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Liberal o comunitari?

di Manuel Zanarini - 16/07/2008

 

 

Marcello Veneziani* con “Comunitari o liberal. La prossima alternativa?” (Laterza,2006) affronta la questione del “comunitarismo”, considerandola in opposizione alla concezione “liberal”.

Secondo l’autore, le attuali classi della politica sono ormai superate: destra/sinistra, conservatori/laburisti,ecc. sono definizioni ormai vuote.

Il risultato è la grande corsa verso il centro, verso un terreno che annulla le identità, le differenze di valore e di pensiero, caratterizzato dal pragmatismo economico, e dal progressismo etico-culturale. Inoltre in questi ultimi anni si assiste ad uno svuotamento di potere da parte della politica, col relativo trasferimento in mano ai tecnocrati e alla finanza. Questo fenomeno è agevolato dalla mondializzazione, che presenta il capitalismo mondialista come uno “stato etico mondiale”, che in nome dell’”ingerenza umanitaria”, “diventa l’assistente morale e militare delle forze della globalizzazione”.

Questo interventismo, tipico degli Stati Uniti, sta generando due forti reazioni: in Occidente la fuga dalla politica ed il rifugio nel localismo; nel Mondo il sorgere del terrorismo, lo scoppio di guerre e il riaffacciarsi dei nazionalismi.

Alcuni autori, come Salvatore Veca, individuano il conflitto in corso come quello tra universalismo e tribalismo. Ma Veneziani fa notare che in realtà allo stato attuale, il tribalismo non è altro che un sottoprodotto dell’universalismo, usato dalle forze globalizzatrici per scardinare la sovranità nazionale (come il caso Kossovo ha ampiamente dimostrato), quindi è destinato ad estinguersi quando non sarà più utile.

In realtà, le due categorie che realmente possono garantire quel confronto dialogico fondamentale per la democrazia, sono “comunitarismo” e ideologia “liberal”.Intanto questi due termini vanno definiti.

 

Per “liberal”, Veneziani intende quell’aria politica e culturale tipica del mondo anglosassone, che si caratterizza per l’opposizione ai “conservatori”, all’interno della quale rientrano tanto i progressisti, quanto i laburisti, i democratici di sinistra, i radicali e alcuni parti dei comunisti. L’idea principale è quella di slegare l’individuo da ogni legame culturale e sociale che lo lega agli altri. Quindi “creare” un individuo senza un territorio preciso di riferimento, senza confini precisi, il cosiddetto “cittadino del mondo”. Pone al centro l’universalismo e l’internazionalismo, che si esplicano nella dottrina dei “diritti universali dell’uomo”.

Lo scenario socio-politico viene interpretato unicamente come risultato dell’agire umano, quindi viene dato alla Natura solamente un ruolo marginale. La conseguenza è che le ingiustizie sociali vengono interpretate come frutto di una situazione modificabile dagli stessi individui che in fondo le hanno generate.

 

Dall’altra parte ci sono i “comunitari”. Anche all’interno di questo schieramento, vi sono elementi di varia estrazione politica e culturale: la nuova destra, ambientalisti, la nuova sinistra, ecc. Ma in realtà non si può parlare di un movimento concreto comune, più che altro di idee guida in comune.

La nascita di questo “schieramento”, almeno all’interno della discussione contemporanea, si può fare risalire ai “communitarians” americani (Sandel, McIntyre,Etzioni,ecc.) e a qualche altro pensatore europeo (De Benoist, Maffesoli, Barcellona, ecc.).

Anche in questo caso si possono individuare delle idee portanti. Fondamentale diventa sottolineare un orizzonte sociale ritenuto comune a tutti i membri della collettività. Di conseguenza, importanza cruciale viene assegnata alla “identità” collettiva, alle radici comuni rintracciabili nella Tradizione, al legame sociale- religioso- famigliare, che definisce l’individuo in concreto. Mentre per i “liberal” il legame sociale diventa un vincolo che limita l’individuo, i “comunitari” lo interpretano come il “filo di Arianna” che ci lega agli altri, e che ci permette di caratterizzarci in un “Io” con un luogo eletto e originario che ci determina, in considerazione di riti comuni, usanze, costumi di un popolo che ritengo mio, e che costituiscono degli archetipi su cui orientarsi. Da qui l’importanza di rifarsi ai valori della Tradizione, di contro a quelli derivati dal consenso influenzato dai media o dalle mode del momento. Proprio in quanto l’umanità viene interpretata come un’insieme di “comunità” ben distinte le une dalle altre, si auspica una loro organizzazione a cerchi concentrici, dalla più piccola a quella più grande. Anche la percezione della situazione attuale è diversa. Qua, avendo un ruolo centrale la Tradizione e quindi dei valori comuni e formanti che sono antecedenti all’individuo di per sé, la realtà viene vista come “voluta dal Fato”, e quindi sulla quale l’uomo può intervenire fino a un certo punto.

 

Una volta giunti alla loro definizione, e che Veneziani dichiara apertamente di parteggiare per i “comunitari”, l’autore passa ad analizzare come potrebbe dispiegarsi tale confronto nello scenario politico odierno, cosa che rappresenta il fine ultimo del suo lavoro. Il problema è che oggi viene accettata unicamente la scelta “liberal”, altri tipi di concezione socio-economiche sono bandite dalla vita politica (basta guardare la finta opposizione Berlusconi-Veltroni per rendersene conto). Affinché si possa parlare concretamente di dialogo democratico, è necessario che entrambe le opzioni abbiano pari dignità, seppur all’interno di un “orizzonte condiviso”, formato da quei principi che uno schieramento ritiene accettabile nell’altro. Per esempio i “liberal” condividono coi “comunitari” la tutela della libertà del singolo, un sistema che limiti la forza del “potere”, la tutela delle minoranze, la tutela della famiglia, ecc. Certamente, ogni schieramento le declina a modo suo, ma in questo consiste il “gioco democratico”. Quello che generalmente mette “fuori gioco” i “comunitari” è l’accusa di razzismo. In realtà, Veneziani evidenzia come questo rischio sia possibile per entrambi: per i comunitari escludendo chi non si riconosce nei valori fondanti la comunità (stranieri, omosessuali, ecc.); mentre per i liberal, l’esclusione riguarda chi non si riconosce nella loro etica, ritenuta universale e giusta (si vedano le “guerre giuste” contro i  “barbarici” paesi islamici).

 

Una volta chiarite le definizioni minime, Veneziani passa ad un’analisi critica delle due posizioni. Cominciando con l’ “idea liberal”. Il pericolo principale nell’affermazione del principio “liberal”, che in definitiva è quello che si può constatare nell’attuale situazione, è l’avvento del “pensiero uniforme”, dovuto all’appiattimento e alla scomparsa delle differenze. Il dato di fondo che consente questa uniformità di pensiero, è dato dal “contrattualismo”, cioè dalla idea che la società si basi su un “contratto” originario, e quindi gli individui stanno assieme solo per una valutazione economicistica di costi/benefici. Questo porta a ritenere i singoli come contraenti tutti uguali che agiscono in un mercato libero da vincoli socio-culturali. Questo, in realtà, viene ritenuto falso dall’autore, e ciò è facilmente dimostrabile. Infatti, è riscontrabile nella vita quotidiana, come la maggior parte degli sforzi che compiamo giornalmente non hanno un fine pratico, quantificabile materialmente, come per esempio le attività legate all’amore, alla famiglia, allo sport, all’amicizia,ecc. Sono tutte situazioni che si pongono al di fuori di una logica mercantile. Questo significa che ognuno si muove per ragioni proprie, che non sono universali, quindi è un voler ribaltare lo stato naturale dell’uomo, il considerare la società come formata da individui “omogenei”, che si muovono unicamente perseguendo fini “economicamente valutabili”.

Altro pericolo grave dell’idea “liberal”, è il capovolgimento della considerazione della “libertà”. Infatti, questa non è mai un “fine”, ma semmai uno strumento per raggiungere degli obiettivi sociali. Se si considerano i regimi più dispotici, il comunismo o il nazismo per esempio, ci si accorge che tutti sostengono di voler perseguire la “vera libertà”: quella di classe per Marx, quella razziale per Hitler, ecc.

Quindi, il concetto di libertà non va assolutizzato, ma “relativizzato” in base ai fini che si intende perseguire.

Veneziani, in polemica con Dario Antiseri che ripropone il pensiero di Popper, passa in rassegna, negandoli, alcuni principi ritenuti fondamentali del mondo “liberal”: la legittimità della violenza per imporre la democrazia, anche nel caso si dovesse esercitare contro gli anti-democratici; l’equivalenza tra libero mercato e libertà, basta guardare il caso della Cina per rendersene conto; il fatto che la libertà economica presupponga (quindi porti) la pace, gli Stati Uniti basano la loro esistenza sulla guerra; la necessità di lasciare libero il mercato nel maggior modo possibile, mentre si vedono quotidianamente i danni che questo comporta; la necessità di porre limiti ai mass-media (soprattutto sulla violenza), quando in realtà nella maggioranza dei casi il “trash” viene usato per assecondare il libero mercato; infine il concetto secondo ilquale, come afferma Popper, “sono gli uomini che esistono, ciò che non esiste è la società”, cosa che impedisce la formazione di una morale comune lasciando il singolo in balia del mercato.

Infine, nonostante venga solitamente affermato il contrario, il totalitarismo, elemento dominante del secolo scorso, deriva molto più facilmente da una concezione “liberal”, che non da una tradizionale. Infatti, rappresenta l’esaltazione dell’Illuminismo, tanto che sorge all’indomani della Rivoluzione Francese, dell’idea che l’uomo possa creare il “paradiso in terra”, sostituendo Dio con nuovi culti: il “culto del littorio” nel Fascismo (si veda a riguardo il libro “Fascisti” di Giordano Bruno Guerri), quello del materialismo storico nel Comunismo (che raggiunge l’apice nella “tabula rasa” di tutto ciò che esiste” di Mao), ecc.

 

A questo punto, Veneziani passa ad analizzare i problemi e le soluzioni poste dalla “ragione comunitaria.

In quest’ottica i mali principali della società moderna sono legati proprio alla perdita del “sentire comunitario”, cosa che porta ad una difficoltà di definire un “bene comune”. In particolar modo si possono evidenziare: la “non partecipazione sociale”, che genera l’individualismo di massa e la “privatizzazione integrale”; lo svilimento del lavoro in una ripetitiva, e per usare un termine marxista, alienante routine; la perdita del sentimento religioso che sconfina nell’agnosticismo; l’abbandono della politica, si veda a proposito il fenomeno dell’antipolitica alla Beppe Grillo, politica che peraltro si slega dalla vita concreta dei cittadini per diventare uno “show business”, in mano ad una oligarchia che gestisce i mass media, il riferimento a Berlusconi è quanto meno ovvio; il dominio del nichilismo, figlio della secolarizzazione illuminista e dell’individualismo, ecc.

Uno delle cause dei “guai moderni” è la crisi del concetto di “pluralismo”; infatti, ormai si esprime solo attraverso i partiti, anche a causa di un sistema elettorale che affida loro ogni potere in materia, mentre sono queste strutture che dovrebbero inserirsi in un “pluralismo comunitario”, fatto da corpi sociali intermedi ( su base territoriale, di categorie professionali, sociali o culturali). Questo fa sì che il consenso sia lottizzato per aree di influenza, e non su ragioni politiche, e, non avendo “oppositori” reali forti, il potere è ormai passato in mano a poteri economici sovranazionali.

Quale è l’alternativa proposta dai comunitaristi? La “democrazia comunitaria”, caratterizzata dal “pluralismo partecipativo”, basato su radici, storia, tradizioni comuni, con la differenza che in questo caso, i singoli non solo partecipano alla vita sociale, me si sentono parte di essa.

 

Storicamente, sono esistite due tipi di comunità: una, quella tradizionale, cancellata dall’avvento della società moderna; l’altra, sorta nel secolo scorso, sulla scorta della filosofia di Hegel, nella quale per sopperire al vuoto del legame sociale, ha istituito lo “stato etico”, a scopi pedagogici imposti con strumenti coercitivi (nazionalismi, fascismo, comunismo,ecc.).

Oggi, richiamando la spaccatura nell’ambito comunitarista che evidenziammo nell’articolo introduttivo, Veneziani evidenzia la necessità di uscire dalla logica “statalista”, che impone i valori comunitari “dall’alto”, per entrare in una fase costitutiva “dal basso”, partendo dalle piccole comunità (vicinato, paesi, ecc.) per formare comunità più grandi, in modo da combattere l’enorme alienazione che coinvolge l’individuo nella società liberale. In questo contesto la comunità, almeno in Italia, si incontrerebbe col senso di solidarietà sociale ispirato dalla “dottrina sociale della Chiesa”.

 

Una delle accusa che maggiormente vengono rivolte alla “comunità” è quella del rischio di sfociare nel “tribalismo”, rappresentando un gruppo omogeneo ma estremamente chiuso all’ “altro”, sia esternamente (nazionalismo), che internamente (intolleranza verso il “diverso”).

In realtà, Veneziani, supporta una “comunità aperta”, parafrasendo Popper, in cui verso l’esterno ci si renda conto che il nemico non è rappresentato dalle altre comunità, che più facilmente capiranno il tipo di aggregazione, ma chi vuole negare in principio la comunità; mentre all’interno, la comunità deve promuovere, intervenendo attivamente, solo sui “valori” che riguardano l’intera comunità, mentre sugli altri può tranquillamente astenersi da ogni intervento, fintantoché non intervenga la violenza sugli altri individui.

 

Infine, presenta altre due coppie di “valori” che fondano la cultura comunitaria in contrapposizione a quella liberal.

La prima è quella che vede da un lato l’ “onore” contrapposto alla “generosità”, che si differenzia dal “donare” la quale viene concepita per togliere spazio all’utilitarismo nei rapporti sociali (quindi tipicamente comunitaria). L’ “onore” serve a compensare l’aspetto corale della comunità, per dare peso alla responsabilità individuale, il coraggio di assumersi le proprie responsabilità di fronte alla comunità. Questo comporta un forte senso dell’ “estetica”.  Oggi, al suo posto è invece arrivato il “look”, il vuoto apparire, col risultato che non si tutela più la presentabilità dell’individuo nei confronti dei suoi simili, ma solo la sua immagine.

Di contro, per limitare l’individualismo liberal, viene concepita la “generosità”, che nasce dall’incontro del pietismo cattolico, col socialismo e l’illuminismo, al fine di fornire gesti umanitari verso “gli ultimi” del sistema individualista capitalista. Contro l’assunzione di responsabilità, viene così supportata la tolleranza verso “chi sbaglia” a discapito delle vittime (si pensi alla retorica dei diritti dei criminali, a discapito delle vittime, come nel caso dei terroristi contro le famiglie dei morti).

 

La seconda coppia è quella che vede la comunità come “figlia di un luogo”, con gli elementi caratteristici che lo compongono (le bellezze naturali, la sua storia, le sue tradizioni, ecc.), mentre la società come “figlia di un tempo”, concepita come liberazione dai vincoli passati, con l’idea di un progresso costante e senza fine (la classica concezione dei “cittadini del mondo).

 

Penso che l’opera di Veneziani sia di particolare interesse, soprattutto per il tentativo di calare la riflessione sul “comunitarismo” all’interno dell’attuale scenario politico. Ma incontra un limite nella definizione degli elementi costitutivi della “comunità”, restando a mio avviso molto vago sulle basi del “sentire comune” fondante appunto la comunità, fatto salvo l’accenno al Cattolicesimo e alla sua Dottrina sociale della Chiesa, cosa che a mio avviso rappresenta una forzatura, dal momento che, come indica giustamente De Benoist, non è certo nel Cristianesimo che si possono trovare le radici di una comunità italiana, ancor meno nel caso di una comunità europea.

 

 

*Nasce a Bisceglie (BA) nel 1955, ha fondato “L’Italia settimanale”, “Lo Stato”, è stato direttore de “Il borghese” e attualmente collabora con diversi quotidiani (“QN”, “Libero”, “Il giornale”,ecc). E’ uno dei pochi che si qualifica come “intellettuale di destra” e seppur con qualche posizione critica è vicino ad Alleanza Nazionale.