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C'era una volta l'art.11

di Carmelo R. Viola - 08/07/2008

 

C'era una volta l'art.11



La nostra Costituzione è nata (1947) anche come antidoto degli orrori della Seconda Guerra Mondiale e della lotta fratricida tra italiani, convinti, dall’una e dall’altra parte, di avere agito legittimamente per un ideale di giustizia (ferme restando le eccezioni di consapevole criminosità). Non solo la sua prima parte si rifà ai diritti dell’Uomo, quasi prodromi di uno Stato socialista, ma condanna esplicitamente la guerra, recitando così al famoso articolo 11: “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali.” E’ quasi un diktat lapidare, monito contro i rischi di una nuova guerra, che potrebbe risospingere l’umanità ai primordi della civiltà o cancellare ogni traccia umana dalla Terra.
L’art. 11 voleva essere un baluardo istituzionale contro una catastrofe bellica impensabile in misura direttamente proporzionale alla crescita della tecnologia distruttiva: basti pensare all’Hiroshima e Nagasaki del 1945. Ad onor del vero una delle caratteristiche, iniziali e condivisibili, dell’avventura mussoliniana, era stato il senso di una vera dignità nazionale. Seguì la follia del potere. Poi arrivò l’occupazione angloamericana nella contrapposizione fattuale con le forze dell’Asse, un’occupazione spacciata per liberazione con il conseguente ricatto sotto il cui spirito nascerà la ricostruzione del nostro Paese. (Vedi l’elemosina pelosa del “Piano Marshall”).
Già da tempo gli USA accarezzavano il sogno di un dominio mondiale. Pertanto, paradossalmente ma non troppo, quella circostanza luttuosa fu per costoro provvidenziale e come prova della loro macchina da guerra su scala internazionale e come pretesto per rafforzare piedi e radici nell’Europa. La scontata adesione italiana alla NATO fornirà l’ulteriore pretesto per tradurre l’occupazione (preceduta da un massacro terroristico) in una serie crescente di basi aeronavali che oggi, salvo errori ed omissioni, sarebbero ben 113.
Fondata con la scusa di deterrenza antisovietica, con la caduta dell’URSS, la NATO sarebbe dovuta scomparire come il Patto di Varsavia, del resto sorto come contromisura. La sua sopravvivenza “sputtana” gli USA, i quali l’arma che meno temono fra tutte è proprio la vergogna. La NATO dovrebbe distruggere ogni focolaio antiamericano come, per esempio, quel miracolo interetnico della confederazione jugoslava, e ci è riuscita con le guerre dei Balcani, per cui, guarda caso, ha chiesto ed ottenuto, D’Alema regnante, il contributo degli italiani che, ormai colonizzati anche psicologicamente, dall’orgoglio littorio sono precipitati, a dispetto della lotta partigiana, nel più profondo servilismo verso i colonizzatori.
Fino all’Iraq e all’Afghanistan l’art. 11 è stato raggirato, ma solo per i cucchi, con la formula “missioni umanitarie”, dietro cui c’erano, e ci sono, “inservienze militari gratuite” a quegli USA (è sempre questo il punto) che, con il pretesto dell’autoattentato dell’11 settembre, hanno dichiarato – ma con quanta selvaggia piccineria! - guerra a tutto il mondo, decisi a conquistare il Pianeta un pezzo alla volta. Ci voleva il quarto governo Berlusconi – evviva il coraggio di chi si costituisce al tribunale della storia! – per chiarire senza mezzi termini che non di missionari di pace si tratta ma di militari, cioè di gente che ha fatto e farà ancora la guerra.
Lo ha affermato, con un orgoglio sfacciatamente antinazionale, il nostro ministro degli Esteri, in visita di servizio nel paese dei talibani, studenti di teologia islamica, probabilmente fanatici, già “usati” dagli Usa contro i sovietici, quelli sì occupanti (!).
Quanto al nostro diplomatico, è proprio necessario fare il nome? Ma sì, quello che ricorda Lucifero, il cui splendore ha messo bene in evidenza l’enorme vuoto costituzionale lasciato dal fu art. 11. E il primo cittadino, più vecchio di me, non dev’essere di vista buona, se non se n’è accorto!