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La rivoluzione dei Templari e il giallo della lettera ritrovata

di Marco Meschini - 04/07/2008

  
Alla luce del libro di Simonetta Cerrini, La rivoluzione dei templari, Marco Meschini ricostruisce le origini dell’ordine monastico-cavalleresco nato all’inizio del XII secolo, mettendone in luce il carattere ibrido, laico ed ecclesiastico, dei suoi componenti.
L’ordine dei Templari nacque dalla necessità di avere una forza stabile per la difesa dei pellegrini e dei territori cristiani in Terra Santa. Per Meschini il pregio maggiore de
La rivoluzione dei templari è quello di affrontare la storia dell’ordine da un punto di vista culturale piuttosto che politico-militare, mettendo al centro della ricerca i testi della fondazione: dalle prime testimonianze narrative ai manoscritti della Regola.

«Riflettete: presso Dio non hanno alcun valore né la posizione né l’abito». Chi sollecita il lettore a riflettere e pensare? Non è un filosofo, come ci si potrebbe attendere, né un teologo e nemmeno un chierico, anche se il testo venne scritto intorno al 1128, ovvero in pieno Medioevo. No, chi scrive è un miles, un «cavaliere». Un uomo più avvezzo alla lancia e alla spada che al calamo e alla pergamena. […] O per meglio dire un «povero commilitone di Cristo»: pauperes commilitones Christi si fanno infatti chiamare lui e quel manipolo di altri cavalieri che, laggiù in Terra Santa, hanno appena dato avvio a una nuova, inaudita esperienza.
Sono i templari, così chiamati perché il re di Gerusalemme ha donato loro, come casa madre, il Tempio di Salomone, cioè la moschea di al-Aqsa sulla spianata del Tempio a Gerusalemme. E hanno proposto uno stile di vita fuori dell’ordinario: rimarranno cavalieri - e quindi spargeranno il sangue, quando necessario -, ma saranno nel contempo monaci. Il templare è un ibrido: da un lato stringe i voti di povertà, castità e obbedienza, dall’altro continua a impugnare la spada. Un monstrum, anzi un «nuovo genere di uomini» come scrive in quegli anni il loro grande testimonial, san Bernardo di Clairvaux, il gigante di quel secolo che redige per loro un’opera famosa, L’elogio della nuova cavalleria.
Siamo nei decenni che seguono la prima Crociata. Nel 1099 Gerusalemme è tornata cristiana, e ora si tratta di mantenere i territori riconquistati. Di proteggere i pellegrini. Di combattere per Cristo, appunto. Ma non, come avevano fatto i crociati, per un periodo limitato, bensì in maniera permanente. L’impeto iniziale, che si sarebbe ripresentato solo con le crociate maggiori tra XII e XIII secolo, doveva divenire istituzione. A questa esigenza di base rispose l’ordine dei templari: all’inizio nove cavalieri - ma il numero è più ideale che reale -, cioè quasi nulla di fronte alla sfida immensa. E sfida duplice: combattere contro i musulmani e, insieme, convincere i cristiani che la loro idea non era follia.
Ecco dunque che Ugo di Payns, l’ideatore, il primo «cavaliere di Cristo» […], detta la sua lettera. «Riflettete». Alcuni dicono che non siamo necessari: ma è solo perché la nostra funzione è meno nobile di chi prega soltanto. Eppure «spesso sono le cose meno nobili ad essere le più utili: il piede tocca la terra, ma porta il peso di tutto il corpo». Il fatto è che noi, scrive Ugo, consacriamo «la nostra vita a portare le armi contro i nemici della fede e della pace per la difesa dei cristiani». Ma non per amore della violenza: «In tempo di pace combattiamo contro gli impulsi della carne grazie ai digiuni; in tempo di guerra combattiamo con le armi i nemici della pace che fanno dei danni o che vogliono farli».
La sua lettera è una delle novità rilevanti del nuovo lavoro di Simonetta Cerrini, La rivoluzione dei templari […], da oggi in libreria. Cerrini è esperta come pochi al mondo dei testi originari (e originali) dei templari e con questo volume propone una rilettura completa delle loro origini. Comprensiva appunto della famosa lettera, nota agli addetti ai lavori sin dal 1958 ma erroneamente attribuita a un altro Ugo, Ugo di san Vittore. Gli studi della Cerrini mostrano invece in maniera convincente che quella lettera va attribuita a Ugo di Payns. Insomma un segreto svelato con la ragione, e non con teorie fumose come troppo spesso accade a proposito di templari.
I meriti dell’autrice non si fermano qui. E si estendono al ripensare l’esperienza templare non in un’ottica di storia militare o politica, bensì di storia della cultura. Il libro, infatti, pone al centro dell’indagine i testi (quelli veri appunto) della fondazione: gli scritti dei primi testimoni e i manoscritti della Regola, in latino come in volgare. Emerge così una spiritualità densa e cosciente, segno del fatto che quegli uomini d’arme non solo avevano un’anima, ma che pure la coltivavano. Non ambivano a primeggiare, ma a servire come appunto fanno «i piedi del corpo».
E ancora: nella sua lettera Ugo spiega bene come si deve «odiare non l’uomo, ma il male», e che quindi persino lo spargere il sangue deve avvenire nel contesto di un’operazione di pace. È un passaggio rilevantissimo: che un san Bernardo distinguesse tra omicidio e malicidio, cioè tra fatto e intenzione, è cosa ben nota. Ma che sullo stesso filo di pensiero corresse la mente dei primi templari è una conferma eccezionale e, insieme, uno spalancarsi d’orizzonti. Perché così si può e si deve ripensare all’ordine come al protagonista d’una forma laica di vita cristiana, proprio in un periodo - quello susseguente la grande riforma «gregoriana» dell’XI secolo - in cui più nette si delineavano le differenze tra chierici e laici, soprattutto in relazione alla sfera del sacro. […]

Simonetta Cerrini, La rivoluzione dei templari, Mondadori, pp. 238, € 18,50.