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La Cambogia e l'eredità dei crimini dei khmer rossi

di Michele Andalini - 14/07/2008

“Io penso che non debba essere rilasciato perché è stato un alto funzionario e leader nel regime della ex Kampuchea Democratica. La gente vuole che venga processato. Se ha commesso dei crimini, è legittimo che sia giudicato”. Sono i giovani studenti universitari che, insieme a gente comune, protestano e si accalcano al di fuori dei locali del Tribunale per i crimini dei Khmer Rossi vicino Phnom Penh. Ieng Sery, 82 anni, ex Ministro degli Esetri dei Khmer, tramite i suoi avvocati ha fatto sapere di non essere processabile in quanto già graziato dal Re Norodom Sihanouk nel 1996, e dunque il suo sarebbe un caso di “double jeopardy”, di un reato già giudicato. Accusato di crimini contro l’umanità e crimini di guerra, Sary si è dichiarato anche malato e i suoi avvocati si sono appellati al giudice della corte perché sia liberato il prima possibile. Certo che di anni ne sono passati e l’età di questo criminale è indiscutibile; ma liberare quest’uomo - che ha ricevuto la grazia secondo il codice cambogiano per aver spinto i suoi sostenitori e compagni Khmer ad unirsi alle forze governative - agli occhi di molti appare come una sconfitta del diritto internazionale ed un fallimento della Corte voluta dall’Onu.

Istituito nel 2003, il Tribunale speciale per i crimini cambogiani partì subito col piede sbagliato. Se le Nazioni Unite volevano che fossero presenti giudici internazionali, il governo di Phnom Penh riuscì ad imporre la presenza di soli giudici interni. Ma l’organismo costoso e burocratizzato non aveva fondi sufficienti e, da sola, Phnom Penh non poteva certo permetterselo. Così, nel marzo 2005, al Tribunale si è sostituita una conferenza dei donatori, costituita da alcuni Stati membri dell'Onu, e ai 6,7 milioni di dollari stanziati dalla Cambogia si sono aggiunti altri 38 milioni di dollari. Kofi Annan, otto anni dopo la prima richiesta cambogiana, ha potuto finalmente comunicare in una lettera al premier Hun Sen che il suo paese avrebbe potuto contare sulla giustizia internazionale.

Per la Cambogia poteva essere una svolta: le esigenze della giustizia non potevano aspettare ancora e l’economia restava troppo debole. Al punto che persino il simbolo del genocidio, il campo di sterminio maoista di Choeung Ek, fu privatizzato fra mille polemiche: l’azienda giapponese JC Royal si impegnò a trasformare il sacrario in una moderna destinazione turistica pagando 15 mila dollari l'anno per trent’anni di sfruttamento commerciale del vecchio lager.

Dopo anni di estenuanti discussioni e trattative finalmente le aule del tribunale sono state aperte a luglio del 2006. Nessun ex generale o criminale di guerra è stato ancora processato e nessuna sentenza è uscita da quelle aule. A Settembre inizierà il processo di quello che è stato considerato il più sanguinario e crudele dei khmer attualmente in vita, Kaing Guek Eav, detto “Duch”. Il Tribunale deve giudicare le responsabilità degli autori delle atrocità che sono state commesse in Cambogia tra il 1975 e 1979 dal movimento maoista, ed ha come tempo limite per i suoi lavori il 2010. I dirigenti Khmer ancora in vita sono una decina, contro circa 2 milioni di persone che sono morte per fame, malattie ed esecuzioni varie, ed i trenta magistrati - 13 cambogiani a cui si sono aggiunti 17 giudici internazionali - possono contare ora su un budget di oltre 170 milioni di dollari.

Sono passati quasi trenta anni, i Khmer sono politicamente collassati nel 1999 ed è finita la guerra civile, ma le conseguenze sulla popolazione di quel manipolo di persone ancora si riflette sulla società cambogiana. Conseguenze politiche, perché l’attuale Primo Ministro Hun Sen è un’ex Khmer Rosso; sociali, perché è stata spazzata via una generazione intera di cambogiani ed economiche, perché il paese ha un’importanza strategica in Asia e subisce l’influenza americana e cinese sulle sue risorse.

Per non parlare del territorio, che a distanza di anni si ritrova ancora costellato di milioni di mine sparse dai maoisti in ogni punto, addirittura all’interno del magnifico complesso di Angkor Wat a Siem Reap. Il centro per il recupero delle vittime delle mine antiuomo della Ong Emergency a Battambang presta assistenza ancor oggi, da diversi anni, a mutilati di ogni età che richiedono aiuto anche a ritmo di decine di persone al giorno. Una piaga, quella delle mine, che rappresenta una vergogna non solo per chi le mine le ha poste in terra, ma anche per chi le ha fornite.

La Cambogia è stata vittima della guerra fredda e della logica dei blocchi Usa e Urss fino al 1991. Da allora i flussi di aiuti al paese non si sono mai interrotti e la Cambogia è diventata una democrazia, almeno sulla carta, grazie all’intervento di 20 mila caschi blu guidati da Francia e Usa. L’influenza occidentale e americana nel Paese è ancora importante, ma sicuramente preoccupata del nuovo e attivo ruolo della Cina sull’economia nazionale: la fortissima delocalizzazione della produzione tessile e manifatturiera e lo sfruttamento dei pozzi petroliferi nel sud del paese. Per il momento i soldi qui in Cambogia non hanno alcun profumo e sono ben accetti da qualunque parte provengano.

Ma le responsabilità della comunità internazionale e del Palazzo di Vetro sono evidenti, se si pensa che ancor oggi la Cambogia è uno dei paesi più corrotti e poveri al mondo, che i diritti umani e la libertà di espressione sono ancora vaghe teorie e belle intenzioni per molti giornalisti, sindacalisti e politici dell’opposizione, come Sam Rainsy, che possono solamente fregiarsi di qualche condanna dell’Euro-Parlamento nei confronti delle autorità locali; che la prostituzione minorile e il traffico di esseri umani si ritagliano un’importante fetta di business interno.