Sebbene la maggior parte degli stati membri dell’Unione europea abbia fatto dei piani d’azione per migliorare l’efficienza energetica nel periodo 2008-2016, come disposto dalla legge europea, secondo un recente studio tali piani sono largamente diversi l’uno dall’altro e mancano spesso di coerenza.
“L’impressione è che il problema dell’efficienza energetica non è preso abbastanza sul serio dagli stati membri”, afferma un comunicato stampa dello scorso 27 Giugno dell’Energy Efficiency Watch (EEW), un’associazione finanziata congiuntamente dall’Unione europea, organizzazioni non governative (NGOs) ed associazioni industriali.
Il piano d’azione per l’efficienza energetica della Commissione, già preparato da ministri UE a fine 2006, obbligava gli stati dell’Unione a realizzarne di loro entro il 30 Giugno 2007.
La maggior parte di essi è stata però consegnata in ritardo (o, come nel caso del Portogallo, non ancora consegnata), incrementando le critiche nei confronti degli stati membri riguardo al fatto che questi non hanno ancora dato seriamente importanza né prestata una sufficiente attenzione al miglioramento dell’efficienza energetica delle loro strutture e delle loro economie.
Ora che quasi tutti i piani sono stati sottoposti alla Commissione, l’EEW ha condotto un’analisi preliminare di questi basata su un certo numero di criteri, incluso il ruolo del settore pubblico nel promuovere l’efficienza energetica. Lo studio è stato coordinato dall’EUFORES, il Foro europeo per le Fonti di Energia Rinnovabili, mentre lo scrutinio dei piani di azione è stato eseguito dall’Ecofys in collaborazione con con il Wuppertal Institut per il Clima, l’Ambiente e l’Energia.
I piani degli stati membri differiscono significativamente a seconda dei loro contesti culturali e storici. C’è infatti una differenza considerevole tra gli stati membri che hanno già sperimentato da molto tempo politiche di efficienza energetica e quelli che si stanno concentrando solo ora sulla realizzazione di una struttura di base delle medesime.
Questo studio afferma inoltre che molti dei nuovi membri dell’Unione, inclusi gli Stati Baltici, la Bulgaria, la Romania, la Polonia e la Repubblica Ceca, appartengono alla categoria di coloro che ancora richiedono miglioramenti delle infrastrutture di base. Altri stati, come la Finlandia, la Germania e la Svezia, invece, hanno una tradizione più lunga nel perfezionare i provvedimenti che mirano all’efficienza energetica.
In generale, i membri UE possono essere divisi in tre categorie: quelli che hanno “investito sforzi notevoli nello sviluppare i loro piani”, quelli che hanno sottopoto piani che già sono stati adottati in altri contesti a livello nazionale e quelli che hanno provveduto solamente in minima parte alla loro implementazione.
Il fatto è che anche se si punta ad un incremento del 20% dell’efficienza energetica entro il 2020, l’obiettivo non sta vincolando giuridicamente gli stati. Questo sta alimentando la critica crescente da parte di chi afferma che l’efficienza energetica è il punto debole delle politiche energetiche e dei tentativi di lotta ai cambiamenti climatici e di riduzione di emissioni di CO2 dell’Unione Europea, che, ignorando apparentemente i rincari ed i sempre più grandi problemi di approvvigionamento energetico che dobbiamo fronteggiare, non prendono ancora sul serio la questione. E tutto questo in un sempre maggiore distacco dai cittadini europei.
Se in Europa l’efficienza energetica non è presa sul serio, sembra ovvio il fatto che in Italia sia scartata a priori. È infatti di qualche giorno fa la notizia dell’emendamento presentato a firma del Governo nel corso della seduta congiunta delle Commissioni di Bilancio e Finanza della Camera dei Deputati del 10 luglio, nel quale si prevede l’eliminazione dell’obbligo dell’attestato di certificazione energetica negli atti di compravendita o locazione degli edifici esistenti, che prevede quindi l’abrogazione dei commi 3 e 4 dell’articolo 6 del decreto legislativo 192/05 che attua la Direttiva europea 2002/91/CE, e l’eliminazione della nullità dell’atto in caso di mancata presentazione della certificazione al compratore o al conduttore, ossia l’abrogazione dei commi 8 e 9 dell’art. 15 sempre del decreto legislativo 192/05. Il tutto in aperto ed evidente contrasto con una delle principali finalità della Direttiva europea 2002/91/CE.
Evidentemente al nostro governo l’idea di farci pagare bollette meno care e/o ridurre la nostra dipendenza energetica dall’estero piuttosto che dalle fonti fossili non interessa.
Ci sono cose ben più importanti a cui pensare in Italia, come bloccare i processi e le intercettazioni, garantire l’immunità a chi già vive in un mondo di privilegi tutto suo, pagare multe per tenere reti televisive che occupano abusivamente le frequenze altrui, o riesumare fonti di energia costose e pericolose che possano permetterci di continuare a consumare fino a quattro volte di più dei paesi del nord Europa. Ma su questo non intendo soffermarmi, perché avrei personalmente molte più cose da dire.