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Stati Uniti: segnali di Basso Impero

di Filippo Ghira - 29/07/2008

 



Fin dalla loro nascita gli Stati Uniti si sono voluti evidenziare come un qualcosa di assolutamente differente dall’Europa, come un qualcosa di altro. Una nuova entità, una Gerusalemme terrestre nella quale ognuno avrebbe potuto praticare liberamente la propria religione, lontano dalle persecuzioni e dalle lotte di religione che allora insanguinavano e tormentavano l’Europa. Il mondo nuovo che i Padri Fondatori, e quanti li seguirono, sognavano di costruire, ebbe la fortuna di innestarsi su una terra ricca e particolarmente generosa. Un fatto che alimentò in tutti i nuovi arrivati la convinzione di essere dei predestinati e li spinse ancora di più a darsi da fare per dimostrare, secondo l’etica calvinista, di trovarsi nella schiera degli eletti. Insomma una terra benedetta da Dio che si era premunito anche di sceglierne gli abitanti ai quali era stata data libertà di eliminare i nativi che avevano avuto la disgrazia di trovarsi già in loco. I nuovi arrivati, per dimostrare di essere degni di tale unzione divina, dovevano buttare definitivamente alle spalle tutto il pesante fardello culturale che si erano portati appresso dall’Europa. Gli americani, è il principio uniformante, sono uomini nuovi, guidati, illuminati e scelti da Dio, la cui pietra angolare resta e deve restare unicamente la Bibbia. La rivoluzione americana e il raggiungimento dell’indipendenza dalla Gran Bretagna fecero sensazione in Europa e addirittura in Francia funzionarono da modello ideale per la Rivoluzione del 1789, dando l’idea che solamente da oltre oceano potesse venire una parola nuova ed uno stimolo per cambiare una società asfittica. Nacque così il mito americano. Questa unicità, dopo un primo periodo di isolazionismo per impedire che i miasmi dell’Europa venissero ad inquinarla, ebbe l’inevitabile e successiva tappa nell’adozione della Dottrina di Monroe, con la quale gli Stati Uniti ammonirono i Paesi europei a non mettere più il naso nel giardino di casa, ossia in Centro e Sud America. Poi, a suggello di essa, tanto per dimostrare agli europei che non si dovevano cullare sugli allori del passato, vi fu la creazione di un nuovo Stato in Africa, la Liberia (capitale ovviamente Monrovia) nel quale furono spediti molti degli ex schiavi liberati. Un episodio che avrebbe dovuto mettere sull’allerta gli europei sulle intenzioni future dei cugini del Nuovo Mondo. Ma quasi nessuno però nel Vecchio Continente seppe leggerne tutte le implicazioni. La terza tappa fu conseguente alle precedenti. Se il nostro modello di libertà e di democrazia è così perfetto perché anche voi europei, e non solo voi, non lo adottate e non lo fate proprio, in maniera tale che poi ne trarrete tutti profitto? Una convinzione che rimase una dichiarazione di principio fino a quando gli Stati Uniti, sentendosi ormai sufficientemente forti dal punto di vista economico e militare, non decisero di fare seguire le parole ai fatti. Prima buttando la Spagna fuori dalle Filippine e da Cuba e soprattutto poi partecipando alla Prima Guerra Mondiale. Tale intervento fu lo spartiacque grazie al quale il Ventesimo Secolo finì per essere considerato il “Secolo Americano”. Con la vittoria nel conflitto, incominciò infatti la decadenza dell’Europa come centro del mondo. E soprattutto prese a sgretolarsi il predominio esercitato da un Impero, quello britannico, che allungava i suoi tentacoli ovunque. Una svolta che venne soprattutto ufficializzata con il trasferimento del centro delle attività finanziarie internazionali da Londra a New York, dalla City a Wall Street. Fu anche il momento in cui il “modello americano” incominciò a divenire un fenomeno di massa in Europa con la letteratura, il jazz, il cinema e la Coca Cola. La Seconda Guerra Mondiale finì per sancire sotto tutti i punti di vista il predominio degli Stati Uniti come prima potenza mondiale alla quale gli Stati europei, in particolare Gran Bretagna e Francia, private ormai dei rispettivi Imperi, non potevano fare altro che accodarsi, tranne dimostrare ogni tanto un minimo di orgoglio nazionale, che altro non era se non il rimpianto dell’antica potenza perduta. La Guerra Fredda e la contrapposizione all’Unione Sovietica, l’altro colosso uscito vittorioso dalla Seconda Guerra Mondiale, accentuò la vocazione americana di esportare non solo nei Paesi amici e alleati ma in tutti gli altri il proprio modello politico, economico ed ideale. Dissoltasi l’Urss, con la quale avevano gestito il mondo, gli Stati Uniti si sono però trovati nella spiacevole situazione di essere l’unica vera grande superpotenza globale. L’unica affacciata su due oceani, l’unica a poter fare arrivare i suoi eserciti e le sue merci, le due cose sono strettamente collegate, in tutti gli angoli del pianeta. Ma essendosi affermati come l’unico Impero del pianeta, gli Stati Uniti hanno incominciato a dover fare i conti con tutti i problemi che hanno caratterizzato gli Imperi che li hanno preceduti. In primo luogo lo sforzo immane del mantenimento del proprio predominio. Poi il contenimento dei tentativi da parte di altri Paesi non tanto di sostituirli quanto di scardinarne le strutture che li sostengono. Un Impero, quello americano, che per sopravvivere, ha poi bisogno di tutta una serie di satelliti disposti ad addossarsi parte di questo sforzo di contenimento. E qui nascono i problemi comuni a tutti gli Imperi del passato. Perché i Paesi satelliti o vassalli non vedono ragioni di impegnarsi, oltre un certo limite, in uno sforzo di cui non intravedono i vantaggi, se non quello immediato di dare respiro agli Stati Uniti. Questi a loro volta, danno l’idea di essere troppo stanchi per impegnarsi a lungo in uno sforzo militare che li vede finora vincenti esclusivamente in virtù di una schiacciante superiorità tecnologico-militare. Uno sforzo nel quale è però assente l’elemento umano. Come all’Impero romano a quello americano mancano infatti i soldati e diventa gioco forza fare un uso smodato di mercenari. Allora furono le legioni composte da barbari (i romani veri si erano praticamente estinti) ora sono i “contractors”. Ma questo, come insegna l’esperienza, è generalmente l’inizio della fine. Quando i propri cittadini, troppo presi a riempirsi la pancia, sono non sono più disposti a difendere le frontiere del proprio Paese o in questo caso a tutelarne gli interessi economici e strategici, significa che ci si trova su un crinale in discesa, senza la possibilità di tornare sulla cima.

Un mondo tripolare?
Ritorna allora di attualità, anche se riadattata alle necessità odierne, la vecchia idea metternichiana, mutuata da Kissinger, del perseguimento di un equilibrio internazionale, per realizzare il quale agli Stati Uniti e alla Russia (erede dell’Urss) si affiancherebbe ora la Cina. Tre Paesi che si dovrebbero distribuire i compiti e dividersi gli oneri e i relativi profitti. Ma è un traguardo possibile? Di questo tema si occupa il libro “Imperi II” (editore Settecolori, Lamezia Terme)di Alberto Pasolini Zanelli, commentatore di politica estera dagli Usa per “Il Giornale”. Russia e Cina, nota Pasolini Zanelli sono due Paesi “ri-emergenti”. Cioè due Paesi che si sono trovati di fronte alla necessità di uscire dalla “tragica esperienza del comunismo” e reinventarsi un ruolo sullo scacchiere internazionale. Private della vocazione internazionalista rappresentata dall’ideologia marxista, entrambe hanno dovuto ricercare nella propria storia il senso del proprio destino. La Russia, non potendo riadattare il panslavismo ai tempi nuovi, sentendosi circondata e minacciata dagli Stati nuovi e vecchi della Nato, e sentendosi abbandonata dalle repubbliche asiatiche già membri dell’Urss, è stata obbligata a puntare tutte le sue carte sul peso rappresentato dalla minaccia della propria potenza militare e sul fatto di essere il primo produttore mondiale di petrolio e di gas. In tale ottica appare quanto mai significativo che in nome dell’energia si siano stabiliti rapporti strettissimi tra Berlino e Mosca. Insomma la tecnologia in cambio del petrolio e del gas. Una svolta peraltro ovvia e fisiologica dal punto di vista geopolitico. Del resto il legame russo-tedesco è dimostrato dalla Storia, basti pensare che erano tedesche le grandi zarine Elisabetta e Caterina e la moglie dell’ultimo Zar. A sua volta la Cina, pur non abbandonando formalmente l’ideologia marxista visto che ha mantenuto il partito unico, ha liberalizzato totalmente l’economia con risultati a dir poco impressionanti che la hanno portata ad essere la seconda potenza del mondo con tassi di crescita a due cifre. Che Russia e Cina possano sostituire gli Stati Uniti come Nazione guida del mondo è però un altro paio di maniche. Più credibile, ipotizza Pasolini Zanelli, che si realizzi una sorta di Grande Alleanza basata più che sulle sfere di influenza sulla divisione dei compiti. Gli Stati Uniti, in conseguenza anche dell’ideologia neoconservatrice, si sentono investiti ulteriormente di una missione globale. Quella di tracciare la strada di una compiuta democrazia verso la quale tutte le Nazioni si dovrebbero incamminare. Un percorso sul quale l’Impero americano dovrebbe vigilare. Ma quello americano non può essere considerato un Impero in senso classico. Rispetto a quello romano gli manca un principio spirituale superiore che non può essere identificato con quella libertà di cui gli americani si presentano come gli alfieri e che poi hanno invariabilmente soffocato in molte parti del mondo.
“Oggi l’America – nota Pasolini Zanelli - si sente all’apogeo della propria potenza e guarda noi europei nello stesso modo in cui i romani guardavano le province più lontane. Ma c’è anche chi considera ormai l’America sovra-estesa e come un Impero che rischia di implodere su se stesso”. E sta proprio qui sta la vera questione che Pasolini Zanelli sembra non portare alle estreme conseguenze. Perché un Impero resta tale anche se ci sono popoli che vogliono entrare a farne parte e condividerne i valori. E questo non è il caso degli Stati Uniti che non riescono più ad essere un modello da imitare anche se il “sogno americano” continua ad attirare milioni di nuovi immigrati che vogliono sfruttarne tutte le opportunità materiali offerte per cambiare la propria vita.
Gli Stati Uniti non comprendono che avere vinto una battaglia (quella contro l’Urss che in realtà è collassata su se stessa) non significa avere vinto la guerra.
E non riescono a capire come il resto del mondo non provi per loro un amore incondizionato. Stando così le cose, Washington non può sperare di ricevere un aiuto o un sostegno da Mosca e da Pechino, pur essendo la Cina il primo compratore del debito pubblico Usa. La Russia, impegnata con Putin a respingere il tentativo (anglo) americano, iniziato sotto Eltsin, di colonizzarla e impadronirsi dei suoi petrolio e gas, resta profondamente diffidente verso un qualunque Bush, McCain o Obama che sia. La Cina da parte sua, è troppo preoccupata di raggiungere la supremazia economica mondiale per pensare ad accordi con Washington che finirebbero soltanto per rallentarne la crescita economica.