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Indagine sugli omicidi rituali nel Medioevo: "Pasque di sangue. Ebrei d'Europa e omicidi rituali"

di Nicola Facciolini - 25/03/2008

Fonte: ilquotidiano

Ecco la nuova edizione del libro dell'anno di Ariel Toaff, storico del giudaismo: un
coraggioso caso editoriale, alla scoperta dei misteri di una setta
sanguinaria, tra riti, sacrifici e commercio. A ruba nelle librerie.

Nel 1475 il piccolo Simone venne trovato morto a Trento. Per il suo
omicidio furono giustiziati dal braccio secolare, 15 cittadini ebrei.
Fino al 1965 Simone fu venerato dai cristiani come beato. "Pasque di
sangue. Ebrei d'Europa e omicidi rituali" (Il Mulino, pp. 448), è la
nuova edizione 2008 del famoso e controverso libro del professor Ariel
Toaff, storico del giudaismo, figlio dell' ex rabbino capo di Roma
Elio Toaff, in cui l'Autore affronta uno dei temi più controversi temi
nella storia degli ebrei d'Europa, da sempre cavallo di battaglia
dell'antisemitismo: l'accusa, rivolta per secoli agli ebrei, di rapire
e uccidere bambini cristiani per utilizzarne il sangue nei riti della
Pasqua.

Per quel che riguarda l'Italia, processi per omicidio rituale si
ebbero quasi esclusivamente nella parte nord-occidentale, dove vi
erano comunità di ebrei tedeschi (askhenaziti). Cosa accadde al
piccolo Simone? Il libro torna nelle librerie e nelle biblioteche
stavolta per sempre, per far luce sulla verità di quelle incredibili
vicende sepolte dalla polvere dei secoli.

Il caso più famoso (forse, non l'unico) accadde nel 1475 a Trento,
dove numerosi ebrei della comunità locale furono accusati e condannati
per la morte del piccolo Simonino, che la Chiesa ha poi venerato come
beato fino a pochi decenni fa. Rileggendo senza pregiudizi la
documentazione antica di quel processo e di vari altri alla luce della
più vasta situazione europea e anche di una puntuale conoscenza dei
testi ebraici, l'Autore mette in luce i significati rituali e
terapeutici che il sangue aveva nella cultura ebraica, giungendo alla
conclusione che, in particolare per l'ebraismo askhenazita, l'"accusa
del sangue" non era sempre un'invenzione.

Dopo l'edizione ritirata dalle librerie perché foriera di polemiche e
contestazioni nel 2007, ora esce la nuova edizione rivista e corretta
di ''Pasque di sangue. Ebrei d'Europa e omicidi rituali'', pubblicato
dalla casa editrice il Mulino.
Ariel Toaff torna con una tesi sconcertante. Secondo il docente di
Storia del Medioevo e del Rinascimento presso l'università israeliana
Bar Ilan "dal 1100 al 1500, alcune frange estreme e ridotte del mondo
dell'ebraismo ashkenazita, realizzarono alcuni omicidi rituali.

In molte zone del Nord Europa, comprese tra il Reno e il Danubio,
oltre che nell'Alto Adige, i bambini cristiani venivano catturati per
essere sacrificati. Il loro sangue veniva utilizzato per i riti della
Pasqua ebraica".

"A questa seconda edizione di 'Pasque di sangue' - sottolinea l'Autore
- sono state apportate lievi modifiche ed aggiunte. Le prime
riguardano essenzialmente quelle espressioni e quelle frasi che, lette
frettolosamente o estrapolate dal contesto, hanno dato adito a
interpretazioni errate e fuorvianti". Le ipotesi elaborate da Toaff,
però, pare che restino invariate. I suoi studi confermano gli
orientamenti che tanto fanno discutere. "Le ipotesi di fondo avanzate
nella prima edizione - aggiunge infatti Toaff - rimangono le stesse
che ripropongo in questa nuova stesura del mio testo".

L'Autore ha analizzato le deposizioni rese dagli ebrei interrogati con
metodi brutali dal braccio secolare della Santa Inquisizione nel corso
del Medioevo. Secondo Toaff, dietro le confessioni estorte con la
violenza ai presunti colpevoli degli omicidi, si nasconde almeno
qualche verità. In alcuni casi esse dovrebbero essere considerate come
delle testimonianze credibili.

Accolto al suo primo apparire da vivaci discussioni e aspre polemiche,
questo libro è ora riproposto in una nuova edizione che l'Autore ha
arricchito con un attento lavoro di chiarimento e approfondimento e
con una stringente difesa dei metodi e dei risultati della propria
ricerca. Oggetto dell'indagine è il mondo dell'ebraismo ashkenazita
medievale, nel quale credenze popolari imbevute di superstizione e
magia e di viscerali sentimenti anticristiani configurano una diffusa
«cultura del sangue» contrastante con i precetti biblici e rabbinici.
In questa cultura trova posto anche una ritualità religiosa stravolta,
"eretica", che porge suo malgrado argomenti alla calunnia
dell'omicidio rituale, la terribile «accusa del sangue» origine di
tante persecuzioni antiebraiche nei secoli.

E proprio nelle confessioni estorte nei processi per omicidio rituale
(come quello famoso celebrato a Trento per la morte del piccolo
Simonino) questa cultura viene in qualche modo alla luce: scavando
attorno allo «stereotipo calunnioso» dell'omicidio rituale Toaff fa
così emergere una diversa immagine, per molti aspetti inedita, di
quelle comunità e fornisce un contributo innovativo alla conoscenza
dell'ebraismo europeo. Ma cosa accadde a Trento il 23 marzo 1475, la
vigilia di Pesach, la Pasqua ebraica? Nell'abitazione-sinagoga di un
israelita di origine tedesca, il prestatore di denaro Samuele da
Norimberga, viene rinvenuto il corpo martoriato di un bimbo cristiano:
Simonino, di due anni, figlio di un modesto conciatore di pelli.

La città è sotto choc. Unica consolazione è che l'indagine procede
spedita. Secondo gli inquirenti, hanno partecipato al rapimento e
all'uccisione del «putto» gli uomini più in vista della comunità
ebraica locale, coinvolgendo poi anche le donne in un macabro rituale
di crocifissione e di oltraggio del cadavere. Perfino Mosé «il
Vecchio», l'ebreo più rispettato di Trento, si è fatto beffe del corpo
appeso di Simonino, come per deridere una rinnovata passione di
Cristo. Incarcerati nel castello del Buonconsiglio e sottoposti a
tortura, gli ebrei si confessano responsabili dell'orrendo delitto.

Le deposizioni degli imputati ai processi di Trento concordavano sul
fatto che l'infanticidio di Simone sarebbe avvenuto di venerdì nei
locali della sinagoga, posta nell'abitazione di Samuele da Norimberga,
e più precisamente nell'anticamera della sala dove si raccoglievano
gli uomini in preghiera. Quest'ambiente, separato dalla sinagoga vera
e propria da una porta, era destinato in mancanza di un matroneo alle
orazioni delle donne. La porta comunque rimaneva aperta e, durante la
liturgia del Sabato, le donne vi facevano capolino quando i rotoli
della Torah venivano sollevati ed esibiti da chi officiava
sull'almemor, prima della lettura del brano settimanale del
Pentateuco.

Insomma, la "crocifissione" di Simone sarebbe stata effettuata su un
banco posto proprio nella cosiddetta «sinagoga delle donne». Il corpo
del putto, ormai senza vita, sarebbe stato poi trasferito per le
funzioni del Sabato nella sala centrale della sinagoga e deposto
sull'almemor. Allora, rispettando il copione di analoghe punizioni
esemplari, i colpevoli vengono condannati a morte e giustiziati sulla
pubblica piazza. Perché tutta questa violenza nei secoli?

Durante i duemila anni dell'era cristiana, gli ebrei si sono sentiti
accusare di infanticidio rituale, fino all'Ottocento quando quelle
accuse non finirono con l'apparire alla coscienza moderna niente più
che il parto di un antisemitismo ossessivo, virulento, feroce, fino
all'Olocausto nel Novecento. Unicamente la tortura - si è pensato -
poteva spingere tranquilli capifamiglia israeliti a confessare di
avere ucciso bambini dei gentili: facendo seguire all'omicidio non
soltanto la crocifissione delle vittime, ma addirittura pratiche di
cannibalismo rituale, cioè il consumo del giovane sangue cristiano a
scopi magici o terapeutici.

Impossibile credere seriamente che la Pasqua ebraica, che commemora l'
esodo degli ebrei dalla cattività d' Egitto celebrando la loro libertà
e promettendo la loro redenzione, venisse innaffiata con il sangue di
un "goi katan", un «piccolo cristiano»! Più che mai, dopo la tragedia
della Shoah, è comprensibile che l' «accusa del sangue» sia divenuta
un tabù.

O piuttosto, che sia apparsa come la miglior prova non già della
perfidia degli imputati, ma del razzismo dei giudici. Così, al giorno
d' oggi, soltanto un gesto di inaudito coraggio intellettuale poteva
consentire di riaprire l'intero dossier, sulla base di una domanda
altrettanto precisa che delicata: quando si evoca tutto questo - le
crocifissioni di infanti alla vigilia di Pesach, l'uso di sangue
cristiano quale ingrediente del pane azzimo consumato nella festa - si
parla di miti, cioè di antiche credenze e ideologie, oppure si parla
di riti, cioè di eventi reali e addirittura prescritti dai rabbini?

Il gesto di coraggio è stato adesso compiuto da Toaff. L' inquietante
domanda è stata posta alle fonti dell'epoca, da uno storico
perfettamente attrezzato per farlo: un esperto della cultura
alimentare degli ebrei, tra precetti religiosi e abitudini
gastronomiche, della vicenda intrecciata dell'immaginario ebraico e di
quello antisemita. Italiano, ma da anni docente di storia medievale in
Israele, Ariel Toaff manda in libreria per il Mulino un volume forte e
grave sin dal titolo, "Pasque di sangue".

Magnifico libro di storia, questo è uno studio troppo serio e
meritorio perché se ne strillino le qualità come a una bancarella del
mercato. Tuttavia, va pur detto che "Pasque di sangue" propone una
tesi originale e, in qualche modo, sconvolgente. Sostiene Toaff che
dal 1100 al 1500 circa, nell'epoca compresa tra la prima crociata e
l'autunno del Medioevo, alcune crocifissioni di «putti» cristiani - o
forse molte - avvennero davvero, salvo dare luogo alla rappresaglia
contro intere comunità ebraiche, al massacro punitivo di uomini,
donne, bambini. Né a Trento nel 1475, né altrove nell'Europa tardo
medievale, gli ebrei furono vittime sempre e comunque innocenti.

In una vasta area geografica di lingua tedesca compresa fra il Reno,
il Danubio e l'Adige, una minoranza di ashkenaziti fondamentalisti
compì veramente, e più volte, sacrifici umani. Muovendosi con
straordinaria perizia sui terreni della storia, della teologia,
dell'antropologia, Toaff illustra la centralità del sangue nella
celebrazione della Pasqua ebraica: il sangue dell'agnello, che
celebrava l'affrancamento dalla schiavitù d' Egitto, ma anche il
sangue del prepuzio, proveniente dalla circoncisione dei neonati
maschi d'Israele.

Era sangue che un passo biblico diceva versato per la prima volta
proprio nell'Esodo, dal figlio di Mosè, e che certa tradizione
ortodossa considerava tutt'uno con il sangue di Isacco che Abramo era
stato pronto a sacrificare. Perciò, nella cena rituale di Pesach, il
pane delle azzime solenni andava impastato con sangue in polvere,
mentre altro sangue secco andava sciolto nel vino prima di recitare le
dieci maledizioni d'Egitto. Quale sangue poteva riuscire più adatto
allo scopo che quello di un bambino cristiano ucciso per l'occasione,
si chiesero i più fanatici tra gli ebrei studiati da Toaff?

Ecco il sangue di un nuovo Agnus Dei da consumare a scopo augurale,
così da precipitare la rovina dei persecutori, maledetti seguaci di
una fede falsa e bugiarda. Sangue novello, buono a vendicare i
terribili gesti di disperazione - gli infanticidi, i suicidi
collettivi - cui gli ebrei dell'area tedesca erano stati troppe volte
costretti dall'odiosa pratica dei battesimi forzati, che la progenie
d'Israele si vedeva imposti.

Questo valore sacrificale, il sangue in polvere (umano o animale)
aveva per gli ebrei le più varie funzioni terapeutiche, al punto da
indurli a sfidare, con il consenso dei rabbini, il divieto biblico di
ingerirlo in qualsiasi forma. Secondo i dettami di una Cabbalah
pratica tramandata per secoli, il sangue valeva a placare le crisi
epilettiche, a stimolare il desiderio sessuale, ma principalmente
serviva come potente emostatico. Conteneva le emorragie mestruali.
Arrestava le epistassi nasali. Soprattutto rimarginava
istantaneamente, nei neonati, la ferita della circoncisione. Da qui,
nel Quattrocento, un mercato nero su entrambi i versanti delle Alpi,
un andirivieni di ebrei venditori di sangue umano: con le loro borse
di pelle dal fondo stagnato, e con tanto di certificazione rabbinica
del prodotto, sangue "kasher"...

Risale a vent' anni fa un libretto del compianto Piero Camporesi, "Il
sugo della vita" (Garzanti), dedicato al simbolismo e alla magia del
sangue nella civiltà materiale cristiana. Vi erano illustrati i modi
in cui i cattolici italiani del Medioevo e dell'età moderna
riciclarono sangue a scopi terapeutici o negromantici: come il sangue
glorioso delle mistiche, da aggiungere alla polvere di crani degli
impiccati, al distillato dai corpi dei suicidi, al grasso di carne
umana, entro il calderone di portenti della medicina popolare. Con le
loro «pasque di sangue», i fondamentalisti dell'ebraismo ashkenazita
offrirono la propria interpretazione - disperata e feroce - di un
analogo genere di pratiche. Ma ne pagarono un prezzo infinitamente più
caro. (Fonte: AA.VV.)

Ariel Toaff, storico del giudaismo, figlio dell' ex rabbino capo di
Roma Elio Toaff, insegna Storia del Medioevo e del Rinascimento nella
Bar Ilan University in Israele. Con il Mulino ha pubblicato «Il vino e
la carne. Una comunità ebraica nel Medioevo» (nuova ed. 2007; tradotto
in francese e inglese), «Mostri giudei. L'immaginario ebraico dal
Medioevo alla prima età moderna» (1996), «Mangiare alla giudia. La
cucina ebraica in Italia dal Rinascimento all'età moderna» (2000;
premio Carlo Levi e premio Ceretto).