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Israele: l’ultima sconfitta di una guerra perduta

di Ugo Tramballi - 17/07/2008

 
 

 

Il Governo israeliano ha discusso, si è diviso in favorevoli e contrari; ha sondato in profondità la psiche di un Paese figlio dell’Olocausto, combattuto fra il desiderio di riavere i suoi ragazzi abbandonati sul campo di battaglia e l’affermazione di una giustizia che punisce chi uccide israeliani. Segni entrambi dello spirito di sopravvivenza di un popolo.

 

Alla fine il Governo ha deciso: Ehud Goldwasser e Eldad Regev sono tornati a casa; e Samir Kuntar, che aveva ucciso un israeliano con la figlia di 4 anni, è tornato in Libano da dove era venuto nel 1979 con una squadra di terroristi. Ma se questo umano lacerarsi fra diritti di uguale dignità avesse trovato una soluzione prima, se Ehud Olmert avesse accettato lo scambio due anni fa, oggi sarebbero ancora vivi altri 158 militari e civili israeliani, 1.100 civili libanesi e forse altrettanti miliziani Hezbollah, per quanto il martirio sia la parte fondamentale della loro militanza.

 

Molti in Israele sono convinti che se il premier fosse stato Ariel Sharon, alla provocazione di Hezbollah non avrebbe risposto con una guerra totale. Avrebbe invece studiato una risposta singola, mirata e dura. Ristabilito l’equilibrio sulla base della più antica legge del luogo - occhio per occhio, dente per dente - Sharon avrebbe trattato la liberazione dei due soldati rapiti senza porsi dei dubbi sulla legittimità degli interlocutori. Olmert e l’inesperto Amir Peretz, che allora era ministro della Difesa, hanno invece scatenato sul Libano l’intera potenza aerea d’Israele: strade, ponti, fabbriche, l’aeroporto di Beirut, interi villaggi arabi. In un Paese di tre milioni di abitanti, 900mila libanesi erano diventati profughi. Convinto che Olmert stesse combattendo una battaglia della Grande Guerra Mondiale al Terrore Islamico, George Bush aveva dato tutto il tempo necessario per piegare il nemico.

 

Bisognava punire il Libano. «Lo riporteremo indietro di vent’anni», aveva promesso Dan Halutz, il capo di stato maggiore. Il risultato, oltre agli inutili morti, è stata la destabilizzazione del Governo libanese moderato e filo-occidentale e la promozione di Hezbollah a inattaccabile difensore della dignità libanese. Se oggi a Beirut il Partito sciita di Dio è tornato al potere e ha il diritto di veto su tutto ciò che decide l:esecutivo di Fouad Siniora, una notevole responsabilità è di Ehud Olmert.

 

Ma quel massacro per riavere due soldati liberati solo ieri ha destabilizzato anche Israele. Vincere una guerra sbagliata attenua l’inutilità di quel conflitto: non essere nemmeno capaci di vincerla è peggio che perdere. È stato l’inizio della fine di Olmert, prima ancora che scandali più mondani ne incrinassero la moralità. Per cosa due anni fa Olmert ha combattuto: per salvare gli ostaggi o per dare una vittoria a se stesso, un leader senza una storia? E per cosa oggi annuncia di essere vicino a una pace: perché è vero e gli israeliani la vogliono o, ancora una volta, per bluffare con la storia? A tutti i Paesi capita di avere capi ora di valore, ora mediocri. Ma se ce n’è uno al mondo che non può permettersi di averne della seconda qualità, quello è Israele.