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Nelle «Vicende dell'uomo e del bove» la parabola Zen del progresso spirituale

di Francesco Lamendola - 20/06/2008

Lo Zen appartiene a quelle dottrine buddhiste che si sogliono definire "brusche" o "discontinue" (contrapposte a quelle "graduali" o "continue"), perché l'obiettivo cui mira - il conseguimento dello stato di Buddha mediante il satori - sopravviene in modo improvviso.

A dispetto di ciò, la mente umana, che si trova immersa nella contingenza, non è detto che possa raggiungere direttamente un tale risultato; anzi, è molto probabile che siano necessarie più vite terrene. Di conseguenza, guardando allo Zen non dal punto di vista dell'assoluto, ossia della verità in se stessa, ma del contingente, in cui si svolge la vita ordinaria, il passaggio dall'ignoranza all'illuminazione avviene di norma in modo graduale, nel senso che la verità emerge nella coscienza non di colpo, ma progressivamente.

Beninteso, il satori - la totale identificazione della mente con la verità - è e rimane un evento fulmineo, istantaneo; ma, per avere la possibilità di conseguirlo, una preparazione mediante la meditazione sistematica costituisce una premessa estremamente utile, anzi necessaria. Infatti, l'identificazione della mente con la verità non è una operazione della mente di tipo, per così dire, astratto: in pratica, essa consiste nella visione della propria natura più profonda.  È quello il momento in cui scatta, istantaneamente, il satori.

In questa prospettiva bisogna inquadrare la parabola delle vicende dell'uomo e del bove, che compare in tutti i trattati Zen e che costituisce un ausilio alla chiarificazione interiore. Ne esistono almeno due versioni, una costituita da sei scene o episodi, l'altra - quella che qui presentiamo - da dieci. La prima è stata ideata da un monaco di nome Seikyo e ripresa, più tardi, da un maestro chiamato Tzu-te Hui, e verte sul processo di albificazione del bove, allegoria del graduale progresso spirituale di colui che intraprende la via mistica allo Zen.

La seconda è stata pensata e realizzata dal monaco Kakuan della scuola Rinzai e consta di un triplice linguaggio espressivo: pittorico, narrativo e poetico. Ogni singola scena., infatti, è illustrata da una pittura, da un breve brano in prosa e da un componimento poetico di quattro versi, che formano un tutto unitario e coerente. Dalla prima alla decima scena, ciò che viene raffigurato e commentato è il progresso della mente dallo stato iniziale di ignoranza, smarrimento e confusione fino allo stato supremo di illuminazione e beatitudine.

Qui non si parla dell'albificazione del bove, ma della ricerca di esso da parte dell'uomo: in cui il bove è, naturalmente, un simbolo della graduale consapevolezza interiore, conquistata appunto mediante la meditazione.

 

Il grande studioso ed esperto do dottrine Zen, Daisetz Teitaro Suzuki, ha giustamente ricordato che concezioni analoghe sono presenti anche in altri ambiti culturali e religiosi; perché la via mistica è - aggiungiamo noi - quella che maggiormente valorizza l'elemento comune presente nelle varie tradizioni spirituali e che, per converso, riduce al minimo e tende a far scomparire gli elementi di diversità o, addirittura, di contrapposizione.

Il mistico, infatti, è una figura universale; e l'obiettivo finale della meditazione - la chiarificazione interiore, la consapevolezza della propria natura più profonda e l'unione beatificante con l'Essere, comunque lo si voglia concepire (immanente o trascendente; monistico o non duale; ecc.) - è, in realtà, sempre lo stesso, indipendentemente da come lo si voglia chiamare.

Nel misticismo sufi, ad esempio, le tappe dell'evoluzione spirituale sono descritte nella metafora delle Sette Valli, che sono, progressivamente, la Valle della Ricerca, dell'Amore, della Conoscenza dell'Indipendenza, dell'Unità; dello Sbalordimento e dell'Annientamento.

Nel misticismo cristiano il medesimo concetto è stato illustrato dai vari mistici con immagini e simbologie non tanto diverse.  Santa Teresa di Avila parla di quattro stadi: della Meditazione, della Quiete, uno stadio intermedio e infine quello dell'Unità. Anche Ugo di San Vittore enumera quattro stadi: della Meditazione, del Soliloquio, della Considerazione e dell'Estasi.

 

Riportiamo qui di seguito la parabola dell'uomo e del bove nella versione del monaco Kakuan, così come è stata esposta dal D. T. Suzuki nei Saggi sul Buddhismo Zen (titolo originale: Essays in Zen Buddhism. First Series; traduzione italiana di Julius Evola, Edizioni Mediterranee, 3 voll., Roma, 1975, 1992, I, pp.  350-359).

 

I. RICERCA DEL BOVE.

Esso non si è mai smarrito; che senso ha, dunque, cercarlo? Non abbiamo familiarità con esso perché ci siamo dati ad escogitare cose contrarie alla nostra natura più profonda. Esso si è perduto, perché siamo stati sviati dall'illusione dei sensi. La Casa ci si allontana sempre di più, le vie secondarie e le traverse continuano a farci confondere. Il desiderio di avere e la paura di perdere ci bruciano come fuoco; idee di bene e di male vengono su, a schiere.

 

Solo, nella solitudine selvaggia, perduto nella giungla egli cerca, cerca!

Fiumi in piena, montagne lontane e la via senza fine;

Esausto e disperato, non sa dove andare;

Ode soltanto le cicale della sera che cantano nei boschi di acero.

 

II. SI SCORGONO LE ORME DEL BOVE.

Con l'aiuto dei testi e col cercare nelle dottrine, egli giunge a capire qualcosa: trova le tracce. Ora egli sa che le cose, benché molteplici, in essenza sono uno e che il mondo oggettivo non è che un riflesso dell'Io. Ma egli è ancora incapace di distinguere ciò che è buono da ciò che non lo è; la sua mente è ancora confusa per quel che riguarda il vero e il falso. Non avendo egli ancora varcato la soglia, vien detto, per ora, che egli ha scorto le orme.

 

Vicino all'acqua, sotto gli alberi, sono sparse le orme dell'animale perduto.

I boschi olezzanti stanno facendosi folti - troverà egli la via?

Per lontano che il bove erri, sulle colline e ancor oltre,

Il suo muso raggiunge i cieli e nulla può nasconderlo.

 

III. SI VEDE IL BOVE.

Grazie al suono, egli trova la via; vede le origini delle cose e tutti i suoi sensi sono in un odine armonioso. In ogni sua attività quest'ordine è chiaramente presente. È come il sale nell'acqua marina e l'olio di lino nei colori. [È presente, ma non lo può distinguere.] Quando dirigerà il suo sguardo nel modo giusto, scoprirà che null'altro esiste fuori di lui stesso.

 

Lassù, posato su di un ramo, un usignolo canta tutto lieto;

Il sole è caldo, una brezza refrigerante soffia attraverso i verdi salici della riva;

Il bue è là, solo; non vi è luogo ove possa nascondersi;

Quale pittore saprebbe ritrarre la sua testa magnifica dalle corna maestose?

 

IV. IL BOVE VIENE CATTURATO.

Dopo essersi sperduto per un lungo tempo nella solitudine selvaggia, egli ha finalmente trovato il bove e se ne è impadronito. Ma a causa della pressione prepotente del mondo esterno è difficile mantenere sotto controllo il bove. Di continuo, esso agogna la fresca erba. La natura selvaggia è ancora agitata e non vuole assolutamente lasciarsi domare. Se si vuole averla completamente sotto il potere, bisogna usare senza riguardi la frusta.

 

Con tutte le forze della sua anima, egli si è finalmente impadronito del bove:

ma quanto è selvaggia la sua volontà, quanto è difficile a governare la sua potenza!

Talvolta esso s'inerpica su per un altopiano,

Ed ecco, si perde fra le nebbie impenetrabili di un passo montano.

 

V. IL BOVE PORTATO AL PASCOLO.

Se un pensiero si muove, un altro lo segue, poi un altro ancora: si desta una catena senza fine di pensieri. Grazie all'illuminazione, essa cede alla verità, ma quando nella mente predomina la confusione, è l'errore ad affermarsi. Le cose non ci opprimono per via dell'esistenza di un mondo oggettivo, bensì a causa di una mente che inganna se stessa. Non tener lenta ma tesa la corda che passa pel naso della bestia, Non accordare a te stesso alcuna indulgenza.

 

Non separarti mai dalla frusta e dalla cavezza,

A che esso non se ne fugga, a pascolare fra le sozzure:

baderai ad esso nel modo giusto, diverrà puro e docile,

E ti seguirà da sé, anche senza catena o cavezza.

 

VI. RITORNO A CASA CAVALCANDO IL BOVE.

La lotta è finita; egli non si cura più di guadagno o di perdita. Fischietta un'aria da legnaiolo, canta canti semplici da ragazzo di villaggio. Cavalcando il bove, il suo sguardo si affisa su cose che non sono nella terra. Perfino se viene chiamato, non volta la testa; non v'è più nulla, la cui seduzione possa trattenerlo.

 

Cavalcando il bove, prende calmo la via di casa;

Circondato dalla bruma serale, in che modo melodioso il suono del suo flauto si perde nelle lontananze!

Cantando a tempo una canzonetta, il suo cuore è pieno di una gioia indescrivibile!

Occorre dire che egli è divenuto uno di coloro che sanno?

 

VII. IL BOVE LO SI ÈDIMENTICATO, L'UOMO RESTA SOLO.

Le cose sono uno e il bove è un simbolo. Quando ti accorgi che ciò di cui hai bisogno è la lepre o il pesce non il laccio o la rete, è come se l'oro si separasse dalla ganga, è come se la luna uscisse dalle nubi. L'unico raggio della luce serena e penetrante risplende perfino prima del giorno della creazione.

 

Cavalcando il bove, egli finalmente è di ritorno a casa.

Ed ecco! Il bove non c'è più, e in che serenità ora egli se ne sta seduto, tutto solo!

Benché il rosso sole sia alto nel cielo, sembra dormire ancora tranquillamente.

La frusta e la corda stanno inutili per terra vicino a lui, sotto un tetto di paglia.

 

VIII. NON SI VEDE PIÙ NÉ IL BOVE, NÉ L'UOMO.

Ogni confusione si è allontanata, regna soltanto una serenità; perfino l'idea della santità perde ogni valore. Egli non si attarda presso i luoghi ove è il Buddha, passa rapidamente là dove non vi è più alcun Buddha. Ove non esiste nessuna specie di dualismo, perfino chi avesse mille occhi non riuscirebbe a scoprire una fessura. Una santità dinanzi alla quale gli uccelli offrono dei fiori, non è che una farsa.

 

Tutto è vuoto, la frusta, la corda, l'uomo, il bove:

Quale sguardo ha mai abbracciato l'immensità del cielo?

Sulla fornace ardente non può cadere un fiocco di neve:

Quando regna questo stato, lo spirito dell'antico maestro è manifesto.

 

IX. RITORNANDO ALL'ORIGINE, RISALE ALLA SORGENTE.

Puro e immacolato fin dall'inizio, egli non è stato mai toccato dalla sozzura. Egli osserva, calmo, la nascita e la fine delle cose legate aduna forma, mentre risiede nella serenità immutabile della non-affermazione. Se egli non si identifica con la fantasmagoria delle trasformazioni, a che gli servono le artificialità dell'autodisciplina? L'acqua scorre azzurra, le montagne s'innalzano tutte verdi. Seduto in solitudine, egli osserva le cose soggette al mutamento.

 

Tornare all'Origine, tornare alla Sorgente - è già un passo falso!

È molto meglio restare a casa, senza vedere, senza udire, in semplicità, con poche cure.

Seduto nella capanna, non prende conoscenza delle cose che stanno fuori.

Guarda l'acqua che scorre - verso dove, nessuno lo sa; e quei fiori, rossi e freschi, che non sa per chi siano.

 

X. INGRESSO NELLA CITTÀ, CON LE MANI CHE DISPENSANO BENEDIZIONI.

La porta della sua umile casa è chiusa e nemmeno il più saggio degli uomini sa di lui. Nulla si può cogliere della sua vita interiore, perché egli va per la sua via senza seguire le orme dei saggi antichi. Portando una fiasca [simbolo del 'vuoto'] egli esce e va al mercato; appoggiato ad un bastone, torna a casa. Lo si trova in compagni di bevitori di vino e di macellai. Lui e gli altri tutti sono trasformati in Buddha.

 

Col petto nudo, e i piedi nudi egli esce e va alla piazza del mercato;

imbrattato di fango e di cenere, che largo sorriso egli ha!

Non c'è bisogno del potere miracoloso degli dèi,

Perché basta che egli tocchi, ed ecco! Gli alberi morti sono in piena fioritura!

 

Non esitiamo a confessare che il tentativo di far seguire un qualsiasi commento alle parole e ai versi del monaco Kakuan ci sembrerebbe non solo temerario, ma anche inutile.

Il processo di graduale chiarificazione della verità interiore da parte della mente che si libera di pensieri, timori, desideri, e di ogni altra rappresentazione del falso ego, è descritto in maniera così impeccabile ed efficace, così sintetica e, al tempo stesso, esaustiva, che pensare di aggiungervi qualcosa di nostro sarebbe una pretesa abbastanza ridicola.

Anche considerati solamente dal punto di vista letterario, i  versi che commentano ciascuna delle dieci scene sono degli esempi di altissima poesia, di una bellezza e di una intensità tali da togliere il fiato.

 

Ecco, una sola cosa ci sentiamo di dire, a conclusione di questa breve riflessione.

Chiunque si senta spiritualmente confuso e inquieto, già per tale consapevolezza è in condizione di poter intraprendere un cammino di liberazione dall'ignoranza e di avvicinamento alla verità. Egli si trova, infatti, nella medesima situazione dell'uomo che, nella prima scena dipinta da Kakuan, si trova, perplesso, alla ricerca del bove.

Perciò, la parabola delle vicende dell'uomo e del bove può costituire un ausilio estremamente prezioso per tutti gli uomini di buona volontà, di ogni fede e convinzione - buddhisti, taoisti, cristiani, musulmani, ebrei, atei - i quali vogliano intraprendere, in profondità e con purezza d'intenti, un tale cammino di liberazione e di chiarificazione del proprio essere.