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Il libro della settimana: Valter Binaghi, Devoti a Babele

di Carlo Gambescia - 11/09/2008

Il libro della settimana: Valter Binaghi, Devoti a Babele, Gruppo Perdisa Editore 2008, pp. 128, euro 12,00 -www.gruppoperdisaeditore.it
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Soltanto Valter Binaghi, scrittore e uomo complicato, da sempre in ascolto di ogni minima vibrazione del mondo, poteva scrivere un libro onesto e bello sulla “dipendenza”. Infatti Devoti a Babele (Gruppo Perdisa Editore 2008, pp. 128, euro 12,00), il suo ultimo romanzo è un’indagine sull’incapacità dell’uomo contemporaneo - in questo caso un ragazzo, Arvo - di vivere schiettamente la propria libertà. Che attenzione, per Binaghi, catto-lombardo, è responsabilità.In primo luogo verso Dio.
Arvo, il protagonista, passa attraverso il nodo delle dolorose dipendenze, o "devozioni", che segnano la Città degli uomini di oggi, la Babele del titolo: la droga, la fama mediatica, il sesso, anche nelle sue più sordide forme on line. E, purtroppo, ognuno di questi veleni a prima vista sembra non avere alcun antidoto.
La libertà dalla droga rischia di trasformarsi nella dorata prigione della devozione gesuitica al guru di turno. La rinuncia alla volgare fama mediatica in individualismo autistico. E, quel che è peggio, nell’onanistico sesso virtuale, nascosto dietro voluttuosi nickname tardo-romantici…
Insomma una autentica discesa agli Inferi post-moderni. Dalla quale però Arvo riuscirà a risalire… E lasciamo al lettore, il piacere di scoprire come.
Binaghi, come abbiamo notato in altra occasione (http://carlogambesciametapolitics.blogspot.com/2008/02/il-libro-della-settimana-valter-binaghi.html ), ha una capacità tutta sua di mescolare, e bene, più registri: quello di un linguaggio duro e post-moderno, consapevole della maligna forza degli egoismi umani, con quello di un amore antico per Dio, che affonda in certo cattolicesimo lombardo, sincero e rigoroso, ma non privo di empatia, talvolta ironica, per le creature di questo mondo. Semplificando al massimo: Valter Binaghi è un "paolotto" che in questo romanzo, come in altri suoi lavori, passa attraverso le fiamme di Bataille, tenendo sottobraccio, per così dire, l'opera omnia di Chesterton...
Ma ecco un assaggio. Arvo dopo un’ overdose finisce in ospedale, si riprende, ma non demorde, la carne chiama: “Gli hanno dato una dose di sedativo che abbatterebbe un mulo ma l’astuzia del desiderio può muovere un automa. Alle tre di notte, guidato solo dall’olfatto del sonnambulo, svicola per corridoi, esplora salette, elude turnisti assonnati e casca sull’armadietto giusto, riconosce le fiale (ce n’è a mercato nero in piazza Verra), una anzi due. E la siringa. Poi nel cesso. E’ lì che lo ritrova il ragionier Lorini, unico nottambulo degente tormentato dalla prostata, alle ore 3 e 26 minuti, collassato. La madre arriva in taxi, nel cuore della notte, la terza volta in vita sua che ne prende uno. Le hanno parlato di coma, ma non profondo, non ha capito bene, si è seduta. Lui è pallido, immobile, un fior reciso. Mater dolorosa, mater lacrimosa, una spada ti trapassa il cuore” .
Ecco in quel “Mater dolorosa” c’è un grido di salvezza. Perché si tratta di una sofferenza, offerta a Dio prima che agli uomini. Ma Dio la recepirà? Secondo Binaghi ciò dipende dalla sincerità di quel grido. E noi siamo d’accordo con lui.