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Alcuni dubbi sulla politica economica del governo

di Giovanni Petrosillo - 26/06/2008

 

 

 

A mio modo di vedere, l’analisi più “strutturata” sulla manovra economica del governo è stata fatta da Geronimo, in un articolo apparso su Il Giornale di ieri (25 giugno).

In primo luogo,  Geronimo-Pomicino, mantiene una certa lucidità mentale, tipica della vecchia scuola politica, che è ormai irrintracciabile nei fantomatici uomini “nuovi” della classe dirigente di questo paese. L’ex-adreottiano non si lascia prendere dallo spirito del tifoso di centro-destra, al quale va bene qualsiasi cosa purché venga dal suo leader, né dalle urla scomposte dei piccoli omuncoli di sinistra (frutto di un armamentario resistenziale di stile antifascista da tirare fuori quando le idee si sono esaurite), ai quali non va bene nulla per lo stesso motivo.

Quali sono i pregi e difetti di questa manovra finanziaria? Iniziamo dai primi, rispetto ai quali Geronimo si lascia attirare dai canti delle sirene ideologiche dominanti (direi più per comodità espositiva che per convinzione), individuando nelle liberalizzazioni dei servizi locali e nella riforma della Pubblica amministrazione obiettivi fondamentali per far crescere la competitività e snellire la burocrazia ridondante. Come detto, questi per me sono temi “inflazionati” e non credo assolutamente che la direzione presa dal governo sia quella giusta, in primis perché non vorrei che gli interventi di liberalizzazione, seppur in questo caso indirizzati ai soli servizi locali, servano ad aprire la strada a ben altri provvedimenti con i quali si andrebbe ad intaccare la competitività delle imprese di più grandi dimensioni (quelle strategiche che, al contrario, andrebbero sostenute con interventi mirati), aventi maggiore capacità di aggredire i mercati. Per quanto attiene alla tanto agognata riforma della P.A., i primi passi messi dal Ministro Brunetta sono serviti solo a sollevare un polverone, poiché col provvedimento della pubblicazione degli incarichi (che avrebbe dovuto suscitare scandalo e indignazione nel "popolo") si è solo messo in risalto quanto la caterva di contratti a progetto e di consulenze, nasconda un più vasto abuso perpetrato dalle pubbliche amministrazioni nei confronti di soggetti deboli sul mercato del lavoro, verso i quali si utilizza la formula dei contratti atipici per meglio ricattarli. Vale a dire, ancora una volta, le maggiori responsabilità di questa situazione intollerabile ricadono in capo alla politica che usa questi strumenti per costruire le proprie clientele all’interno della cosa pubblica.  

Ma proseguiamo nella disamina fatta da Geronimo. Come sempre, il problema dell’Italia sta nell’incapacità di sviluppare la sua economia e nei bassi tassi di crescita che, da un po’ di anni, ci rendono il fanalino di coda dei paesi dell’UE: “Da molto tempo sosteniamo che la vera emergenza che ci sta di fronte è la bassa crescita che affligge il Paese ormai dal 1995. Anche quest'anno se tutto va bene l'Italia crescerà solo dello 0,4-0,5%, a fronte dell’1,5% dei Paesi della zona euro. Di questa emergenza sembra, però, che la manovra economica si interessi poco o niente a guardare gli obiettivi programmatici che il governo si pone in termini di crescita, pressione fiscale e risanamento della finanza pubblica.” Se l’obiettivo del governo, come si evince dalla manovra, è quello di raggiungere livelli di crescita tra lo 0,9% (per il 2009) ed appena l’1,5% (per il 2011), con una media che non va oltre l’1,2% all’anno, possiamo affermare che la strada imboccata è così angusta che lo "Stivale" uscirà malconcio dall’impervia attraversata. Se il tasso di crescita sul quale si sta puntando è la metà di quello del ’95 e del 2001, nonché di quello degli altri Paesi europei, questo governo non rimedierà ad alcun guasto nonostante i suoi solenni proclami.

Geronimo fa bene, pertanto, ad affermare che: “Se questo è, dunque, l'obiettivo programmatico del governo è segno che siamo davvero lontani anni luce da ciò che occorre al Paese”. Da tale valutazione, si devono tirare le dovute conseguenze e Pomicino lo fa senza troppi scrupoli: “o il governo è il primo a non credere alla propria manovra o per prudenza, fa previsioni inesatte… Inoltre ciò che non torna è l'insieme del quadro programmatico che ci offre il governo. Con una crescita così bassa come potranno realizzarsi gli obiettivi di finanza pubblica, primo fra tutti il pareggio di bilancio nel 2011?”. Ma la via da battere per ridare lustro al Bel Paese non è quella seguita dai governi succedutisi inutilmente in questi ultimi vent’anni. Anzi, i danni maggiori sono stati causati da una classe politica sempre più corrotta e incompetente (con gli uomini di sinistra che hanno eccelso in queste qualità negative) che ha vivacchiato all’ombra dei poteri forti banco-industriali (s’intende, questi poteri forti lo sono solo nel contesto nazionale mentre sono equiparabili ad una marmaglia decotta e senza alcuna visione strategico-politica a livello internazionale), i quali, a loro volta, hanno sottomesso la politica per fare incetta delle risorse del paese. In verità, ciò che servirebbe per tornare a correre economicamente, più che i tagli alle spese e gli attacchi indiscriminati ai salari (che crescono pochissimo, ma ciò è un effetto della scarsa produttività nazionale oltre che della solita mentalità “padronale” da ipersfruttamento)  è il “contestuale rilancio dell'economia attraverso un rafforzamento della domanda pubblica e privata e una successiva nuova politica dell'offerta” poichè “ogni taglio di spesa dà un input recessivo che a sua volta innesca un circuito perverso di ulteriore rallentamento della crescita, di una caduta del gettito tributario e quindi di una maggiore difficoltà nelle politiche di risanamento.


Geronimo critica anche, più da un punto di vista morale che strettamente finanziario,  le azioni del governo a sostegno dei più deboli in quanto si possono distribuire ad “un milione e duecentomila italiani indigenti 400 euro l'anno per il cibo e le bollette” senza “mortificarli con la «carta della povertà»”, ma dando loro 40 euro in più al mese nelle pensioni.

Infine, una scoccata alla ormai famosa “Robin Hood Tax”, rispetto alla quale si richiama ad una maggiore attenzione poiché non bisogna “…dare la sensazione che il miglior socio di sceicchi e petrolieri sia lo Stato. Senza intervenire sulla pressione fiscale della benzina e del gasolio per ridurre il prezzo alla pompa, finiremmo per avere un effetto paradosso: più aumenta il prezzo dell'oro nero più aumentano gli incassi dello Stato per l'Iva, più aumenta l'Ires sugli utili dei petrolieri più aumenta il gettito tributario del settore senza, però, che a famiglie e imprese venga restituito qualcosa con una riduzione del prezzo”.

Per concludere quindi, quelle di Pomicino, mi sembrano le critiche più sensate fatte fino ad ora alla politica economica del governo Berlusconi.