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In fondo al mare

di Marco Boschini - 23/04/2008

 

Oceano

Le politiche di abbassamento delle emissioni di anidride carbonica riempiranno di ferraglia gli oceani, creando nuovi problemi ambientali.

La notizia circolava già da tempo in Europa e a lanciarla in Italia è Ventiquattro, il magazine del Sole 24 Ore. Nel 2012 una direttiva europea imporrà, pena salate multe, l’abbassamento della CO2 alle aziende, scatenando compravendite di crediti antiemissioni a discapito della natura.

Una delle ultime trovate in questo campo sembra particolarmente pericolosa: seminare, a pagamento e su commissione, limaglie ferrose in fondo ai mari per far fiorire alghe anti anidride carbonica. L’ipotesi è attualmente al vaglio degli euroburocrati ma già sono molti coloro che, fiutando un buon affare, si stanno organizzando.

Per esempio a San Francisco un tale Dan Whaley gestisce dal 2007 un’impresa di geoingegneria (l’ingegneria che da molto tempo modifica il clima con sistemi come il bombardamento delle nuvole) specializzata in “compravendita di crediti-carboni“.

L’idea alla base di questo nuovo business affonda le radici negli anni ‘30 quando si cominciò a pensare che le polveri ferrose strappate alle rocce terrestri dalla pioggia e dal vento potessero fertilizzare il plancton, e trova conferma nel ‘91 quando l’eruzione del vulcano Pinatubo nelle Filippine non solo scatenò la crescita del plancton ma fece registrare un’imprevista diminuzione della CO2 in atmosfera.

La comunità scientifica al momento è scettica. “Nonostante i piani di certe organizzazioni private, scrivevano in gennaio su Science sedici scienziati europei, indiani, americani, australiani, giapponesi e neozelandesi, concedere crediti-carbonio per la fertilizzazione degli oceani non ha alcun fondamento scientifico perché le ricerche rivelano un mare d’incertezza” sull’ampiezza dei danni collaterali. C’è infatti un limite di CO2 che l’oceano può assorbire senza diventare acido.