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Cenere e polvere negli amori impossibili di Renée Vivien

di Francesco Lamendola - 27/12/2007

Destino immeritato, quello della poetesse Renée Vivien, al secolo Pauline Mary Tarn, inglesina trapiantata in Francia e autrice di versi in lingua francese.  Nata a Londra l'11 giugno del 1877, muore a Parigi, di congestione polmonare, la notte fra il 18 e il 19 novembre del 1909, quasi in completa solitudine, ad appena trentadue anni.

Destino immeritato perché, nonostante alcune delle sue poesie,  di gusto parnassiano, si elevino decisamente ad un livello d'arte non comune (non tutte, però; ma di quale poeta, anche famosissimo, si può dire che i suoi versi siano tutti belli? Si pensi a Foscolo, a Carducci, a Leopardi, allo stesso Dante), oggi è stata sostanzialmente dimenticata dalla critica "ufficiale": Anzi,, non proprio dimenticata; rimossa. Per fare solo un esempio, a lei sono dedicate giusto un paio di righe, di straforo, nella monumentale Storia della letteratura francese diretta da Pierre Abraham e Roland Desné (vol. III, p. 176 della edizione italiana, Milano, Garzanti, 1985; edizione originale Parigi, Messidor, 1977).

Alcune poesie di René Vivien, d'altra parte, si possono reperire abbastanza facilmente sia in libreria che su alcuni siti Internet, ma per una ragione che - diciamolo subito - non c'entra con l'arte, o, almeno, c'entra solo indirettamente: ella visse apertamente la sua attrazione per l'eros femminile ed è divenuta, pertanto, una delle più note icone della cosiddetta cultura gay. Come se scrivere poesie, belle o brutte, c'entrasse qualche cosa con le preferenze sessuali dell'autore! O meglio, c'entra sì, ma nella misura in cui determinati poeti fanno dell'esperienza erotica il fulcro e il senso della loro opera; come nel caso di Sandro Penna, il quale pure non ne faceva certo mistero. Ma a colui che ama la poesia, puramente e semplicemente, tutto questo non interessa se non in quanto diviene oggetto della poesia stessa e non per un pregiudizio ideologico, di segno positivo o negativo. Infine, che ce ne importa di quel che fanno le persone sotto le lenzuola! Non abbiamo simili pruriti; ci preme leggere belle poesie ed evitare quelle brutte. Ora, lo ripetiamo, alcune poesie della Vivien sono belle, di una bellezza crepuscolare e malinconica (gli anni sono quelli, del resto: decadentismo, estetismo, crepuscolarismo appunto), ma autentica e coinvolgente.

Si farebbe un grave torto a questa autrice, pertanto, lodarla (o, all'opposto, deprezzarla) per il fatto che i suoi versi cantano l'amore lesbico o per il fatto che lei stessa, nella sua breve vita terrena, non ha nascosto affatto tale aspetto del suo modo di essere. Agendo così, si fa di lei una autrice "di nicchia" e la si spoglia di quella dimensione universale che,  pure, una parte almeno della sua opera indubbiamente possiede. Sarebbe un po' come relegare Simenon fra gli autori di "gialli", solo perché i suoi romanzi appartengono, formalmente, a quel genere; invece Simenon è uno scrittore e basta, anzi un signor scrittore; che, si dà il caso, ha scritto romanzi di genere poliziesco. Oppure si prenda il caso di Edgar Allan Poe: vogliamo incasellarlo fra i narratori del genere gotico, solo perché ha scritto diverse opere di ambientazione gotica? No di certo: Poe è stato uno scrittore notevolissimo, e i veri scrittori eccedono sempre la misura del "genere" letterario. Ancora più assurdo e riduttivo sarebbe volerli etichettare in base a una categoria del tutto estranea alla letteratura, ossia quella delle inclinazioni sessuali.

D'altra parte, bisogna riconoscere che la ghettizzazione di una poetessa del valore di Renée Vivien è stata causata in parte dalla stessa comunità omosessuale femminile, che si è appropriata della sua figura più che della sua opera; e, in parte, da lei medesima, che - pur schiva e riservata di carattere - non si è sottratta alla tentazione di fare dei suoi amori una bandiera, con tanto di pellegrinaggio  all'isola di Mitilene, nell'Egeo, meta quasi obbligatoria delle dame dell'aristocrazia europea in chiave di revival del saffismo; contribuendo in maniera decisiva a quella commistione della sua vita privata con la sua opera letteraria che, oggi, è così difficile sciogliere

Erano quelli, del resto, gli anni dei Canti di Bilitide di Pierre Loüys, tutti dedicati alla celebrazione dell'eros lesbico; e, se Oscar Wilde ebbe la carriera rovinata e la vita distrutta dal processo per omosessualità che lo condusse ai lavori forzati (ove scrisse la sua opera più toccante e sincera, il De profundis), la società borghese guardava al fenomeno dell'omosessualità femminile con occhio meno arcigno di quella maschile; senza contare che, in Francia, vi era un grado di tolleranza maggiore che nella patria anagrafica (ma non spirituale) di Pauline Mary Tarn, come provano le vicende ben diversa della gloria letteraria di André Gide e di Marcel Proust rispetto a quella del povero Wilde.

René Vivien è stata autrice di numerose raccolte di poesie, anche se in genere di piccola mole - Studi e preludi (Etudes et Préludes, 1901); Cenere e polvere (Cendres et Poussières, 1902); Evocazioni (Evocations, 1903); Saffo (Sapho, 1903); La Venere dei ciechi (La Vénus des aveugles, 1903); Les Kitaredes (I citaredi, 1904); All'ora delle mani giunte (A l'heure des Mains jointes, 1906); Sillages (Scie, 1908); Flambeaux eteints (Fiaccole spente, 1908); Dans un Coin de Violettes (In un angolo di violette, 1909, postuma); Le Vent des Vaisseaux (Il vento dei vascelli,, 1909, postuma); Haillons (Stracci, 1909, postuma); Poemes posthumes (Versi postumi, 1910).

La poesia, dunque, non è stata per lei un esercizio retorico o un passatempo, ma una passione profonda e un severo esercizio di stile. È un peccato, quindi, che la si ricordi più per la sua tempestosa relazione con la bellissima americana Natalie Clifford Barney (soprannominata l'Amazzone e poetessa, anche lei, di qualche valore), Ninfa Egeria di numerose artiste - o pretese artiste - più o meno apertamente omosessuali; nonché per altre relazioni analoghe, ma di minore durata e importanza.

In René Vivien, carattere delicato e sensibile, anche se tremendamente "notturno" e pessimista, il gusto della trasgressione coesisteva con l'istinto della fuga, del ripiegamento interiore, del masochismo non tanto inconsapevole e, in ultima analisi, dell'istinto di auto-distruzione. Quest'ultimo è il carattere fondamentale della sua opera poetica e la giusta chiave di lettura per accostarsi ad essa; carattere che ne fa una autrice eminentemente moderna, se è vero che l'inquietudine e la pulsione di morte sono alla radice stessa della modernità - l'altra faccia del progresso, della ragione e del trionfo della tecnica.

Per questo particolare aspetto, l'anelito di autodistruzione che attraversa come un fremito i suoi versi languidi e deicati, si potrebbe accostare René Vivien al nostro Sergio Corazzini che, nella poesia Desolazione del povero poeta sentimentale (nel Piccolo libro inutile, del 1906), scrive sconsolato:

 

I

Perché tu mi dici: poeta?

Io sono un poeta.

Io non sono che un piccolo fanciullo che piange.

Vedi: non ho che lagrime da offrire al Silenzio.

Perché tu mi dici: Poeta?

 

II

Le mie tristezze sono povere tristezze comuni.

Le mie gioie furono semplici,

semplici, così che se io dovessi confessarle a te arrossirei.

Oggi io penso a morire.

 

III

Io voglio morire, solamente perché sono stanco;

solamente perché i grandi angioli

su le vetrate delle cattedrali

mi fanno tremare d'amore e di angoscia;

solamente perché io sono, oramai,

rassegnato come uno specchio, come un povero specchio melanconico.

Vedi che io non sono un poeta:

sono un fanciullo triste che ha voglia di morire."

 

 

Sulla tomba di René Vivien, nel cimitero parigino di Passy, un'iscrizione reca le parole che lei stessa aveva scelto come epitaffio:

 

"Ecco, in estasi è la mia anima

Poich'ella quieta, s'addormenta

Avendo, per amore della Morte,

Perdonato questo crimine: la Vita."

 

Benché esile e di saluta delicata, Renée Viven era bella; lo attesta, oltre alle fotografie, un notevole ritratto eseguito dal pittore Lévy-Dhurmev. Possedeva un fascino strano, in parte sensuale e in parte delicatamente verginale: riflesso sensibile dell'ambivalenza della sua stessa natura, divisa tra il richiamo ardente dei sensi e una attrazione tutt'altro che di maniera verso il misticismo e la religione,  tanto da convertirsi, alla fine, al cattolicesimo: significativa analogia con Verlaine, altro famoso poeta simbolista e, lui pure, omosessuale; ma che ebbe la sfortuna di appartenere alla generazione precedente, quando la sua condizione non era assolutamente tollerata dalla società, a meno che rimanesse un "vizio nascosto".

Di lei ha tracciato un ritratto illuminante Teresa Campi, curatrice di una bella e, oggi, introvabile  raccolta delle sue poesie, intitolata Cenere e polvere, edita dalla Casa Editrice Savelli, nella "mitica" collana Il pane e le rose, nel 1981 (pp. 11-13), che qui riportiamo parzialmente, rimandando il lettore al testo competo dell'Introduzione e richiamando la sua attenzione sui pregi della traduzione di poco meno d'un centinaio di poesie, effettuata dalla stessa Campi. Anche se, com'è inevitabile, la versione italiana non è in grado di rendere la sonorità e le sfumature musicali dell'originale francese, bisogna dire che si tratta di un lavoro condotto con gusto e felice intuizione del ritmo e dell'atmosfera poetica. Del resto, la presenza dei testi originali a fronte permette un utile confronto e una letture diretta a quei lettori che conoscono la lingua francese quanto basta per gustare direttamente l'originale.

 

"Esistono caratteri lunari, introversi e timidi, che sfuggono alla nostra attenzione; persone che s'affidano testardamente all'ombra o alla quiete di una stanza 'dalle porte chiuse', fino a diventare come quei preziosi oggetti d'arredamento che, lasciati per anni in un sol luogo, diventano parte della tappezzeria.

Esistono sguardi patetici e melanconici; vittime di un destino che s'accanisce contro il corpo stesso; pur avendo una certa prestanza fisica, esse si curvano con le loro spalle scoraggiate, le braccia esili e le mani tremanti, pronte ad afferrare qualcosa d'invisibile. Si vestono sobriamente in scuro e non amano che pochi ornamenti.

"Sotto un aspetto commovente, ma il più delle volte banale, apparentemente infantile e goffo, esse nascondono le accuse più spietate nei confronti del mondo, coltivano le passioni più travolgenti di cui sanno lasciare un segno. Ma non ostentano mai, non lottano; al contrario, si affidano alla passività e alla sensualità della contemplazione, piangono al buio, mentre in silenzio e durante le ore notturne regalano la loro vita alla poesia, alla scrittura, all'opera d'arte. Ma, quando - per un gesto che è sfuggito al loro controllo - esse rivelano una profondità di significato, allora ci sentiamo attratti da quest'abisso di malinconia.

"Più si negano alla nostra capacità di comprensione, e più cresce la nostra immaginazione nei loro confronti.

"Esistono persone che vivono solo all'interno di se stesse, chiuse come un nocciolo di noce, che si rivolgono al mondo esterno solo mettendo in atto un formalismo esasperato, compensando così, in modo maldestro ed enigmatico, il baratro che le separa dal mondo.

"L'artificialità apparente del loro comportamento e delle loro stravaganze non è un semplice atteggiamento dietro cui c'è il vuoto, ma una necessità di travestimento per celarsi ancora di più. Pauline Mary Tarn, in arte Renée Vivien, che leggeva i suoi versi nella penombra di una stanza, in presenza di pochi ed intimi amici, che considerava lo studio biografico su un autore «uno spionaggio pubblico organizzato», rientra in questa fetta d'umanità.

"La chiusura nei confronti del mondo si tramutò, nel suo caso, in una certa alterigia, distacco e indifferenza, che da giovane la faceva confessare: «[…] Poiché io soffro di una timidezza eccessiva che m'impedisce di dire una sola parola davanti agli estranei […] trascorro una vita di solitudine e di esilio […].Il bisogno di tenerezza, di simpatia e di comprensione allo stato attuale, mi tormenta ma - a proposito dell'amore - non ne ho affatto bisogno» [Lettera inedita ,indirizzata a Mme Marie Chgarneau, intorno al 1894 e depositata dalla stessa alla Biblioteca Nazionale di Parigi, insieme a poesie inedite di Renée Vivien e di alcuni brani dell'Inferno  di Dante tradotti in francese].

"Ecco una prima, innocente bugia. Renée Vivien sarà tormentata dall'amore, o meglio,, non dall'amore fisico che non necessita di scrittura, ma dall'espressione scritta della passione che - inebriante come l'effetto di un narcotico - si sovrappone alla passione stessa.

"Condannata all'eterno richiamo dell'amore per l'amore attuò, nella poesia, quell'assoluto che non le riuscì in vita. Moltiplicando se stessa, preferendo la maschera al suo vero volto, s'inoltrò nella sensibilità erotica femminile come nessun altro poeta - ad eccezione di Saffo - aveva fatto fino ad allora.

"Il sentimento per l'altra donna - massima ispiratrice della poesia di Renée Vivien - è un alternarsi di devozione, ammirazione, crudeltà e desiderio. Ricoprendola delle gemme più preziose e dei profumi più rari, innalzandole un tempio fatto di «ordine, bellezza, lusso, calma e voluttà» [Baudelaire, Invitation au Voyage, in Les fleures du mal, Paris, Bibliothéque de la Plèiade, 1961], la sua esperienza poetica tocca i vertici di un particolare misticismo sensuale che mantiene sempre una certa affinità col desiderio di morte.

"Oltre all'0inflkuenza di Baudelaire, Verlaine, i preraffaelliti, Keats, dante e Shakespeare,  Renée Vivien subisce l'incantesimo del poeta inglese Algernon Charles Swinburne il quale, come lei, amò quella morte la cui sofferenza è commista ad un erotismo funebre e paradisiaco.  «Voi non sapete - scrive Renée Vivien al suo amico Charles Brun - cosa significhi per me l'angoscia della morte. È come il desiderio di una donna amata» [brano di una lettera inedita del 1903, facente parte del carteggio Renée Vivien e Charles Brun, pubblicata parzialmente da S. Burgues in Bulletin du Bibliophile, Paris, Giraud.-Badin, 1977, vol. II].

"Come il Chastelard di Swinburne, Renée Vivien teme ma inconsciamente desidera che una donna crudele le conceda i favori dell'amore, fino a diventarne vittima: «Freme delicatamente del suo sapersi inaccessibile», scrive nel suo romanzo autobiografico[Une femme m'apparut…nella sua ultima edizione di Régine Deforges, Paris, 1977, p. 108],a proposito di Nathalie Barney, «in una atmosfera brutale di desiderio e bramosia… Adora le torture… che suscitano il sorriso nel suo sguardo…Ma resta più fredda dei ghiacci eterni che sfidano il sole».

"Come difendersi da questa impenetrabilità dell'altra, se non con delle fantasie sadiche? La strangolerei, sarebbe osceno, brutale, selvaggio, ma sarebbe questione di un momento, e, nella gioia dell'assassinio mistico, la stenderei sul divano di stoffa… Ella dormirebbe, un po' più pallida del suo sonno abituale» [Ibidem, p. 77].

"Il matrimonio con l'oggetto amato è segnato, quindi, da un lutto. O si uccide o si è uccisi: «Non cercai di sfuggirla, perché sarei più facilmente scampata alla morte» [Ibidem, p. 29]. E qui sentiamo l'eco di Swinburne: «Io so che quest'amore deve ultimamente essere la mia morte» [A. C. Swinburne, Chastelard, London, Chatto e Windus, 1898, p. 108, atto III, sc.  I]."

 

Amori impossibili, dunque, quelli di Renée Vivien; non tanto per il fatto che erano amori proibiti dalla morale corrente (come nell'omonimo romanzo di Mallet-Joris), quanto perché intimamente minati da una doppia tensione inconfessabile, distruttiva e autodistruttiva, che li logorava irreparabilmente e li rendeva simili a delle lunghe, dolorose agonie.

Ricordiamo che a Londra, nel 1908, anche perché tribolata da problemi economici, ma soprattutto per l'impossibilità di vivere serenamente la propria vita sentimentale, la poetessa aveva tentato il suicidio mediante l'assunzione di una dose eccessiva di laudano. Particolare degno di nota: in attesa della morte, si era distesa sul divano posando sul seno un mazzo di violette: i suoi fiori preferiti, tanto che dagli intimi era stata soprannominata la dama delle violette.

Si era poi salvata, ma in quella occasione aveva contratto un fatale indebolimenti del suo già delicato organismo; indebolimento che, di lì a un anno, dopo il suo rientro in Francia, la avrebbe condotta a una morte prematura.

 

Riteniamo, per concludere questo breve profilo di una poetessa ingiustamente dimenticata, riportare una poesia dal citato Cenere e polvere, sempre nella traduzione di Teresa Campi, scrittrice, poetessa, giornalista e curatrice anche di una traduzione del romanzo postumo della Viven Une femme m'apparut. La nostra scelta è caduta su Dèsir (Desiderio), non perché sia una delle più belle, ma perché è certamente una delle più significative.

In questa poesia (tratta da Cendres et Poussières), una delle più tetramente barocche di Renée Vivien, espliciti richiami all'atmosfera di amore e colpa delle Femmes damnées di Baudelaire si mescolano a furori distruttivi e sadici alla Michel de Ghelderode, in pieno clima gotico-decantista.

Qui più che altrove è esplicitato il binomio Eros-Thanatos, forse appunto per un influsso più marcato di Baudelaire sulla giovane poetessa (siamo nel 1902 ed è dunque una delle prime raccolte della Vivien). Si nota, però, l'assenza di un elemento caratteristico delle poesie di ispirazione saffica presenti nei Fleurs du mal, e cioè il senso della colpa: quello che fece dire a Baudelaire, durante il processo per oscenità del suo libro: «Bisogna leggerlo tutto, per comprenderne la terribile moralità».

In René Vivien non c'è nulla di simile, neanche nelle prime e, per certi versi, ancora acerbe prove poetiche; per cui, anche da questo punto di vista, la sua sensibilità è più vicina a quella di Sandro Penna. Per lei, gli amori lesbico è perfettamente naturale e la problematica di un eventuale giudizio morale su di esso non la sfiora nemmeno. È vero che in questa poesia ella descrive la "lussuria" della donna amata, anzi ne fa il nucleo poetico dell'intero componimento; ma ciò non implica un giudizio morale negativo circa la natura dell'eros omosessuale, bensì costituisce una sorta di ornamento (barocco fin che si vuole) della donna - non diciamo della donna-vampiro, come fa Baudelaire, ma certo una insaziabile donna-mantide. In questo senso, lo si può paragonare alle collane e ai braccialetti che adornano le voluttuose schiave dell'harem di un pittore romantico come Ingrés, colte nella loro nudità conturbante e immerse in un'atmosfera al tempo stesso esotica ed erotizzante.

Il dramma interiore e l'atmosfera tragica che  pervadono le liriche di René Vivien, pertanto, non sono dovuti alla consapevolezza di una sentimentalità "contro natura", ma all'impossibilità di appagarsi serenamente nel proprio oggetto d'amore, di trovarvi pace e riposo; e inoltre nel senso ossessionante della fuga di ogni gioia e speranza di felicità, per cui l'estasi si trasforma inesorabilmente nel suo contrario, in una sofferenza insopportabile e in un presentimento di dissoluzione e di morte.

L'immagine finale dei lividi  lasciati sul collo dell'amata dalle violente carezze dell'amante  allude a un altro elemento caratteristico, la crudeltà sado-masochista, espressione di un oscuro desiderio uccidere la persona amata: forse per trovare, infine, un sollievo dalle catene infuocate del desiderio.

 

DÉSIR

 

Elle est lasse, après tant d'épuisantes luxures.          

Le parfum émané de ses membres meurtris

Est plein du souvenir des lentes meurtrissures.

La débauche a creuséses yeux bleus assombris.

 

Et la fiéve des nuits avidement rèvées

Rend plus pâles cheveux blonds.

Ses attitudes ont des langueurs énervées.

Mais voicique l'Amante aux cruels ongles longs

 

Soudain la ressaisit, et l'étreint, et l'embrasse

D'une ardeur si sauvage et si douce à la fois,

Que le beau corps brisé s'offre, en demandant grâce,

Dans un râle d'amour, de désirs et d'effrois.

 

Et le sanglot qui monte avec monotonie,

S'exaspèrant enfn de trop de volupté,

Hurle comme l'on hurle aux momentsd'agonie,

Sans espoir d'attendrir l'immense surdité.

 

Puis, l'atroce silence , et l'horreur qu'il apporte,

Le brusque étouffement  de la plaintive  voix,

Et sur le cou, pareil à quelche tige morte,

Blêmit la marque verte et sinistre des doigts.

 

DESIDERIO

 

Lei è stanca, dopo tante sfibranti lussurie.

L'odore che emanano le membra martoriate

È pieno del ricordo di lente contusioni.

La dissolutezza ha scavato nei suoi occhi cupi.

 

E la febbre di notti avidamente sognate

Ancor più rischiara i pallidi capelli biondi.

I suoi gesti conservano languori nervosi.

Ma ecco che l'Amante dalle crudeli unghie lunghe

 

Subito la riafferra, la stringe e l'abbraccia

Con una passione sì feroce e al tempo stesso dolce,

Che il bel corpo sfinito s'offre, chiedendo venia,

In un affanno d'amore, di desideri e paure.

 

E il singulto cresce con malinconia,

esasperandosi infine dalla troppa voluttà,

Urlo diviene come s'urla nei momenti d'agonia,

Disperando di attenuare l'immensa sordità.

 

Poi, l'atroce silenzio ,e l'orrore che ne deriva,

Il brusco soffocare della voce lamentosa,

e sul collo, simile a un gambo morto,

Il livido verde e sinistro delle dita.