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Istruzione: la cultura, un'azienda al servizio del profitto

di Emanuele Liut - 17/06/2008

 
Non sono anni facili per l’istruzione italiana. Ormai rassegnata ad un foraggiamento pubblico ai limiti dell’essenziale (si attesta sempre agli ultimi posti in Europa), sembra oltre ciò afflitta da una ben più grave malattia che ne intacca lo spirito e la porta lontana dalle sue mitiche origini di alma mater delle istituzioni, anima fondatrice della cultura, luogo di incontro e crescita delle menti.

Oltre la congenita mancanza e spreco di fondi sembra essere quindi altrettanto importante la quasi assenza di valevoli idee e impulsi verso il rinnovamento di un’istituzione che si è troppo piegata, nel nome di una funzionalità - neppure efficacemente raggiunta - delle figure professionali, verso il “mercato del lavoro”; finendo così per sottomettersi del tutto alle “logiche del mercato” e divenendone l’appendice di preparazione.

Essa deve infatti fornire la piena ‘accettazione intellettuale’ del sistema in cui dovrà, puntualmente, inserirsi la figura professionale.
Questa sorta di mancanza di personalità ha coinvolto anche e soprattutto le cosiddette facoltà umanistiche.
Ad esempio, per molti abulici laureati nelle materie in questione, risuona questo -ormai di moda- nuovo sbocco nella “gestione delle risorse umane”(il che significa, il più delle volte, finire in un’agenzia per la selezione del personale). Un nome accattivante ma, molto spesso, più realisticamente traducibile con: asettica valorizzazione delle capacità di produzione, creazione e analisi di profili professionali, caratteriali, motivazionali, tesi ad essere compatibili con il sistema aziendale. Non siamo insomma di fronte né ad un utilizzo positivo delle creatività e capacità professionali, né a una nuova consapevolezza riguardo l’agire sociale umano.
In una parola: normalizzazione.

Tutto questo, naturalmente, sopra il comun denominatore dell’espansione del profitto, nella cui amoralità scompaiono i valori della socialità e della crescita umana.
Questa nuova tendenza (quasi per altro esclusiva delle grandi aziende) è sintomatica della progressiva perdita di dignità sia dell’istruzione che del lavoro: la gestione delle risorse umane sarebbe in questo senso da considerare (con un po’ di fantasia) alla stessa stregua del welfare state: un “tampone per il disagio” che non fa altro che contenere illusoriamente il problema.

Manco a dirlo poi, i master post-laurea in questa “nuova disciplina” sono per la gran parte istituiti da fondazioni private (spesso straniere), che da il 1992 (...) ad oggi hanno incrementato tantissimo il loro numero, completando un’invasione culturale già ampiamente in atto a livelli culturali “inferiori” come tv e carta stampata.

Certo, le forti ingerenze culturali sono congenite all’Italia repubblicana quasi specularmente a quelle politiche ed economiche, ma fino agli anni ‘80 e primi ‘90 l’istruzione pubblica manteneva ancora, sotto la protettiva ombra dell’irriducibile legge Gentile, le proprie umanità e dignità, perlomeno formalmente. Il classico doppio colpo, a traino di quello avvenuto ai favore del “nuovo mercato del lavoro”, a nome Treu-Maroni (e con un sempre immolato Biagi simbolo inconsapevole) delle riforme Berlinguer e Moratti ha fatto tutto il resto. Così, ad esempio, i 4 (più uno per la tesi) anni della facoltà di filosofia che contenevano una ventina di approfonditi esami (su cui lo studente aveva ampia libertà di scelta, ruotando intorno a un piccolo numero di materie fondamentali) sono stati compressi e vivisezionati in 3 anni da un totale di 25-26 esami, salvo poi l’obbligo, per avere una “laurea seria”, di ripetere il tutto nei 2 anni di specializzazione, la maggior parte delle volte con gli stessi docenti. Il tutto, se serve dirlo, a scapito della qualità dell’insegnamento.

La libertà di scelta, l’indipendenza creativa che dovrebbe essere il simbolo, soprattutto in una facoltà come quella di filosofia ma anche di scienze politiche, giurisprudenza o quant’altro, è stata invece sostituita da rigide suddivisioni in curricula e percorsi: etica, estetica, scienze storiche, epistemologiche,ecc. Altro sintomo considerevole l’ormai diffusa presenza (nei libretti di presentazione di questi percorsi formativi) dell’elenco delle possibilità lavorative (naturalmente extra-pubbliche) che una laurea in filosofia della scienza o morale può fornirti, tra le quali spicca -un po’ fuori luogo- il marketing. Alla faccia di Eraclito e Platone.

Questa letterale mancanza di volontà propria, rende poi naturale (e senza neanche molti patemi sembra...) l’ostruzione della creatività degli studenti che, racchiusa in una grigia accademicità e nei suoi obblighi, ha paura di andare “oltre le righe”, oltre una dignitosa (quanto rasserenante) scientificità.
Ma un po’ grezzamente diremo: dal momento che è anche “il prof.” a decidere del mio futuro, farò meglio ad essere accondiscendente con lui senza mettermi eccessivamente in gioco.
L’istruzione deve essere, di certo, più fortemente legata al mondo del lavoro, favorendo un positivo e sinergico dialogo e una cooperazione effettiva; ma una maggiore apertura e conciliazione tra i due poli tradizionalmente contrapposti, tecnico-scientifico e letterario-umanistico, non deve essere né una sorta di sottomissione di quest’ultimo al primo in nome di un grezzo funzionalismo, né una dipendenza di entrambi ai bassi interessi del mercato. Il contrario di ciò che è oggi purtroppo.

Nell’inattaccabile certezza, invece, che il sapere deve essere pubblico e scevro da interessi diversi se non il bene dell’uomo e libero da censure strategiche: è necessario che “il grande edificio dell’istruzione” diventi per davvero il luogo della libertà per la mente e cessi di essere il braccio buono del potere, candidamente e asetticamente nascosto sotto l’egida di un sapere scevro da interessi.
Il sapere deve invece avere degli interessi, eccome!
E questi devono essere gli interessi dell’uomo, non solo odierno ma venturo, nell’ottica di un’inevitabile evoluzione a cui dobbiamo tendere per la nostra stessa sopravvivenza.

Deve essere il luogo di incontro e scontro delle idee più geniali e creative, delle proposte davvero utili e praticabili. Svolgendo infine la sua funzione nel più grande obbiettivo di ritrovare la nostra socialità, l’amore per noi stessi come popolo, per la grande nazione del cui benessere vogliamo far parte, nel nostro comune destino di esseri umani.
Dovremmo infine prendere alla lettera le parole del filosofo francese G. Deleuze: “Avrai il tuo bagaglio teorico, e sarà necessariamente uno strumento di lotta”. Ma questa è forse un’altra storia... Sto sognando?...