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L'atomo? Inefficace allo scopo

di Antonio Cianciullo - 29/07/2008

 

 

«Proviamo ad accantonare per un momento il problema sicurezza, un motivo già più che sufficiente per evitare l’avventura nucleare. Parliamo solo di vantaggi economici, partendo dalla premessa che occorrono alternative ai combustibili fossili per rallentare il cambiamento climatico. Ebbene, da questo punto di vista, io dico che investire in centrali atomiche è un autogol: vuol dire sottrarre risorse preziose allo sviluppo e al miglioramento delle tecnologie che sono disponibili oggi e che, oggi, possono dare risultati ben superiori a quelli ipotizzabili con il nucleare». Jan Beranek, coordinatore internazionale della campagna sul nucleare di Greenpeace, parte da una premessa inusuale nelle argomentazioni ecologiste: la convenienza economica.

 

Eppure proprio la necessità di rallentare il riscaldamento globale ha convinto qualche ambientalista ad aprire all’atomo. «A livello globale l’atomo soddisfa solo il 6,5 per cento del fabbisogno energetico, o meglio il 2 per cento calcolando che due terzi dell’energia prodotta è calore che si perde. Immaginiamo un formidabile sforzo in questo settore, immaginiamo addirittura di raddoppiare i 439 reattori attivi nel mondo. Ebbene, a fronte di questo scenario, carico di rischi dal punto di vista della sicurezza, delle scorie, degli attacchi terroristici, il risultato sarebbe modesto.Anche costruendo un impianto nucleare ogni due settimane da oggi fino al 2030 il taglio delle emissioni serra non arriverebbe al 5 per cento. E le sembra uno scenario verosimile?»

 

Un 5 per cento di emissioni in meno non è eccitante ma neppure trascurabile.

«Dipende dalle alternative. Oggi è in gioco una torta enorme: entro il 2030 si spenderanno quasi 5 mila miliardi di euro per costruire impianti capaci di dare elettricità. Le risorse ci sono: bisogna spenderle bene. 11 piano che noi abbiamo elaborato, basato su un forte rilancio delle fonti rinnovabili, dà risultati molto migliori rispetto allascelta nucleare. Per ogni dollaro investito in efficienza energetica si risparmia 7 volte più anidride carbonica di quella evitata con un dollaro investito sull’atomo, e senza rischi».

 

L’efficienza può dare un grande contributo, ma bisogna produrre l’energia da usare bene. 

«Raddoppiare la capacità nucleare, installando 500 gigawatt di nuova potenza, costerebbe più di 2 mila miliardi di euro, oltre il doppio di quanto occorre per realizzare una potenza equivalente da fonti rinnovabili, che oltretutto non dipendono da una risorsa limitata come l’uranio».

 

E se si investisse sia sulle rinnovabili che sul nucleare?

«Rispondo citando un caso emblematico: la centrale di Olkiluoto, in Finlandia, il primo reattore di terza generazione. Non gli ambientalisti ma la Iea, International Energy Agency, nel 2004 aveva avvertito il governo finlandese che ogni ritardo nella costruzione di quell’impianto avrebbe minato la capacità di rispettare gli impegni di taglio dei gas serra. Quel rischio è oggi diventato una realtà. Nell’ottobre 2007, dopo 30 mesi di cantiere, il ritardo era di 30 mesi. Il che, calcolando che il prezzo del chilowattora nucleare è fortemente influenzato dal costo di costruzione del reattore, ha già comportato un extra costo di 1,5 miliardi di euro. In conclusione quella centrale non entrerà in funzione in tempo per rispettare gli impegni di Kyoto e la sua travagliata costruzione, secondo le dichiarazioni dell’ex ministro dell’Ambiente finlandese Satu Hassi Mep, ha sottratto energia e fondi allo sforzo a favore delle rinnovabili che invece si possono realizzare in tempi brevissimi». 

 

Una quota di nucleare potrebbe comunque essere utile per diversificare le fonti e garantire la produzione di elettricità.

«Per garantire la fornitura di elettricità occorre uno scenario opposto a quello super centralizzato e militarizzato degli Stati che sposano il nucleare: ci vuole una produzione diffusa e capillare basata sulle varie forme di energia solare, comprese biomasse ed eolico, che nessuno può far venir meno. Con il nucleare, sempre rimanendo al solo campo economico, il rischio è doppio. Innanzitutto le riserve di uranio conosciute e stimate bastano per 70 anni e ovviamente il tempo si dimezza se gli impianti raddoppiano. Poi, come dimostra il terremoto che ha messo fuori gioco da un anno i sette reattori di Kashiwazaki-Kariwa che forniscono il 6-7 per cento dell’elettricità utilizzata in Giappone, affidarsi a impianti strutturalmente precari è sbagliato proprio dal punta di vista della sicurezza dell’approvvigionamento energetico».

 

Perché le centrali sono poche. Se si moltiplicassero?

«Il nucleare è un treno che sta rallentando sempre di più: la crescita della capacità produttiva frena vistosamente di decennio in decennio. Da 29 anni negli Stati Uniti nessun reattore è stato ordinato. E, nonostante gli incentivi pubblici voluti daBush, i prestiti federali garantiti e i contributi assicurativi versati, secondo Moody’s quello sul nucleare resta un investimento non affidabile».