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L'Italia sotto le bombe. Guerra aerea e vita civile 1940-1945

di Marco Patricelli - 26/09/2007


Marco Patricelli
L'Italia sotto le bombe
Guerra aerea e vita civile 1940-1945
2007, pp. 378, € 20,00, con ill.
Collana i Robinson / Letture LATERZA
ISBN 9788842084358
Argomenti Storia contemporanea
Storia d'Italia


In breve
«Le bombe cadono giù, le scorgiamo distintamente sgranarsi dalle pance dei quadrimotori. E inizia il finimondo. Esplosioni ovunque. Non si vede niente, fumo dappertutto, polvere e terriccio, la gola brucia, manca il respiro, il cuore batte all’impazzata.»

«Qualche tempo prima, in un Cinegiornale Luce, sembrava così semplice e disimpegnato neutralizzare le bombe incendiarie con efficientismo e rapidità, quasi fosse un’esercitazione, e la colonna sonora accompagnava rassicurante. Pochi sacchi di sabbia o di terra e qualche badile bastavano. In mancanza serviva anche la terra dei vasi per i fiori. “Applicando queste facili misure con attenzione, tempestività e calma - diceva la voce impostata -, si possono evitare o attenuare i danni dell’offesa nemica”.» Ma gli italiani scoprirono presto quanto la realtà della guerra aerea fosse diversa dalla propaganda del Regime. In 64.354 persero la vita sotto il fuoco dal cielo. Un numero, calcolato per difetto, che nella sua freddezza anestetizza il sanguinoso dramma di quell’autentica pioggia di bombe abbattutasi su città e civili innocenti. Ricerca documentaria inedita, ricostruzione rigorosa, capacità di racconto: questo volume è una lettura avvincente di un dramma scatenato dall’alto e vissuto dal basso.

Indice
Introduzione - Prologo. Un’invenzione italiana - I. Il grande bluff - II. «L’aviazione inglese pesta forte» - III. Conto alla rovescia - IV. Senza respiro - Ringraziamenti - Bibliografia - Indice dei nomi - Indice dei luoghi
Introduzione

Secondo l’Istituto di statistica l’Italia ha pagato con 64.354 caduti i bombardamenti angloamericani. Fino all’8 settembre le vittime erano state 20.952; dal 9 settembre 1943 al 25 aprile 1945 i morti erano invece più che raddoppiati: 43.402, che porta appunto il computo a 64.354 vittime dei bombardamenti. E questo nel periodo in cui gli Alleati formalmente non erano più il nemico. A queste cifre vanno aggiunti 2.576 militari periti sotto gli attacchi aerei fino all’8 settembre, e 1.982 successivamente, per un totale di 4.558. Occorre rimarcare che i numeri sono convenzionali e calcolati per difetto. Non è stato possibile – e probabilmente mai lo sarà – dare un nome a ognuno, e men che meno stilare un elenco preciso di tutti i caduti.
Spesso nelle città, e soprattutto dopo l’8 settembre 1943, vagavano o erano ospitate persone non registrate, sfollati, profughi, militari in abiti civili, uomini, donne e bambini in transito, faccendieri, contadini che portavano i prodotti al mercato e borsaneristi che facevano affari sulla fame e sulle necessità del quotidiano. Disintegrati, polverizzati, smembrati dalle esplosioni, sepolti sotto tonnellate di macerie, coperti dalla calce viva per il rischio di epidemie e risepolti ancora più giù nella terra nel periodo della ricostruzione. La sola Foggia ha lamentato e celebra 20.000 vittime dei bombardamenti: un numero impressionante che assommerebbe a un terzo delle perdite ufficiali, e che quindi pone ancora una volta di fronte al dilemma dei numeri che non raccontano tutta la verità, e a volte neppure la spiegano. Perché la matematica è una scienza esatta, ma la contabilità della morte è una scienza relativa: il sangue dell’amico e quello del nemico, in guerra, hanno infatti un diverso peso specifico.
Il bombardamento aereo doveva essere lo strumento per risparmiare le vite dei soldati a terra. A titolo di raffronto la 5ª Armata statunitense aveva pagato i 607 giorni (dal 3 settembre 1943 al 2 maggio 1945) di risalita della penisola italiana con 188.546 perdite; nelle sole unità americane i morti erano stati 19.475, i feriti 80.530 e i dispersi 9.637. Anche queste sono cifre ufficiali, che offrono un’ulteriore sfaccettatura della complessa lettura del secondo conflitto mondiale in Italia. Qui era nato l’aereo come strumento bellico, qui erano nate le teorie della guerra aerea di Giulio Douhet, e qui erano state applicate per contrappasso.
Sull’isola di Pantelleria, primo lembo di terra italiana a cadere in mano alleata, era stata sperimentata la guerra aerea totale, distruttiva e risolutiva. L’Operazione Workshop avrebbe dovuto consentire di vincere dal cielo evitando un sanguinoso sbarco con combattimenti di fanteria. Su Pantelleria, nell’arco di appena un mese, gli Alleati avevano sganciato 6.570 tonnellate di bombe in 5.600 incursioni. Solo dopo lo sbarco senza colpo ferire ci si era accorti, con stupore misto a disappunto, che i danni apportati da quella valanga di fuoco erano stati pochi e i morti appena duecento. Tanto rumore per quasi nulla. Quella verità non poteva essere accettata da chi voleva risultati e da chi quei risultati aveva promesso di ottenerli e di renderli visibili. E così per realizzare un documentario a supporto delle teorie di vittoria con la sola guerra aerea, furono sistemate mine, azionate a comando, per ricostruire l’effetto dei bombardamenti a uso e consumo delle cineprese. Si inventò una realtà di comodo, rassicurante per una parte in guerra e terrorizzante per l’altra: la capacità di spargere senza troppi scrupoli il sangue nemico per preservare il sangue amico. Sarebbe toccato ad Amburgo, Berlino e Dresda fare da agghiaccianti dimostrazioni della guerra totale, e poi la stessa sorte l’avrebbero subita anche le città giapponesi, se Hiroshima e Nagasaki non avessero pagato per tutte con gli ‘esperimenti’ delle bombe atomiche. Truman l’aveva detto a chiare lettere: «We shall destroy completely Japan, each factory, each city»: distruggeremo completamente il Giappone, ogni fabbrica, ogni città. Questo almeno all’Italia era stato risparmiato.