Si chiama «train surfing»: i ragazzi d’oggi lo praticano ovunque, dal metrò di Londra, alla provincia italiana, alle metropoli africane. Consiste nel correre in piedi sui tetti delle carrozze di un treno in corsa, o del metrò. Si impara a fare train surfing anche sui vagoni fermi, di notte: così si sono fulminati due ragazzi quest’estate, in una deserta stazione del nord Italia.
Il tetto della carrozza come tavola di surf, la velocità, la morte dietro l’angolo. Questo li eccita. Perché? La ricerca del pericolo gioca un ruolo centrale in questo ultimo grido del malessere giovanile. Lo spiegano decine di filmati su YouTube, diario dei sogni e dei malesseri contemporanei.

Lo racconta Francesco Bucchieri su Riders: «C’è chi s’è spaccato la testa contro un palo, un cavo dell’energia elettrica, l’ingresso di un tunnel mentre giocava ad evitarlo all’ultimo istante, e chi è finito schiacciato tra la motrice e la piattaforma della stazione». Cosa cercavano? La notorietà, la popolarità tra le ragazze, il prestigio fra gli amici, l’emulazione, sono solo una faccia del successo di questo gioco mortale. Nella realtà (non in quella spesso virtuale di YouTube), per una ragazza che ti premia, dieci ti mollano. Il buonsenso rimane una caratteristica del femminile, come già sapevano i ragazzi di Salò, quando cantavano: «Le donne non ci vogliono più bene, perchè indossiamo la camicia nera». Il perdente non è mai stato il sogno delle ragazze.
Non è dunque l’immagine, ciò che questi ragazzi cercano. Più significativo il nome che si sono dati: train surfer. Il surf, il primo degli sport su tavola, segnò (come tutti quelli che lo seguirono, dallo skateboard - la tavola da città - allo snowboard - quella da neve) la passione per scivolare velocemente, nel vento. Dinamismo, velocità, ricerca dell’equilibrio. Cosa ci raccontano su chi ne ha fatto la propria passione, queste caratteristiche degli sport su tavola, cui il trainsurf oggi si accoda? Ognuno di questi aspetti ci mostra quali erano le grandi paure che i loro fan cercavano di contrastare. Il dinamismo e la velocità si oppongono alla paura di star fermi, ed al timore di esserlo e rimanerlo. Il gusto di scivolare sopra una superficie (che è poi la caratteristica di tutti gli sport su tavola, dei vari tipi di surf), si oppone al timore di sprofondarci dentro.
Il surfer teme di affondare nella materia: sia essa liquida come l’acqua, o dura come un asfalto urbano, o fredda e compatta, scintillante, come la neve. Per questo gode nel provarsi di essere capace di poterla cavalcare, di scorrerci sopra, sulle sue tavole volanti.
Infine il gioco d’equilibrio, l’acrobazia, il mettere in pericolo la propria stabilità, a rischio della stessa vita, ci racconta che la grande paura di questi ragazzi è proprio quella di non essere affatto equilibrati. Il massimo desiderio diventa allora quello, scaramantico, di dimostrare che invece si possiede un equilibrio straordinario. Altrimenti, tanto vale morire.
Il train surf, la più estrema di tutte le passioni su tavola, ci mostra che la sfida giovanile contemporanea contro l’immobilità e il materialismo si sta facendo più disperata. Negli anni ’60, i primi surfisti vivevano l’emozione della ribellione scivolando in equilibrio sulle grandi onde del Pacifico, con la testa negli spruzzi del mare. Oggi i ragazzi entrano nelle gallerie in piedi sui treni, con gli occhi sbarrati, senza sapere se un cavo staccherà loro la testa.
La paura di essere disperatamente fermi, di sprofondare negli inferni metropolitani, e di non riuscire a stare in piedi è diventata angoscia.