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La fede, la filologia, la libertà

di Franco Cardini - 06/05/2008

 

 

Alcuni giorni fa, il quotidiano “Avvenire” mi ha chiesto di commentare un articolo di Luciano Canfora comparso qualche giorno prima su “Il Corriere”, e che in realta corrisponde ad alcune pagine del suo ultimo libro. Ho redatto un pezzo piuttosto lungo, che naturalmente non ha potuto essere ospitato dal giornale della commissione Episcopale Italiana nella sua interezza e che e stato quindi pubblicato ridotto a un elzeviro piuttosto breve, che mi sembra rispecchi nella sostanza il mio parere, ma che forse – come sempre capita in questi casi - ne espunge alcuni aspetti. D’altronde, molti Amici mi hanno chiesto di poter disporre del suo testo integrale. Ecco qua.

Il titolo dell’ultimo libro del mio vecchio e caro amico Luciano Canfora, Filologia e liberta (Mondadori) e atticamente scarno e laconicamente conciso. Piu ellenico di cosi...
Ma la cosa splendida, affascinante e – per chi, come me, ha studiato con Giacomo Devoto e Gianfranco Contini – addirittura commovente sta nel tottotitolo: la dove si dichiara che la filologia e “la piu eversiva delle discipline”, attraverso cui passano “l’indipendenza di pensiero e il diritto alla verita”. Non si puo non esser colpiti da questa dichiarazione; e non si puo non concordare profondamente con essa. Del resto, Canfora lo dimostra lucidamente.
Il che non significa che si possa, e tantomeno si debba, essere in tutto d’accordo con lui. Prendiamo per esempio quanto egli ha pubblicato sotto forma di saggio, su “Il Corriere della Sera” del 24 aprile scorso, e che costituisce se non ho capito male il secondo capitolo del suo libro ( che confesso di non aver ancora letto: quanto segue si fonda pertanto solo su questo articolo, con tutti i rischi di fraintendimento che cio comporta).
Luciano Canfora e obiettivamente uno dei nostri migliori e piu lucidi intellettuali. E, a scanso d’equivoci, dichiaro esplicitamente di trovarmi quasi sempre in toto d’accordo con lui: anche sul piano delle valutazioni politiche. Non c’e tuttavia dubbio, e non ho alcuna difficolta ad ammetterlo, che il mio articolo si configura come una specie di - dal mio punto di vista di cattolico militante - doverosa difesa d’ufficio di Santa Romana Chiesa.
Canfora dichiara dunque con molta convinzione che il cammino della storia della liberta di pensiero si snoda “attraverso il faticoso e contrastato dispiegarsi delle liberta di critica sui testi che l’autorita e la tradizione hanno preservato. Il campo in cui primamente in eta moderna tale liberta provo a dispiegarsi fu quello delle ‘scritture’ dette appunto ‘sacre’ “; e prosegue poi con vari argomenti, come quello secondo il quale vi sarebbe detitio principii , da parte delle Chiesa cristiane storiche – e anzitutto di quella romana – il pretendere che i testi scritturali dichiarati “canonici” contengano la Verita (e siano pertanto, in quanto ispirati da Dio, sacri) prescindendo da una loro precisa ricostruzione, quale appunto si puo conseguire solo attraverso il lavoro filologico: che “solo dopo aver ricostruito il testo si dovrebbe approdare (eventualmente) a scoprire quale verita esso contenga”. E’ evidente che Canfora non puo far torto alla sua intelligenza e alla sua cultura – ne aspettarsi che cadiamo nel suo tranello – allorche pretende di applicare un’argomentazione di carattere logico e razionale a qualcosa che per sua natura e, quanto meno iuxta Romanae Ecclesiae principia, metalogico e metarazionale (libero poi chi vuole di definirlo, invece, illogico e irrazionale o alogico e arazionale). Alludo evidentemente al principio della verita Rivelata e al dogma. Che i testi scritturali contengano (ed e ormai quasi bimillenaria la polemica circa i modi e i sensi secondo i quali cio avvenga) la Verita – con la maiuscola: cioe, appunto, quella rivelata: ego sum Via, Veritas, Vita... – e materia di dogma, non d’induzione ne di deduzione. D’altronde, il dogma sta alla fede come il postulato alla matematica: una volta stabilito un fondamento che per sua natura non si puo ne dimostrare, ne discutere, il resto dev’esserne dedotto secondo ragione; ma e proprio qui, mi pare, che il Logos, il Verbum del Vangelo di Giovanni si discosta dalla logica di matrice greca. Ed e proprio qui, mi pare, che incespichino sempre anche quei cristiani i quali ritengono che il cristianesimo, ispirandosi a “quel” Logos, sia sempre e comunque anche razionale: a differenza dell’Islam, il quale respingendo il principio della “Potenza ordinata” di Dio per rivendicare in via esclusiva la Sua “Potenza assoluta” si porrebbe dalla parte dell’irrazionalita: qui i conti non tornano: e non c’e controversista antislamico che tenga, nemmeno se si tratta del basileus Manuele II (che del resto s’ispirava, e anche piuttosto pedestremente, alle non irreprensibili ragioni del nostro buon Ricoldo da Montecroce, per giunta non irreprensibilmente tradotto dal latino in greco).
Ma non e di cio che in questa sede si deve trattare. Revenons a nos moutons. Ora, amicus Lucianus, sed magis amica veritas. Canfora non puo aspettarsi che alle sue bordate da duecento libbre non risponda, dagli spalti di noialtri pontifici, nemmeno una timida salva di moschetteria. Piano, intanto, con la galleria degli Illustri martiri del libero pensiero, nella quale egli allinea Erasmo, Spinoza e Bruno come se fossero proprio la stessa cosa. Erasmo, intanto, non disse mai una parola contro l’ortodossia cattolica: e, se un martire in quel torno di tempo ci fu, e ce ne fu uno esemplare, si tratto semmai di Thomas More, martire al tempo stesso della fede e della liberta.
Ma prima di loro erano successe molte cose. Come ha ricordato un grande studioso, il De Lubac, ch’era anche cardinale di santa Romana Chiesa, la compresenza di addirittura quattro sensi nelle Scritture – tutti veritieri, ciascuno al suo livello – era alla base dell’esegesi medievale, in cio gia forse qualcosa di piu che “prefilologica”. E non e stato a partire da un testo sacro, bensi da uno profano che la nascente filologia ha sgombrato in pieno XV secolo il campo da una secolare e fin ad allora condivisa menzogna, quella della cosiddetta “donazione di Costantino”: e a farlo, a tutto scapito degli interessi quanto meno mondani del papato,e stato proprio quel Lorenzo Valla che senza dubbio avrebbe ispirato Lutero per il “libero esame” delle Scritture, ma che dal canto suo – nemmeno nei trattati piu chiaramente anticuriali, come il De professione religiosorum – non si e mai allontanato nemmeno d’un pollice dall’ortodossia. Ed e proprio il Valla, prinpeps filologorum , che tanto nel De libero arbitrio quanto nelle Dialecticae disputationes ha prevenuto di mezzo millennio le critiche di Luciano Canfora ed ha ad esse replicato affermando (papale papale: e il caso di dirlo, una volta tanto) che i principii della fede sono indimostrabili e che male fanno quei teologi che cercano di ridurli alla dimensione di argomenti razionali attraverso cavillosi ragionamenti. E malissimo fanno, aggiungiamolo, quei filologi di oggi i quali dimenticano che la Chiesa si sostiene sulla fede er da essa trae i suoi principali argomenti (“fede e sustanza di cose sperate – ed argomento delle non parventi”). Ma non e stata proprio la filologia moderna, come appunto Canfora dimostra, a cercare sovente di trascinare la comunita cristiana sul piano della critica razionalista delle Scritture, con cio pretendendo da parte di essa l’abbandono e lo snaturamento della fede?
Il punto che tutti noialtri, credenti e no, abbiamo difficolta ad ammettere e ad accettare, e che invece e inaggirabile, e che fede e ragione possono anche convivere e camminare di pari passo: ma incontrarsi, convergere, venir verificata l’una nell’altra e l’una attraverso l’altra, addirittura confondersi, questo mai. Possono certo disporre di una qualche complementarita: ma lo statuto di tale complementarita e, per definizione, inattingibile sul piano immanente e razionale. I non credenti possono pertanto vivere etsi Veritas, idest Deus, non daretur: e una loro scelta e un loro diritto. Ma i credenti debbono aver la pazienza di aspettare che la Verita, che per ora e loro solamente “rivelata”, cioe proposta come sostanza di fede ch’essi hanno la liberta di accettare o meno, venga loro squadernata nell’Altra Vita. “Fede e sustanza di cose sperate”. Tutto cio sara “irrazionale” e “antimoderno”: ma e cristiano. Prendere o lasciare: e il ricatto razionalista qui non funziona. Quando si critica la fede cristiana, specie nella confessione cattolica, e le scelte della chiesa che da essa discendono, si deve accettare questo gioco: e starci. Altrimenti si che c’e una “detizione di principio”, eccome.
Cio premesso, perche scorgere tante penose contorsioni nel Divino afflante Spiritu di Pio XII? Perche meravigliarsi se la Chiesa, confrontandosi con la storia e il progresso scientifico e tecnologico, modifica progressivamente le sue posizioni, riconosce le verita della scienza mano a mano in cui esse emergono dalla ricerca (e la scienza stessa muta peraltro di continuo i contenuti delle sua verita), quindi rifiuta per esempio – dopo averlo a lungo e strenuamente difeso - il sistema tolemaico e accetta infine, non senza averlo prima avversato o quanto meno guardato con sospetto, anche la verita razionale contenuta nel metodo filologico?
Tutto cio, questo cammino ascendente che la Chiesa compie con la societa, magari non senza ritardi che possono anche essere stati colpevoli, e da molti anni ormai – non dico che lo sia sempre stato... – anche oggetto di riflessione perfino ai massimi livelli gerarchici ecclesiali. Ma allora facciamo un passo in piu: diamo uno sguardo alla fenomenologia degli eventi. Solo la Chiesa ha, nella storia, avuto il coraggio di riconoscere e denunziare serenamente le colpe dei suoi figli. Lo ha fatto dinanzi alla filologia, dinanzi alla memoria di Galileo, poi per le crociate, l’inquisizione, il massacro degli indios. Puo darsi che cio non sia avvenuto per molto tempo: Canfora ha ragione, ma ha anche buon gioco, nel ricordarci il Concilio di Trento. Possiamo dal canto nostro prenderci la liberta di fargli osservare che, dopo quell’evento cinquecentesco, sono accadute nel mezzo millennio successivo anche altre cose? Possiamo ricordargli che d’altronde, nel mondo europeo segnato dall’assolutismo, i regimi dei paesi ancora cattolici cavalcavano serenamente il dogmatismo ecclesiale e la disciplina che ne derivava (Jean Bodin, funzionario regio d’un sovrano che si autodenominava “cristianissimo”, ha fatto bruciare da solo piu streghe di quante non ne abbiano fatte ardere le inquisizioni romana e spagnola messe insieme) mentre quelli protestanti, con le scuse della deformatarum rerum reformatio e del cuius regio eius religio, procuravano sistematicamente di non esser da meno? Possiamo infine fargli notare quel ch’egli sa meglio di noi, vale a dire che il “processo di laicizzazione” ha prodotto, e proprio partendo dal razionale e libertario Rousseau, nuove forme di dogmatismo e di tirannia, che magari hanno avuto anche – Lucacz insegni...- la pretesa di aver la filologia dalla loro; e che quindi nemmeno la filologia, ch’e forse necessaria, e sufficiente a garantire sempre e comunque il libero pensiero?
Quanto alla Chiesa, il dogma certo rimane ed e irrinunziabile: ma sul piano della riconsiderazione della storia e di quella che un grande pontefice ha definito “purificazione della memoria”, credo si debba obiettivamente riconoscere che almeno da Pio XII a Benedetto XVI, attraverso Giovanni XXIII, Paolo VI e Giovanni Paolo II, c’e stata una lunga teoria di esami di coscienza e di pubbliche manifestazioni di umilta: senza infingimenti e senza occultamenti, con autentica disposizione all’ascolto e al dialogo. Non trovo alcun esempio del genere, nella storia. Mentre Pio XII pronunziava il Divino afflante Spiritu, a Berlino e a Mosca i tribunali dei Detentori Laici della Verita stavano funzionando a pieno ritmo: ed erano tribunali rispetto ad almeno alcune ragioni dei quali ne tu ne io, amico Luciano, possiamo nemmeno adesso sentirci estranei; e che non si sono mai pentiti, non hanno mai chiesto scusa. Come, tanto per limitarci agli esempi piu illustri, Sua Maesta Britannica non si e mai lasciata sfuggire dalle auguste labbra una parola di vergogna per i milioni di morti indiani, arabi e sudafricani che le gravano la coscienza (e non parliamo poi, quanto a responsabilita nei massacri coloniali, della Spagna, della Francia, del Portogallo; e forse soprattutto dei piccoli, simpatici e liberali regni del Belgio e d’Olanda...). Come mister Bush, dinanzi al Santo Padre nella sua recente visita negli Stati Uniti, ha perduto a ciglio asciutto l’occasione di chieder perdono per Guantanamo e per Abu Ghraib; e magari, a nome del suo paese, per il massacro dei pellerossa e per la bomba di Hiroshima.
No. Nel suo cammino di “purificazione della memoria”, la chiesa e stata lasciata sola. La si e bensi accusata di reticenze e di esitazioni: ma ci si e ben guardati dal far come lei. La Chiesa da l’esempio della liberta e dell’umilta; ma gli altri non la seguono. La Chiesa continua ad esser Maestra, sia pur non di filologia: ma parla a un uditorio di pessimi scolari.