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Il fenomeno erotico

di Marco Tedeschini - 28/03/2008

 

 

 

 

 

 

 

Professore all’università Paris-Sorbonne, importante studioso di René Descartes, cui ha dedicato fondamentali lavori sia storico-critici che editoriali, Jean-Luc Marion termina con Il fenomeno erotico un’indagine filosofica sulla questione dell’amore avviata nel 1977 con L’idolo e la distanza, ripresa esplicitamente nei Prolegomeni alla carità (1986) e di cui «portano il segno, esplicito o dissimulato» (p. 16) tutti i libri che ha pubblicato sino al 2003, data in cui Le Phénomene érotique è apparso in Francia presso Grasset. Il saggio in questione deve molto alle ‘ricerche sulla fenomenologia’ ch’egli ha portato avanti tra il 1987 e il 2001 e attraverso le quali è approdato a un’originale ‘fenomenologia della donazione’, che avrebbe non solo la pretesa di armonizzare e lasciar coesistere in un’unica cornice teorica i più importanti risultati a cui tale metodo ha condotto, ma pretenderebbe di rivederli per piegarli ai principi della propria fenomenologia, così superandoli e giungendo a conclusioni del tutto autonome. Si è trattato, dunque, di dialogare con pensatori quali Levinas, Henry, Derrida, Husserl, Heidegger, Badiou, Nancy e via discorrendo, per vagliarne gli esiti, almeno secondo il principio per il quale a tanta riduzione (il meccanismo centrale del metodo fenomenologico – anch’esso rivisto da Marion) deve corrispondere altrettanta donazione nell’intuizione del soggetto, e conferire al loro pensiero il rigore scientifico cui solo una tale fenomenologia potrebbe provvedere.

Il fenomeno erotico è quindi un libro che sancisce la conclusione di un percorso, durante il quale si è dovuto investire anche in quanto potesse, in apparenza, sembrare distante o, addirittura, “fuori tema”, ma che, invece, soprattutto dando credito a quella che sembra essere un’interpretazione che Marion dà di se stesso, è servito a progettare e costruire il telaio, col quale si è poi intessuta la trama del testo. Non si parla a caso o per retorica di trama: il libro sembra infatti essere stato concepito, quanto alla struttura, secondo meditazioni che chiamano direttamente in causa Cartesio – primo bersaglio polemico in questo saggio, che si apre col paragrafo Dubitare della certezza (p. 17) – ma non possono non accennare anche a Husserl, se non altro perché lui per primo si è cimentato nella scrittura di meditazioni stricto sensu fenomenologiche; nondimeno, queste sono condotte alla maniera di un romanzo, nel quale il narratore descrive la propria singolare esperienza d’amore in prima persona: «perché si dovrà parlare dell’amore come si deve amare, dirò io. E non potrò nascondermi dietro l’io dei filosofi, che lo suppongono universale […], ciò che non riguarda nessuno propriamente. Al contrario parlerò di ciò che riguarda ognuno come tale; quindi […] dirò io a partire dal fenomeno erotico in me e per me, e in vista di questo: il mio» (p. 15).

Sicché, Marion descrive inizialmente le ragioni per cui si è posta l’esigenza della ricerca di un tale fenomeno e di quelli di cui è scaturigine, dunque i propri tentativi di giungere a farlo emergere nella sua pienezza, sbagliando, tornando indietro su scelte precedentemente prese e che hanno condotto ad aporie, aprendo delle strade inizialmente malsicure e, poi, via via sempre più certe verso quanto è di più personale e mio in ogni uomo. La posta è alta. Ma non solo quanto al soggetto, bensì anche rispetto alla filosofia stessa che non sa più parlar d’amore, né ha ben chiaro cosa sia; si dovrà, pertanto, compiere uno sforzo ulteriore per riabilitare questo concetto filosoficamente; per tutto ciò è necessario, innanzi tutto, «identificare le decisioni che hanno vietato alla filosofia di pensare all’amore che è in lei, per poi invertirle. E tali decisioni sono facilmente individuabili: il concetto di amore è perito, perché la filosofia ne ha simultaneamente ricusato l’unità, la razionalità e il primato (anzitutto sull’essere)» (p. 9). Dunque si deve comprendere che tale triplice rifiuto trova radici in un’unica e più profonda «decisione» (p. 11), l’aver definito «l’amore come una passione, quindi, come una modalità derivata, ovvero facoltativa del “soggetto”» (p. 11). Pertanto, si tratterà di ricostruire l’unico senso della parola amore, per esempio rispetto ai diversi sensi che le sono stati “ritagliati” dal «pensiero non erotico» (p. 9) e di cui si hanno celeberrimi esempi nell’alternativa tra eros e agape; risulterà necessario restituire all’amore la sua «razionalità erotica» (p. 10), che viene spesso intesa dalla filosofia, a torto e per pregiudizio, come una follia; infine, gli si dovrà restituire il primato anzitutto sull’essere, perché, a quanto sembra, «posso perfettamente amare ciò che non c’è o non è più, non è ancora o il cui essere resta indefinito e, viceversa, un ente non esiste con certezza, perché io lo amo o lui ama me, ma in quanto l’incertezza del suo essere non me lo rende eroticamente indifferente» (p. 11). Se queste tre inversioni verranno compiute, allora il senso radicale e originale dell’erotico potrà riemergere, mostrando al contempo ciò che definisce l’uomo e lo rivela a se stesso: l’amore.

Il libro si suddivide in sei meditazioni, ognuna delle quali riprende, contraddice, aggiunge, conferma o meno i risultati della precedente o delle precedenti, sino a provare i frutti dell’intera analisi nel corso dell’ultima meditazione, ampliarne le prospettive, coordinarne il senso.

Le prime pagine aprono sulla questione della necessità in generale di sapere, il che porta a quella di ricevere una certificazione da esso; questa può giungere e fondarsi solo sull’esistenza effettiva e non immaginata di chi certifica, ovvero l’Ego cogito. Questa certezza di sé, tuttavia, resta muta, anzi trema di fronte alla domanda «a che scopo?» (p. 23), cui non v’è risposta, se non che non ve n’è nessuno, ovvero tutto è vanità e nulla. Marion afferma che una tale domanda si pone, perché l’uomo necessita di una rassicurazione, tale da potersi considerare, in questa esistenza, «come liberato dalla vanità, affrancato dal sospetto di inanità, indenne dal “A che scopo?”» (p. 28). Bisogna, nondimeno, chiarire se una tale rassicurazione sia possibile: essa evidentemente non ha a che fare con l’essere, in quanto è del tutto transeunte e in definitiva nulla, né con se stesso, che procede arbitrariamente nel certificare un’esistenza che, comunque, è destinata alla vanità; una tale esigenza non richiede di ottenere una qualche certezza di essere, «ma la risposta a un’altra domanda: “sono amato?”» (p. 28). Perché una tale domanda, per di più tanto esposta al patetico? Ebbene, è ciò che si tratterà di mostrare lungo tutto l’itinerario, invero tortuoso, che si percorrerà a partire da tale domanda, e che dovrà restituire la qualità specifica e individuale dell’uomo, nonché una tale rassicurazione.

Una tale domanda apre a quella che Marion definisce «la riduzione erotica» (p. 27), la quale, per ciò stesso, o almeno secondo i principi della fenomenologia della donazione, dona al soggetto l’accesso al «regno dell’amore» (p. 38), nel quale la vanità dell’essere viene confermata ed elevata a principio e in cui l’«amante si oppone al pensante» (p. 38). Ma la riduzione erotica non ha ancora donato alcuna rassicurazione, che, a quanto pare, può giungermi solo da altrove, poiché l’ego, nonostante ne abbia la pretesa, non riesce in alcun modo a provare amore di sé a partire da sé e ciò perché volersi amare, oppure, secondo un linguaggio metafisico, voler perseverare nell’essere, così, in definitiva, amare di continuare ad essere è del tutto contestato dalla vanità riscontrata. Si potrà resistere alla vanità? Non la si odia forse? A parere di Marion, le cose stanno proprio in questo modo e, infatti, la strada intrapresa rispetto all’amor di sé porta a un ribaltamento: l’Io si odia, perché percepisce con chiarezza ineluttabile la vanità e la finitezza radicale che lo costituiscono. «L’odio di sé è dunque la tonalità affettiva ultima dell’ego in regime di riduzione erotica» (p. 72). Quest’odio di sé si estende poi all’altro uomo, che in primo luogo egli ama odiare, in quanto lo dispensa dall’odiarsi per se stesso e in solitudine, e, successivamente, si immagina che quello stesso, per le medesime ragioni, lo odi. Quanto detto comporta un’aporia: a partire dalla domanda “sono amato?”, non solo si giunge all’odio di sé, ma la stessa possibilità di una rassicurazione venuta da altrove sembra essere bloccata. L’aporia è inaggirabile. Qualcosa nella domanda stessa, che avrebbe dovuto aprire la strada alla rassicurazione, non ha funzionato.

Poiché alla domanda non si può dare risposta positiva, si dovrà cambiarla, o meglio: radicalizzarla. È necessario radicalizzare la riduzione erotica, passare alla domanda «posso amare io per primo?» (p. 91). Come si arrivi a ciò è presto detto: il precedente interrogativo rimaneva ancora incagliato nella logica della reciprocità, per la quale l’Io pretendeva per prima cosa di essere amato, di ricevere tale amore, di essere. Sicché sarebbe stato ancora una volta l’essere a determinare l’amore e non viceversa. Radicalizzando la riduzione erotica a questa maniera, si fugge l’essere definitivamente perché lo si rende del tutto vano: l’inanità dell’io perde ogni valore, ama; la vanità non solo è presa di petto, ma accolta, assunta e disinnescata quanto alle difficoltà che aveva sollevato.

L’ego che ama per primo, ottiene la rassicurazione di essere amante – di «fare l’amore» (p. 96) – da se stesso, in quanto ha messo in scacco la domanda sullo scopo, e per di più è rivolto all’altrove per amarlo e non più per sgravarsi dell’odio che lo schiacciava. Ciò nonostante, questi rischia, amando per primo, di non essere amato; ma ciò, di nuovo, non fa di per sé problema, poiché stabilisce un amore senza essere e rompe con la logica della reciprocità, che avevano portato all’odio: «o amare non ha alcun senso, oppure significa non essere ricambiati» (p. 93). L’amore non trova alcuna ragione, se non quella fornitami dall’altrove amato, che diviene così il fuoco del proprio amore, il motivo che l’amante ha per amare.

Marion prosegue, portando a compimento una fenomenologia del «farsi avanti» (p. 106), che altro non sarebbe se non l’avance, termine d’uso comune anche in italiano e che, forse, avrebbe potuto non esser tradotto, ma, naturalmente, col rischio di intendere la parola nel senso sin troppo colloquiale che le si dà. Questa fenomenologia si confronta in primo luogo con Don Giovanni, il quale tradisce la riduzione erotica poiché si fa avanti e rischia, ma con la sola intenzione di concludere a proprio favore, di essere amato senza amare, di farsi avanti in modo provvisorio; ciò non rispetta la riduzione erotica, in quanto non rispetta la non reciprocità dell’amore e soprattutto mette in scacco un tale amore, che non ha mai avuto luogo, non è mai stato amore. Il farsi avanti trova la sua ragione in una decisione, che va ricondotta a un atteggiamento, e dunque a un’intuizione, la quale, d’altronde, fin quando non “troverà” un significato che possa corrisponderle resterà «cieca» (p. 124). Un tale significato, evidentemente, non giace nella propria immanenza, ma è estraneo e autonomo, in breve: altrove. Un tale significato corrisponde al ‘volto dell’altro’ come lo ha “riveduto e corretto” Marion nelle ricerche fenomenologiche di cui s’è scritto; il volto, che di norma avrebbe un significato etico che ne universalizza il significato «tu non ucciderai» (p. 128), in riduzione erotica ne acquista uno – erotico, si potrebbe dire – ulteriore, che, invece, lo specifica e lo rende unicamente per l’ego che lo riceve: «Eccomi!» (p. 133). Essendo anch’esso il frutto della decisione di un ego di amare un altro (che sarebbe l’ego destinatario del significato), esso blocca l’intuizione cieca dell’amante e gli mostra un fenomeno, che per ciascuno è l’altro, e nondimeno all’interno di uno stesso fenomeno: il fenomeno erotico, o «fenomeno incrociato» (p. 132), in quanto necessita di due intuizioni, ma ha un solo significato, “eccomi!”, il giuramento. Quest’ultimo sancisce l’individualità di entrambi gli amanti, in quanto si riconoscono e rassicurano l’un l’altro, per quegli amanti unici e insostituibili che sono.

Si tratterà, adesso, di specificare meglio cosa si intenda con questo fenomeno incrociato. Questo deriva dalla concorrenza delle intuizioni, è vero, e tuttavia la questione si complica nel momento in cui il fenomeno viene declinato come «incrocio delle carni» (p. 164) o «fenomeno dell’erotizzazione» (p. 184); il quale potrebbe essere reso come “rapporto sessuale”, se esso non fosse già compreso all’interno di un tale fenomeno, senza esaurirlo in alcun modo. Durante quest’atto infatti, ciascun amante diviene un «a-donato, colui che riceve se stesso da ciò che riceve e che dona ciò che non ha» (p. 155); ciò significa il compimento della decisione di amare e il significato di essere amato nell’unica «erotizzazione di ciascuna carne attraverso l’altra» (p. 155). Questo strano linguaggio denota semplicemente l’eccitazione della carne: l’Io è dato a se stesso attraverso la carne, sempre e in ogni caso, sicché quando essa si eccita, si potrebbe dire che gli dona una qualità maggiore di se stessa e contemporaneamente un accesso a quella dell’altro – il che non significa affatto che vi si confonda, ma che ne risente.

Si affrontano, dunque, i fenomeni del godimento, dell’orgasmo e della sospensione improvvisa di quello attraverso questo, ricostruiti secondo una precisa temporalità erotica. Inoltre, con l’orgasmo, cui succede l’improvvisa sospensione dell’erotizzazione, si scoprono la finitezza della carne e la peculiarità di questo fenomeno: è un fenomeno cancellato, per il quale «il sovrappiù di intuizione del concetto invade qualsiasi orizzonte della manifestazione, ma si ritira e scompare immediatamente in modo da non lasciare nulla da spiegare, da capire e da mettere in evidenza su questa spiaggia senza onde. Di questo fenomeno […] le parole mancano» (pp. 184-185). Con quest’ultima battuta, Marion segnala come il linguaggio ‘erotico’ sia un linguaggio tutto particolare, in quanto il suo unico riferimento è la carne e l’unico senso è quello tutto performativo dell’‘eccomi’, che non significa nulla di sensato (rispetto al mondo, per esempio) se non la «performance dell’altra carne» (p. 190).

A questo punto, si pone un problema che sembrerebbe richiedere un passo indietro: come il fenomeno dell’erotizzazione si accorderebbe con quello erotico, che ne garantiva il darsi solo a due individui insostituibili? In effetti, la carne potrebbe erotizzarsi con chiunque, dunque riportare all’anonimato i due amanti che l’hanno eccitata; il che verrebbe confortato dall’essere “cancellato” di un tale fenomeno. Torna qui necessario comprendere meglio in che consista il giuramento: «L’amante diviene se stesso solo perché l’altro, l’altro amante, gli assicura il proprio significato, lo assicura di lui, il primo amante, attraverso quel che è proprio di lui, l’altro amante» (p. 235). Il giuramento che l’ego fa all’altro è l’altro a doverlo confermare sulla base di ciò che quello ha compiuto in questo e viceversa. Così, che il ‘fenomeno erotico’ sia accaduto per poco o abbia avuto una durata tale da potergli assicurare una «visibilità durevole» (p. 236) che lo imponga, esso segna e trasforma chi l’ha ricevuto, così da individuarlo inequivocabilmente e da renderlo l’unico donatario di un tale fenomeno. Il fatto che il giuramento possa essere sempre rinnovato indica la fedeltà, ovvero quella figura del fenomeno erotico in cui l’io rinnova il suo giuramento, e conferma quello dell’altro, confortandolo una volta di più nella sua individualità. La fedeltà temporalizza – cioè lo fa durare nel tempo – il fenomeno erotico che solo per questa via si impone. La domanda sulla temporalizzazione di tale fenomeno erotico pone, infine il problema del terzo, ovvero della possibilità che un tale fenomeno duri più dell’io e al di là della sua storia.

Il testo si chiude mostrando come sia possibile, attraverso la riduzione erotica e ciò che essa ha donato, individuare il senso unico dell’amore – quello, appunto, nel quale si dona – distinguendolo dalle semplici pulsioni, che hanno a che fare col possesso e non con il donare all’altro, includendovi, invece, a pieno titolo l’amicizia e dimostrando l’interscambiabilità di eros e agape. A Dio (che ha la pretesa di chiamarsi come l’amore) sono, infine, dedicate le ultime righe del saggio: egli si definisce nel modo più esaustivo, alto e corretto solo e unicamente attraverso l’amore, e ama di un amore infinito e perfetto grazie al quale solo può distinguersi realmente dall’uomo; «Dio ci supera a titolo di miglior amante» (p. 283).

Si chiude, in questo modo, il lungo cammino di Jean-Luc Marion verso un pensiero esaustivo dell’amore, che possa restituirgli quanto gli era stato negato, permetta di intavolare un discorso su Dio che esca dall’onto-teo-logia e definisca l’uomo nella sua dimensione più propria – non più come cogito, ma come amante. Se vi sia riuscito, non è del tutto chiaro; evidentemente si dovrà far passare del tempo, approfondire le problematiche originalissime che affronta e suscita, studiare il metodo utilizzato, comprendere se le tensioni, dalle quali il libro non è esente, siano segno di una qualche carenza concettuale, ovvero di una difficoltà insita nell’articolazione di un tale pensiero, che non ne tange in alcun modo il pregio. Si è, nondimeno, messa in luce la possibilità che questo pensiero potesse scadere nel patetico, nel ridicolo o in un romanticismo ingenuo, che di filosofico avrebbe avuto ben poco. Ebbene, si è costretti ad ammettere, che il rigore e la profondità delle analisi di Marion impediscono che esse vi scadano e, tuttavia, le espongono a un tal rischio senza mezzi termini, al punto che il lettore che non abbia avuto una certa dimestichezza con il trittico fenomenologico precedente quest’opera, rischierebbe di fraintenderle; se non altro perché Il fenomeno erotico consiste in una pura e semplice descrizione di fenomeni, sulla quale non sembra essere applicata una qualche griglia interpretativa, attraverso cui il meccanismo solito della conoscenza (osservato l’effetto, si risale alla causa) giunge a render chiaro quanto non lo è. La descrizione, proprio come in una narrazione, si ferma al fenomeno che per sé si giustifica, come un fatto, senza nulla aggiungere – o, almeno, questa sarebbe la pretesa.

Al di là di possibili equivoci, si deve dunque sottolineare il pregio di un testo che si vuole innovativo, serio e rigoroso; se dunque, quanto a serietà e rigore, le analisi non lasciano alcun dubbio, in merito alla novità d’esse, è bene rimandare a studi più approfonditi che ne possano effettivamente stabilire il valore.

 

Marion, Jean-Luc, Il fenomeno erotico, Cantagalli, Siena 2007, pp. 288, € 18,50