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Bricolage

di Gianfranco la Grassa - 16/07/2008

 

Mi sembra di aver trovato infine sui giornali qualche lampo di intelligenza. Leggo in Liberomercato del 12 u.s. l’intervista a Galassi, presidente della Confederazione delle piccole e medie imprese. Riporto solo quello che mi ha colpito di più perché, a mio avviso, risponde a reali esigenze del cosiddetto sistema-paese:

“Se i banchieri e le istituzioni finanziarie più in generale riprendessero il contatto con il territorio e spingessero a favore di un rilancio dell’industria manifatturiera [corsivo mio], ne avremmo tutti da guadagnare. Purtroppo, quello che ho visto negli ultimi anni va in direzione contraria. Le banche hanno solo pensato alle aggregazioni e alla finanza [corsivo mio]……Un paese che pensa di sostenere la crescita economica solo con la finanza e i consumi, tralasciando la produzione [corsivo e grassetto miei], non va da nessuna parte”.

Finora, da destra e sinistra, da sopra e da sotto (da liberisti e “keynesiani da diporto”) avevo sentito solo la litania sulla necessità di sostenere e incrementare la domanda – tramite aumenti salariali, da una parte, e riduzione di imposte, dall’altra – per rilanciare l’economia. Per carità, come ho scritto altre volte, non ci si può opporre alla richiesta di aumenti retributivi, con la riduzione dei salari reali che c’è stata negli ultimi anni, e nemmeno a quella di una diminuzione della pressione fiscale che  – con i milioni di lavoratori autonomi esistenti in Italia, per almeno tre quarti sempre più in difficoltà – è fattore di equità (e stabilità) sociale più ancora che semplicemente economico. Tuttavia, un sistema-paese non si rilancia certo soltanto in questo modo che, anzi, non è affatto il principale né il più efficace.

Se vogliamo trovare il “pelo nell’uovo”, sarebbe necessario aggiungere qualcosa alle considerazioni di Galassi, che tuttavia non credo possa dire di più occupando una carica istituzionale del genere; una dichiarazione più “spinta” esigerebbe una capacità di scontro acuto con i gruppi dominanti, e con il ceto politico ad esso succube, in cui chiunque sia comunque dentro gli apparati “ufficiali” attuali non potrebbe non soccombere ed essere messo da parte. Diciamo intanto che la nostra finanza non si pone per nulla al servizio dell’industria perché è connessa con mille fili – e posta in posizione subordinata, fin nella persona nominata al vertice dell’apparato bancario italiano – a quella del paese predominante, oggi colpita da una crisi che si tinge sempre più di nero, ma che ha alle spalle, appunto, tale paese con la sua (pre)potenza.

Il nostro sistema industriale, inoltre, è dominato da grandi imprese sempre in cerca di finanziamenti statali e “pubblici” in genere; si veda – solo quale ultimo piccolo esempio – il balletto di questi giorni tra la Regione Sicilia, che ha infine accettato di dare alla Fiat i 150 milioni di euro richiesti per lo stabilimento di Termini Imerese, e l’impresa in questione che fa melina, adducendo la non immediata concessione del finanziamento, la perdita di tempo, ecc. Che cosa si può fare con un ceto imprenditoriale di puri mangiatori di soldi “pubblici”? Escluso che in un momento come questo, di crisi incipiente, si possa agitare demagogicamente la necessità di aumentare la scala dimensionale delle troppo piccole imprese italiane – per fortuna, “sparito” il ciuffo “ribelle” del presidentissimo montezemoliano, non sentiamo più le balle sulla media impresa quale futuro dell’economia – è quanto meno evidente che dovrebbero essere sostenute e rafforzate le nostre industrie di punta (le solite Eni, Finmeccanica, Enel e poche altre). Non certo trasformandole in altre aziende-carrozzone alimentate dalla spesa pubblica, bensì semplicemente con la “normale” politica di uno Stato che faccia il suo mestiere nello scacchiere internazionale; e, ovviamente, con forte impulso a tutto ciò che sa di ricerca d’avanguardia.

Non credo si debba nutrire troppa fiducia in nessuna delle forze oggi in campo per guidare questo Stato disastrato; anzi, penso si possa dire che siamo proprio nella m….. Tuttavia, volevo segnalare questo “lampo di intelligenza” in cui mi sono imbattuto; e purtroppo non lo scopro mai leggendo i giornali della sinistra o della GFeID.

 

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Quando si ha un nemico, la prima mossa da fare è di valutarlo attentamente, di capire se ha dei punti di forza, se proprio commette solo errori o non ha alcuna idea in testa o invece ne ha qualcuna di non proprio sballata; soprattutto se risponde a determinate “esigenze” di una quota importante della popolazione, e perché vi risponde. Ancora più grave è quando non solo ci si rifiuta di capire il nemico, di valutate le mosse “giuste” che compie, ma si mente spudoratamente su ciò che sta facendo. Quando così ci si comporta, vuol dire che non si ha nessuna idea, nessun progetto da contrapporre; si è semplicemente nella nebbia più totale, nel pallone, come lo è oggi la sinistra.

Il primo riflesso di quest’ultima, di fronte all’inevitabile e non eccezionale sconfitta elettorale, è stata quella di riprendere la via giustizialista, che ha condotto infine allo sconcio di Piazza Navona, fondamentale per capire che questa forza politica non ha più nulla da dire salvo scurrilità da caserma (di mezzo secolo fa); e si ha il coraggio di accusare l’avversario per aver fatto degradare il buon gusto e la decenza con le “sue” TV. Da molti anni ormai, gli unici spettacoli “comici” decenti (o meno indecenti) – da Striscia a Le Iene a Zelig, ecc. – si vedono su Mediaset. Alla Rai, il gusto e l’intelligenza umoristica sono andati a farsi benedire con gli ultimi spettacoli della Dandini, di Panariello, del “Vate Celentano”, ecc. Con Piazza Navona, certamente, è stato superato ogni limite; ma ci sono “ottime” speranze che questa sinistra ci offra ancora di meglio.

L’altra “grande mossa”, dopo una campagna elettorale condotta all’insegna del “non demonizziamo l’avversario”, è stata di ritrovare il cemento unitario non in qualche programma di opposizione seria; macché, si è tornati alla demonizzazione. Badate bene, però, non dell’avversario in generale (quindi di una forza politica), bensì di un uomo soltanto, mentre si ricomincia ad allisciare quella (di nuovo!) “costola del movimento operaio” che è la Lega. Si ride, e secondo me giustamente, quando Berlusconi straparla ancora di pericolo comunista, dato che di (pseudo)comunisti si vedono, da molti anni ormai, solo quattro scemi dediti, adesso, ad azzannarsi e dilaniarsi per quel po’ di finanziamenti che ancora toccano loro fino al 2011 pur essendo stati buttati fuori dal Parlamento. E’ ridicolo vedere oggi pericoli comunisti, ma comunque almeno si demonizza una (non più esistente) forza politica, una ideologia, un sistema di valori, ecc. Non è che si attribuisca ad una persona specifica di sinistra la qualifica di Belzebù. Quindi, chi è più cretino (e anche distruttore di ogni buon senso e decenza) tra Berlusconi e la sinistra?

Poi voglio dire con chiarezza quello che da ormai parecchi anni penso. Chi è responsabile del degrado e decadimento, volgarità e pessimo gusto, disordine e disgregazione sociale, è la sinistra, in specie quella uscita dal ’68 e ancor più dal ’77. Con il suo permissivismo, lassismo, antimeritocrazia e livellamento falsamente egualitario (in picchiata verso i gradini più bassi della capacità e professionalità, della voglia di lavorare e di progredire), ha prodotto una società sfatta, chiassosa e rissosa, priva di creatività e di impegno, che ha ormai fatto scendere il nostro paese verso le ultime posizioni fra i paesi a capitalismo avanzato. Un paio di generazioni – quelle sui 50-60 e dintorni – non hanno nemmeno saputo crescere i propri figli, hanno creato non so quanti spostati, disadattati, “eroi” del caos e dell’anarchia totale. E dei suoi intellettuali ci si deve vergognare, malgrado siano incensati – anche dagli scemi di destra – come fossero dei supergeni, quando sono la mediocrità più assoluta. Certuni si sono azzardati ad attaccare l’intero arco della cultura novecentesca (per non parlare della precedente), anche di parte comunista, perché inneggiava all’homo faber, aveva il culto dell’impegno e della serietà, del proprio dovere e dell’esecuzione a regola d’arte del proprio lavoro.

Ben gli sta, del resto, alla destra, che ha attaccato il comunismo, quello vero, come fosse inciviltà e semplice delitto. Questi che usurpano il nome di comunisti, che sono solo degli scansafatiche e dei chiacchieroni, dei “rivoluzionari” (reazionarissimi) da salotto (e infatti impestano tutti i salotti romani e milanesi), hanno dimostrato – per contrapposizione – quale fenomeno di ben altro calibro fosse il comunismo. Esemplare trovo il fatto che uno dei più scatenati anticomunisti sia il padre di una esaltata “comica”, il cui “buon sangue non ha mentito” durante la “piazzata” di piazza Navona (e naturalmente il padre l’ha difesa pur essendo, essi, in “trincee” opposte; ma solo all’apparenza, si ritroveranno prima o poi dalla stessa parte).

In ogni caso, nel momento in cui ormai non sembra proprio più esserci dubbio che si sta entrando nell’occhio del tifone di una crisi ben grave (e non più soltanto finanziaria), non è più ammissibile che l’Italia resti il vaso di coccio di tutti gli altri paesi a capitalismo avanzato. Nessuno può sfuggire alla crisi, quando quelli che ho indicato metaforicamente come “urti tettonici” si trasferiscono infine in superficie, e le scosse che travolgono cose e persone a questo livello sono ormai sfuggite al controllo di chicchessia. Tuttavia, poiché non ci saranno “crolli del capitalismo” – secondo le speranze e indicazioni degli sclerotici avanzi di una dottrina perfettamente cristallizzata e inerte – è ovvio che riemergerà in condizioni meno peggiori chi avrà saputo agire proprio da homo faber, con il suo impegno e rigore, la sua fatica e creatività; fatta salva certo la necessità del ripensamento, e rifacimento, dell’organizzazione sociale, della strutturazione dei suoi rapporti senza ripetere le ricette di un passato ormai morto. Le dinamiche capitalistiche non hanno seguito le prescrizioni dei folli che credono sempre ad una realtà modellata secondo i loro cervellotici pensieri. E comunque anche chi trovasse la via per una vera trasformazione sociale – e ho seri dubbi che si tratti di una prospettiva tanto vicina – dovrà essere un uomo del fare, dell’impegno, della concretezza, che andrà premiato. Peste e corna per tutti gli anarcoidi, i fomentatori di semplici disordini e distruzioni, di agitazioni scomposte che impediscono agli altri di costruire; se ne sono visti a iosa dopo la Rivoluzione d’ottobre e sono stati trattati come meritavano! Altrettanto lo saranno in un prossimo futuro, purtroppo non nel contesto di un’altra rivoluzione di quella tipologia.

Altra “stupenda mossa” della sinistra è quella di dire sempre il contrario di quello che sostiene (spesso nemmeno tutta) la destra. Tremonti parla di speculazione con riguardo al petrolio; la sinistra (magari non al completo, concediamole una percentuale di gente di buon senso) preferisce malgrado tutto la “domanda e l’offerta”. Personalmente, credo che speculazione e “domanda e offerta” siano le solite due facce della stessa medaglia, le famose opposizioni “antitetico-polari”, che si sostengono vicendevolmente; penso di aver fatto capire come la penso ne Il contesto (geopolitico) e non insisto. Tremonti critica la globalizzazione, autentica mania di quelli che lui definisce mercatisti (liberisti); la sinistra (e perfino Napolitano mentre era in viaggio in Sud America) gli risponde che, per carità, non ci si metta in testa queste brutte idee, perché altrimenti ognuno pensa di risolvere i problemi per conto proprio e tutti “caschiamo per terra”. Invece, se ci mettiamo insieme a collaborare in piena armonia……...

Immaginate un bel cinema stracolmo di gente. Scoppia un incendio. Con calma un anzianotto monta sulla sua sedia e tiene questo discorsetto: “cari colleghi spettatori, se ci facciamo prendere dal panico, rischiamo di morire se non tutti, quasi. Inoltre moriranno soprattutto i più deboli, i vecchi, le donne, i bambini, ecc. Invece, se stiamo tranquilli e impavidi di fronte alle fiamme che avanzano, siamo in grado di organizzare con ordine l’esodo e così forse metà, magari perfino i due terzi, di noi si salveranno. In ogni caso, si salverà qualcuno in più (fra cui i più deboli, poverini)”. Personalmente, adesso, essendo vecchiotto e acciaccato, applaudirei il discorso; ma, diciamo, una ventina d’anni fa, avrei mollato al tizio un cazzottone e con largo movimento del braccio levato in alto avrei gridato alla “marea”: “all’arrembaggio e si salvi chi può e chi ne ha la forza”. I vecchi hanno poco da vivere; le donne sono preziosissime, le stimo molto, ma non a costo della mia vita; i bambini sono il futuro, però non tutti fanno una buona riuscita (e poi che cos’è questo futuro che non vedrò?). I deboli sono la mia passione dato che, a furia di leggere e studiare fin dalla più tenera età, sono rimasto gracilino; l’idea che un nerboruto testa di c…. debba salvarsi a mie spese mi irrita. Razionalmente, mi rendo però conto che o sono in possesso di un’arma da fuoco (ma non so nemmeno sparare) oppure debbo rassegnarmi.

Nemmeno sul Titanic, dove restò fino alla fine una certa catena di comando in possesso dei necessari poteri coercitivi, si evitarono scene non proprio commendevoli: i soliti che potevano pagare e trovavano chi pagare, coloro che si travestivano da donna spesso “sfangandola”, ecc. Figuriamoci cosa accade quando non sussiste alcun organismo in grado di imporre il benché minimo ordine. Perché parlare per nulla, fare sfoggio di tanto “buon senso buonista” quando si sa già – a meno di non esser proprio deficienti totali – che, in situazioni di reale e gravissimo pericolo, ognuno cerca di escogitare il possibile e l’impossibile pur di salvarsi: si tratta di un suo diritto “primordiale”. Se non basta il senso del diritto, soccorre l’ideologia che ci “ordina” di salvarci poiché il bene dell’Umanità lo esige; abbiamo il dovere di salvarci proprio noi, non gli altri che la porterebbero a sicura rovina e degrado. La domanda è sempre la solita: con questa sinistra truffaldina, abbiamo a che fare con coglioni o con ipocriti? Da quel che si vede nei congressi di Rifondazione e del Pdci, mi sembra che la risposta sia univoca!

 

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Povero Althusser! Si è sgolato a spiegare l’ideologia sottesa alla coppia “pubblico-privato”. Ma era un “antiumanista”; e così tutti gli “umanisti” di sinistra (ma anche dell’altra parte) restano – e non per coglioneria, salvo casi rari – a predicare ancora la superiorità del “pubblico”. Sarebbe forse ora che si levassero di torno per evitare altri guai, dopo quelli provocati da settant’anni di indegna identificazione del “pubblico” con lo statale e di questo con il “socialismo”. Mi limiterò comunque qui di seguito ad un discorso molto terra terra.

A volte il “pubblico” significa solo un certo regime di proprietà (“ufficialmente” dello Stato, degli enti locali, ecc.) di organismi imprenditoriali, i cui apparati manageriali (sia strategici sia addetti all’efficienza economico-produttiva) svolgono i compiti di qualsiasi altro apparato manageriale di impresa. Il problema che si pone è quello della responsabilizzazione (o de-responsabilizzazione) di tali apparati, problema non completamente dissimile da quello esistente in una public company a proprietà azionaria “privata”, ma distribuita, diffusa, in modo tale da non consentire la presenza di alcun gruppo proprietario di controllo. In ogni caso, la responsabilizzazione (o il suo contrario) non significa fare “direttamente” gli interessi di coloro che comprano merci (beni e servizi) da tali imprese; esse debbono funzionare – perfino se seguissero le micragnose indicazioni degli economicisti puntando solo all’efficienza (la “legge” del minimo mezzo), tanto più in base al loro effettivo modo d’agire retto da strategie efficaci nel perseguire la potenza in vista di una supremazia – come qualsiasi altra impresa.

Se la politica (non la grande politica, solo il clientelismo, nepotismo, ecc.) si mette ad intralciarle nella loro attività, il marcio non è nel regime “pubblico”, ma nella complessiva struttura del sistema-paese esistente; se si tratta di un capitalismo subdominante come quello verminoso italiano, è inutile pretendere gran che: la politica – che privilegi il pubblico o il privato – sarà sempre di ostacolo allo sviluppo complessivo di un paese subordinato ad interessi stranieri. In Italia, comunque, tale condizione di “servitù” ha condotto alle più ampie privatizzazioni del “pubblico”; ma questo processo è stato mascherato dall’ideologia della superiorità (e maggiore responsabilità) del “privato”, mentre in realtà si è voluto smantellare definitivamente – con l’appoggio dei vari ambienti “massonici” (non sto parlando in senso tecnico ma politico-ideologico), in gran parte legati al sedicente laicismo della vecchia “Giustizia e Libertà” (pensiamo agli Scalfari, ai Ciampi, e naturalmente ai Cuccia, ecc.) – ogni residua base del potere vetero-democristiano (posto nell’industria di Stato ereditata dal fascismo e ampliata con Eni, Enel, ecc.) dopo che quest’ultimo era stato annichilito dall’operazione giudiziaria detta mani pulite (per conto di settori americani e della nostra Confindustria, in cui si era già formato il “nocciolo duro” della GFeID). E, guarda caso, tale smantellamento – le varie privatizzazioni degli anni ’90 – sono state compiute con il pieno appoggio della sinistra dei rinnegati piciisti, quelli che erano, e sono ancora in parte, fanatici del “pubblico” (strano vero? Ma è così; e pensate un po’ perché questo è accaduto. Non sapete rispondere? Sforzatevi le meningi, la risposta è da un euro al kilo).

Ancora una volta, rinvio a Il Contesto per capire l’iniziale errore di strategia statunitense dopo il “crollo del muro”, giacché si credé che l’Italia contasse ormai poco per il “fronte occidentale” (secondo gli Usa ormai “normalizzato”) per cui si pensò utile affidare le sorti del paese (servo) ai traditori del Pci-Pds-Ds-Pd (ormai non più partito popolare ma di ceto medio-plebeo corrotto e “inabile al lavoro” come lo sono sempre i lacché) con qualche cascame diccì (più nulla a che vedere con i Moro, gli Andreotti, i Cossiga, ecc.) di supporto. Se non ci fosse stata la “vendetta postuma di Tutankamon” (Craxi), cioè l’entrata in campo di Berlusconi, l’Italia sarebbe stata un bello stuoino ai piedi di Agnelli & C. (ricordate la sua frase: “i miei interessi di destra sono meglio difesi dalla sinistra”?), del tutto consenzienti a che ci posizionassimo quali dipendenti (remunerati) dagli Usa. Solo che anche il Berlusca nulla ha a che vedere con quel minimo di spina dorsale posseduto dai dirigenti del vecchio regime, e si è affrettato a trovare i suoi referenti americani per pararsi parzialmente il culo dall’ostilità mai cessata – nemmeno ora, non si creda alle apparenze – dei finanzieri e industriali abituati a mendicare l’assistenza pubblica.

 

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Riprendiamo però il discorso sul “pubblico”. Oltre a quello imprenditoriale, di cui si è appena parlato, vi sono gli apparati per il disbrigo degli affari amministrativi più comuni riguardanti la collettività dei cittadini. Qui dovrebbe prevalere l’interesse dei fruitori dei servizi, che non andrebbero gestiti solo utilizzando particolari criteri di efficienza “produttiva” (salvo un normale senso del dovere e dei propri compiti lavorativi). Molti di questi apparati però dispensano i servizi di quello che viene detto “Stato sociale”: sanità e pensioni in primo luogo (di gran lunga i servizi più rilevanti anche come spesa). In una falsa democrazia come quella occidentale, in un paese subordinato come il nostro, privo di qualsiasi dignità nazionale e solo flagellato dall’“arte di arrangiarsi”, non esiste politica che non sia quella di favorire chi ti vota e chi può raccogliere voti per te. Da qui l’esplosione di questi apparati-carrozzone – con la scusa degli “ammortizzatori sociali” contro la disoccupazione, ecc.: in un paese che, bene o male, è arrivato entro i primi dieci posti del maggior sviluppo nel mondo! – dove si assume per mero clientelismo, e si assume una pletora di nullafacenti, di incompetenti, di “mangiapane a ufo”. Un disastro nazionale simile alla biblica invasione delle cavallette!

La spesa pubblica è per la stragrande parte (detta “corrente”) impegnata a mantenere milioni e milioni di queste cavallette, di cui una buona metà dovrebbe essere mandata a casa e sostituita (per non più della metà di questa metà) con concorsi seri basati sulla più rigorosa, quasi feroce, valutazione della preparazione dei candidati. E con anni di galera (in Cina seguono metodi che a me sembrano migliori) quando si scopre che c’è qualche “trucco” nelle assunzioni. E ovviamente impiegando altrettale ferocia nell’organizzazione e controllo del lavoro prestato in tali settori. Il che significa, innanzitutto, controllo dei sedicenti manager di quest’apparato pubblico perché quand’esso non funziona – e non funziona in un numero elevatissimo di casi, a partire da quell’apparato giudiziario che ha un potere politico ormai intollerabile e che impone costi enormi all’economia con la sua cronica inefficienza – il 90% della colpa deve essere attribuito alla dirigenza. Le sconfitte di un esercito implicano il cambiamento degli alti Comandi, solo in particolari casi (e troppo spesso per coprire l’inettitudine e infamia dei generali) la “decimazione” dei soldati.

Un recente esempio. Lascio perdere l’ultimo relativo all’arresto del Presidente e di mezza Giunta regionale abruzzese proprio per motivi inerenti alla spesa sanitaria. Si tratta di presunta corruzione, concussione o non so che altro; diamo tempo al tempo. Più interessante è la notiziola degli svariati miliardi di passivo della Sanità campana. Cionostante, i dirigenti di quel settore, il 28 aprile se non erro, si sono aumentati di circa 30.000 euro in media gli stipendi (raggiungendo la cifra complessiva, sempre se non ricordo male e in media, di circa 150.000 euro annui), adducendo come motivazione l’aumento del costo della vita (che evidentemente si è verificato solo per i nababbi, non per le persone a reddito “normale” e per i pensionati pressoché in miseria). Simili dirigenti dovrebbero essere mandati a casa di corsa, senza liquidazione e con espropriazione di ogni sostanza, in modo da farli morire di fame (e senza consentire loro di farsi vedere in mezzo alla strada a chiedere l’elemosina).

 

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Comunque, per concludere, il vero cancro che corrode questo paese è un “pubblico” che non serve certo a migliorare e potenziare l’apparato produttivo; un “pubblico” solo consono all’azione corruttrice di cosche politiche, che debbono mantenere e proteggere i loro collettori di voti. E adesso non apro, per il momento, il fronte più ampio della GFeID, di questa sedicente “classe” dirigente della sfera economica, costituita dalla finanza descritta, nella parte iniziale, dalle parole del Presidente delle piccole e medie imprese; e dall’industria di una passata, e superata, fase di innovazione, che oggi succhia solo danaro “pubblico” grazie all’appoggio dato al ceto politico. Ricordando sempre che i più consenzienti in tal senso, non a caso sempre appoggiati dai media in mano a tale finanza e industria parassita (non a Berlusconi!), si collocano a sinistra: non soltanto sia chiaro, ma prevalentemente, perché non è ancora superata la famosa frase di Agnelli più sopra citata.

Non concedo pressoché nulla a questo Governo; non credo che abbia idee veramente importanti, di carattere appunto strategico. Tuttavia, per carità, non si pensi di far tornare questa sinistra. Prima abbattiamola ed eliminiamola come la più grave malattia mortale che abbia colpito il paese negli ultimi 15 anni. Poi certamente, se ci sono ancora persone ragionanti e perfino di semplice buon senso, si pensi al nuovo. Non più alla sinistra, questa è la nostra morte sicura; anche perché molti settori d’essa hanno subito vere degenerazioni genetiche. Si guardi ai congressi dei sedicenti comunisti o degli “arcobaleno” (e se penso ai verdi, “la mano mi corre alla fondina”): non ci si accorge che si tratta di fenomeni di tipologia aberrante e mostruosa? Si può immaginare un banditismo di mezza tacca peggiore di questo? Si lascino questi cialtroni, maneggioni, laidi figuri al loro “tristo” destino e si pensi a tutt’altro. La nostalgia di un tempo – quando il comunismo ci richiamava alla mente qualcosa di pulito, di più giusto, di teso al riscatto da tante prepotenze e soperchierie – è umanamente comprensibile; ma non ci si può fermare alla nostalgia quando si vede in campo un simile lerciume. Un po’ di testa; siamo tristi, certo, ma voltiamo pagina senza più esitare.

Coltiviamo la cattiveria, la volontà di “uccidere” (metaforicamente, certo), non la bontà e l’animo delle “signorine” da romanzetto rosa. E parliamo di politica, di progetto, e anche di una nuova cultura e di schemi interpretativi adatti all’oggi, non di personalizzazione dello scontro tra energumeni dello stesso stampo. Nemmeno pensiamo però più alle anticaglie del “conflitto di classe”, che oggi è solo nella testa di pochi scervellati, ormai totalmente folli; quando non si tratti di altri mascalzoni che tentano di recuperare piccole sacche di voti per qualche loro mena personale e meschina ambizione da boss di borgata.