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La silenziosa resistenza dei monaci

di Lucia Pozzi - 18/07/2008

 

 

 

Al Potala il canto delle donne che battono il suolo con le pialle di legno trasmette l’emozione di una spiritualità soffocata dalla storia. Colmano gli scompensi del pavimento quasi celebrando un rito, con i loro abiti colorati e i copricapo in lana che le proteggano dalla polvere, in quella che era la residenza invernale del Dalai Lama e che oggi non altro che un guscio svuotato dei suoi valori più profondi, un monumento celebrativo di un passato diventato ormai remoto in questa

 

Lhasa mezza cinese han e mezza tibetana, più dedita all’espansione urbanistica, al business e al turismo che alla devozione al Buddha e alla cultura dei testi religiosi.

 

Di foto di Dalai Lama ce ne sono nei monasteri. E’ il Dalai Lama che la maggior parte dei buddhisti tibetani riconosce come capo spirituale, ma anche il Dalai Lama che il governo di Pechino ha bollato come un sovversivo separatista, vera anima nera della rivolta che ha insanguinato Lhasa il 14 marzo. Un contrasto imbarazzante, a dir poco. Pericoloso, forse, anche solo da affermare.

 

Entrando in quel gioiellino che il monastero sull’isola al centro del lago Ba Song, a 8 ore di macchina a sud-est di Lhasa, in una stupenda riserva naturale, c’è la foto di un Dalai Lama che gli assomiglia tanto. Ma non lui. E’ un predecessore. Come sempre. E come sempre il monaco che sovrintende le funzioni non ha piacere a parlare dell’argomento, evita. Fa finta di non capire. Lo comprendiamo, visto chela nostra visita organizzata dal governo centrale cinese, con noi ci sono sempre attenti accompagnatori e ogni parola filtrata da un traduttore ufficiale. Ma in quei brevi sprazzi in cui si riesce a sfuggire al controllo, magari per una sillaba sottovoce o un gesto che significa tutto, l’immagine dell’attuale Dalai Lama si illumina, prende vita dal cuore dei monaci, dal loro sguardo che sorride quando, come fosse il tesoro più prezioso, tirano fuori dalla tasca interna una piccola foto di quel volto capace d’infondere una speranza infinita.

 

Capita a Shangri-la, l’anticamera del Tibet nel profondo nord dello Yunnan. Il contesto intrigante, fatto com’è di edifici tradizionali, donne in costume locale, scale di pietra bianca che si inerpicano sulla montagna, monaci che pregano, monaci che portano dall’altra parte del cortile pentoloni pieni di minestra per il pranzo, monaci che rispondono al telefonino, monaci in scarpe da ginnastica. Ma l’eden del monastero immaginario di Shangri-la, descritto da James Hilton nel suo "Orizzonte perduto", sembra non appartenere davvero a questa realtà, almeno quando il discorso entra nel vivo e si chiede ai monaci che ruolo riconoscano, oggi, al Dalai Lama.

 

Luo Sang Ping Cuo, maestro dei testi sacri, in evidente imbarazzo. Il traduttore ne espone il pensiero: «Gli incidenti del 14 marzo non rispondono alla disciplina buddhista. Il Dalai Lama li ha causati. Quindi non può più essere il nostro capo spirituale». Una risposta che sembra più di un funzionario del Partito comunista cinese che di un monaco appartenente, per di più, alla scuola Gelugpa, la stessa del Dalai Lama. O che ci si potrebbe aspettare da personaggi come il Buddha vivente Zhikong Giangba, che, incontrato qualche giorno prima a Lhasa, non aveva fatto altro che ripetere di sostenere la politica del governo di Pechino, che a sua volta lo appoggia e lo riconosce pubblicamente. Luo Sang Ping Cuo non resiste oltre. Dice di avere un impegno urgente. E scappa via.

 

A pochi passi c’è un monaco trentenne dallo sguardo dolce. Angwu Tumian. A fatica, ma risponde: «Se il Dalai Lama fosse davvero colpevole per i fatti dei 14 marzo, non potrebbe pi essere il leader spirituale. Ma io, nel mio profondo, penso che il Dalai Lama faccia buone cose».

 

Spaccati di vita e di storia di un Tibet tormentato, sopravvissuto a una ferocia inaudita della Rivoluzione culturale contro i simboli della sua spiritualità e del suo credo buddhista, come descrive benissimo Vikram Seth nel suo "Autostop per l’Himalaia", e ora proiettato verso un futuro fatto di modernità e maggiore benessere, ma anche pieno di contraddizioni. I monasteri si svuotano di monaci e si riempiono di turisti, mentre la nuova globalizzazione cinese sta cambiando volto a tutto.