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Una Carta da riscrivere

di a. m. - 28/11/2007

     

 

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Esattamente sessant'anni fa, il 27 novembre 1947, veniva apposta la firma alla Costituzione della Repubblica Italiana.
E' la Carta fondamentale di uno Stato nato dal compromesso fra tre anime ideologiche: cattolica, comunista e liberale. Tre scuole di diseducazione alla libertà. Perchè la libertà non è nè quella, universalista e moralista, buona solo per le pecorelle della Chiesa, che piace al Vaticano; non è quella, totalitaria e collettivista, dell'allora Internazionale sovietica; e non è quella del mercato liberista e dei suoi sudditi-consumatori. La libertà è quella del nostro Manifesto: scegliere di vivere, ognuno nella propria piccola "patria", nel luogo in cui si è messo radici, come la propria comunità decide, grazie alla democrazia diretta, senz'altro sovrano che se stessa.
La Carta del '47 ha sancito una democrazia fasulla fondata sul truffaldino principio della rappresentanza, sullo strapotere dei partiti e sul tallone americano sull'Europa. Un'Europa che dovrebbe essere faro di una nuova costruzione ideale e politica slegata dalla cupola degli interessi economico-finanziari mondiali (globalizzazione), consentendo al suo interno il fiorire di mondi e stati locali a misura d'uomo.
Sarebbe da riscrivere da cima a fondo, questa consunta Carta. A partire proprio dalla prima parte, anzi dal primo articolo: "L'Italia è una repubblica fondata sul lavoro". Come dire: sulla schiavitù. Basta con il mito moderno del lavoro, tanto caro sia alla dominante vulgata liberale e capitalista, sia a quella, ormai sempre più diafana e perciò ancor più ipocrita, marxista-sindacalista. Il lavoro non rende liberi. Oggi, invece, viviamo in un lager, con tanto di benedizione costituzionale.
Ma fintanto che c'è, questa Costituzione-gabbia, i signori che la agitano solo quando fa loro comodo, sono invitati a rispettarla. E noi ne invocheremo l'ossequio ogni qual volta verrà usata a mo' di carta straccia per conculcare i bisogni reali e profondi di quel popolo che essa pretende di tutelare, ma che nei fatti viene brutalizzato come carne da macello dalle caste che lo opprimono. (a.m.)