però oggi missili in grado di portare una tale minaccia.

Peraltro se la Corea del Nord volesse colpire gli Stati Uniti,

non lancerebbe certo i suoi missili verso ovest al di sopra

dell’Europa. E, se si volessero neutralizzare i missili

iraniani (che non possono raggiungere gli Usa e l’Europa,

né sono armati di testate nucleari), occorrerebbe installare

i missili intercettori in Turchia o altri paesi limitrofi .

2

Secondo Mosca, il piano statunitense mira ad acquisire

un ulteriore vantaggio strategico sulla Russia. Questi

missili, che hanno un raggio d’azione di 4.000 km e

possono raggiungere 1.500 km di altezza, non sarebbero

però in grado di intercettare i missili russi all’inizio della

traiettoria e sarebbero poco effi caci anche nella fase intermedia,

se lanciati dalla Polonia. Per questo al Pentagono

pensano di installarne altri ancora più a est, in Ucraina.

Contemporaneamente potrebbe essere aumentato il

loro raggio d’azione: poiché i primi due stadi dei missili

intercettori sono basati su quelli del missile intercontinentale

Minuteman II, basterebbe sostituirli con quelli

del Minuteman III per accrescerne la gittata. Una volta

perfezionati, ne occorrerebbero comunque centinaia o

migliaia per neutralizzare i missili balistici russi.

È invece immediato il vantaggio che gli Usa possono

acquisire installando in Europa stazioni radar, tipo quella

che intendono collocare nella Repubblica Ceca. Essa

sarebbe la prima installazione di una rete di sofi sticati

centri di intelligence, attraverso cui il Pentagono potrebbe

monitorare non solo il territorio russo ma l’intero territorio

europeo. L’Italia, per la sua posizione geografi ca,

sarebbe inoltre particolarmente adatta per l’installazione

sia di radar che di missili intercettori rivolti verso il

Medio Oriente e il Nord Africa.

L’altro realistico vantaggio per Washington sarebbe

quello di avere in mano un altro strumento per impedire

che l’Unione Europea possa un giorno rendersi militarmente

autonoma dagli Stati Uniti. L’intero sistema di stazioni

radar e postazioni missilistiche in Europa dipenderebbe

infatti dal Centro di comando, controllo, gestione

della battaglia e comunicazioni, all’interno della catena

di comando che fa capo al presidente statunitense.

Inoltre, estendendo lo “scudo” all’Europa, gli Usa

potrebbero scaricare sugli alleati parte dei costi per lo

sviluppo del sistema, ammontanti fi nora a 10 miliardi di

dollari annui.

La reazione della Russia

La Russia, di fronte al tentativo statunitense di acquisire

un ulteriore vantaggio strategico nei suoi confronti,

ha già annunciato che prenderà delle contromisure, adottando

«metodi adeguati e asimmetrici». Intanto il presidente

Putin ha annunciato il congelamento dell’adesione

russa al Trattato sulle forze armate convenzionali in

Europa (Cfe), fi rmato nel 1990 dai paesi della Nato e del

Patto di Varsavia, allo scopo di creare un bilanciamento

militare tra i due gruppi di Stati, riducendo le forze di

ciascun gruppo in cinque categorie di armamenti convenzionali.

Lo scenario è però completamente cambiato

dopo la dissoluzione del Patto di Varsavia e della stessa

Unione Sovietica nel 1991. Nell’annunciare tale scelta,

Putin ha sottolineato: «I paesi della Nato stanno costruendo

basi militari ai nostri confi ni e, per di più, stanno pianifi -

cando di dislocare sistemi di difesa anti-missile in Polonia e

nella Repubblica Ceca».

Il piano statunitense di installare missili intercettori

e radar nell’Europa orientale, a ridosso del territorio

russo, viene dunque considerato da Mosca un ulteriore

passo dell’espansione della Nato a est. Nel 1999 essa ha

inglobato i primi tre paesi dell’ex Patto di Varsavia: Polonia,

Repubblica Ceca e Ungheria. Quindi, nel 2004, si è

estesa ad altri sette: Estonia, Lettonia, Lituania (già parte

dell’Urss); Bulgaria, Romania, Slovacchia (già parte del

Patto di Varsavia); Slovenia (già parte della Repubblica

Jugoslava). Ora sta per inglobare Albania, Croazia e Macedonia,

e si prepara a fare lo stesso con Georgia e Ucraina.

Contemporaneamente, gli Stati Uniti hanno installato

nuove basi militari in Romania e Bulgaria e, tra breve,

faranno lo stesso in Montenegro.

La Russia però non sta con le

mani in mano: ha avvertito che,

se gli Usa installeranno missili e

radar a ridosso del suo territorio,

potrebbe anche ritirarsi dal Trattato

Inf del 1987, che ha permesso

di eliminare i missili nucleari

a raggio intermedio in Europa.

Il piano statunitense di installare

in Europa lo “scudo”

anti-missili – ha ammonito il

presidente francese Jacques Chirac

– potrebbe «spaccare il continente

e provocare una nuova guerra

fredda».

L’Europa, e in particolare l’Italia che ha già aderito al

programma dello “scudo” statunitense, rischia quindi di

trovarsi di nuovo in prima linea in un confronto militare

che, pur essendo diverso da quello della guerra fredda,

potrebbe divenire altrettanto o ancor più pericoloso.

3

Le conseguenze per l’Italia

L’accordo quadro prevede una serie di accordi specifi

ci che coinvolgeranno nel programma dello “scudo”

statunitense non solo le industrie militari italiane – soprattutto

quelle del settore aerospaziale – ma anche Università

e centri di ricerca.

L’accordo quadro comporta quindi una ulteriore militarizzazione

della ricerca, a scapito di quella civile, sotto

la cappa del segreto militare. Comporta un ulteriore aumento

della spesa militare italiana (già al 7° posto su scala

mondiale), soprattutto dei programmi di investimento

derivanti da accordi internazionali, ai quali l’ultima Finanziaria

ha destinato 4,5 miliardi di € in tre anni.

Comporta un ulteriore rafforzamento dei comandi e

delle basi statunitensi in Italia (comprese quelle dotate

di armi nucleari), con la conseguenza che il nostro paese

diverrà ancor più trampolino di lancio delle operazioni

militari statunitensi verso sud e verso est.

Comporta ulteriori pericoli per il nostro paese che,

per la sua collocazione geografi ca, costituisce una postazione

ottimale in cui installare i missili intercettori: le

zone di installazione diverranno di conseguenza bersagli

militari, come negli anni ’80 la base di Comiso in cui

erano installati i missili nucleari statunitensi.

La conclusione del memorandum di accordo quadro,

deciso dal Governo Prodi, ha quindi per il nostro paese

gravissime implicazioni su tutti i piani: militare, politico,

economico.

Non c’è però da stupirsi che ciò sia opera di un governo

di centro-sinistra. Il primo memorandum d’intesa

sulla partecipazione italiana ai programmi di ricerca per

lo “scudo” fu fi rmato al Pentagono, nel settembre 1986,

dal secondo Governo Craxi. Il memorandum d’intesa con

cui l’Italia è entrata operativamente in uno dei programmi

dello “scudo”, il Meads – Medium Extended Air Defence

System –, è stato fi rmato al Pentagono dal primo Governo

Prodi nel maggio 1996. Ed è stato il secondo Governo

Prodi a concludere il ben più importante memorandum

di accordo quadro che – preannunciato dal generale Obering

nel marzo 2006 – era stato redatto dal Pentagono col

Governo Berlusconi, ma la cui fi rma era slittata in vista

delle elezioni italiane di aprile. Anche se il Governo Berlusconi

non ha avuto la soddisfazione di siglare l’accordo,

esso è andato in porto così come era stato redatto.

Il Governo italiano ammette

di aver fi rmato l’accordo

«Da parte italiana, è stato recentemente fi rmato un Accordo

quadro di cooperazione Italia-Usa che amplia il perimetro

di tale cooperazione al settore della difesa da missili balistici»:

così ha dichiarato, il 12 aprile 2007 alla Camera dei Deputati,

il sottosegretario di stato per la difesa Marco Verzaschi

(Udeur). Verzaschi non ha però spiegato perché il

Governo italiano avesse fi nora tenuto segreto un accordo

di tale portata, né ha precisato chi l’abbia fi rmato lo scorso

febbraio. Giovanni Forcieri (DS) – sottosegretario alla

Difesa – aveva annunciato, tramite la sua segreteria,

che avrebbe uffi cialmente

smentito, con una lettera al

manifesto, di essere lui il fi rmatario.

Finora, però, non

è arrivata alcuna lettera.

Resta dunque il “mistero”

di chi l’abbia fi rmato. Il fatto

è comunque secondario:

l’importante è sapere perché il Governo Prodi l’abbia fi rmato.

Questo l’ha spiegato il sottosegretario Verzaschi.

«Il citato Accordo quadro di cooperazione – ha dichiarato

in Aula – si inserisce nelle molteplici iniziative intraprese

in ambito Nato, dove, fi n dal 1996, sono state avviate varie

attività volte alla realizzazione di idonei strumenti a protezione

dell’Alleanza dal rischio derivante dall’uso di missili

balistici equipaggiati con armi di distruzione di massa da

parte di nazioni ostili o gruppi terroristici». Lo stesso generale

Obering ha invece chiarito che lo schieramento in

Europa di missili anti-missili non rientra in ambito Nato

e che «gli Usa non sono disponibili a cedere la responsabilità

del progetto» (15 marzo 2007).

Poiché la Francia si è (almeno fi nora) opposta a tale

progetto e altri governi alleati sono dubbiosi, Washington

non ha chiesto il consenso della Nato ma, scavalcando

l’Alleanza, ha cercato di ottenere prima quello di

singoli governi consenzienti (Gran Bretagna, Polonia,

Repubblica Ceca, Italia e altri) attraverso accordi bilaterali.

Contraddicendosi, lo stesso Verzaschi ha ammesso

che «i principali alleati sono stati incoraggiati ad associarsi

ai progetti americani».

«L’Accordo in questione – ha dichiarato Verzaschi – è

giustifi cato dalla volontà dei due paesi di creare un quadro

normativo che consenta alle due nazioni di rafforzare la cooperazione

in ambito bilaterale in tale specifi co settore, per

consentire di dare l’avvio a scambi di informazioni propedeutici

a eventuali successive collaborazioni». Non spiega

però in che modo il Governo abbia verifi cato la “volontà”

dell’Italia di sottoscrivere l’accordo, dal momento che è

stato tenuto segreto sia agli italiani che al Parlamento,

mentre invece avrebbe dovuto essere reso pubblico e sottoposto

al Parlamento prima della sua conclusione.

4

Quanto ci costa

Con tono tranquillizzante, il sottosegretario Verzaschi

ha dichiarato che «l’accordo non determina impegni

e/o oneri fi nanziari tra le parti: è infatti demandata alla stipula

degli accordi attuativi successivi, ciascuno fi nalizzato

allo specifi co settore di collaborazione, la defi nizione delle

caratteristiche e delle modalità per la suddivisione dei costi

associati». La prospettiva è tutt’altro che tranquillizzante:

il Governo conferma che l’accordo quadro comporta

una serie di «accordi attuativi successivi», i quali coinvolgeranno

non solo le industrie militari italiane, ma anche

università e centri di ricerca, provocando una ulteriore

militarizzazione della ricerca a scapito di quella civile.

E tali accordi comporteranno «costi associati», ossia un

ulteriore aumento della spesa militare italiana.

Il costo dei 10 missili intercettori da installare in Polonia

è stato quantifi cato dal generale Obering in 2,5 miliardi

di dollari, e quello della stazione radar nella Repubblica

Ceca in circa mezzo miliardo di dollari. Il generale

non ha specifi cato quale parte della spesa graverà su questi

due paesi. Ha solo detto che l’installazione dei missili

in Polonia, di cui sarà incaricata la Boeing, potrebbe

portare alle industrie polacche contratti per 900 milioni

di dollari, e che le industrie ceche potrebbero avere, per

l’installazione del radar, contratti per 150-200 milioni.

La realizzazione dello “scudo” viene dunque presentata

come un affare per i paesi europei. C’è però un particolare

non trascurabile: mentre centinaia di milioni di

dollari entreranno con i contratti nelle casse di aziende

private, centinaia di milioni o miliardi usciranno dalle

casse pubbliche come compartecipazione alla spesa per

la realizzazione dello “scudo”.

L’Italia ha già esperienza in questo campo. Come ha

ricordato il sottosegretario Verzaschi, essa ha «già da

tempo rapporti di collaborazione industriale con gli Stati

Uniti nel settore missilistico, tra i quali emerge per importanza

quello per la progettazione e lo sviluppo del sistema

Medium Extended Air Defence System (Meads)». Il Meads,

che rientra nel progetto dello “scudo a più strati”, è

un sistema mobile, facilmente trasportabile in lontani

campi di battaglia, utilizzabile contro missili tattici, aerei

ed elicotteri. Come il “grande scudo” contro i missili balistici,

questo “piccolo scudo” è uno strumento non per la

difesa ma per l’attacco: una sorta di testuggine destinata

a proteggere i soldati statunitensi e alleati all’offensiva in

distanti teatri bellici. La Meads International – joint-venture

multinazionale, con quartier generale in Florida, incaricata

della realizzazione del sistema – ha ricevuto nel

2005 un primo contratto per 3,4 miliardi di dollari. La

spesa è sostenuta per il 58% dagli Usa, per il 25% da lla-

Germania e per il 17% dall’Italia. Ciò signifi ca che, solo

per questo primo contratto, l’Italia spende, con il denaro

pubblico, oltre ½ miliardo di €. Altrettanto, o più, spenderà

per ciascuno dei successivi contratti e, soprattutto,

per l’acquisto dello scudo-testuggine una volta ultimato.

Molto di più verrà a costare la partecipazione italiana

al “grande scudo” contro i missili balistici, che in realtà

non difenderà l’Italia ma la esporrà a maggiori pericoli.

Lo stesso Verzaschi, dopo aver assicurato che la “difesa

missilistica” ha «eminentemente una fi nalità protettiva»,

ha ammesso che «nuovi programmi sono suscettibili di alterare

equilibri strategici consolidati, in particolare con la Russia

». Ha ammesso quindi, indirettamente, che il piano

statunitense dello “scudo” provocherà nuove tensioni in

Europa. E che di conseguenza l’Italia, ancora una volta,

farà da scudo agli Stati Uniti.

 

Per informazioni sulla Petizione Popolare:

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