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Gli Usa, la Bolivia e il giardino di casa petrolifero

di Umberto Mazzantini - 17/09/2008

Il presidente boliviano Evo Morales, ha fatto più che bene ad esprimere il suo apprezzamento per la decisione della presidente cilena Michelle Bachelet di convocare una riunione urgente dell´Unión de naciones suramericanas (Unasur) per discutere il precipitare della crisi politica in Bolivia dopo che il presidente indio aveva trionfato nel referendum "costituzional-energetico" che però aveva confermato la frattura con le ricche e bianche regioni orientali, culminata con l´aperta ribellione del governatore del Pando, Leopoldo Fernandez, arrestato ieri dall´esercito con l´accusa di genocidio per aver attizzato la rivolta che ha provocato la morte di molte persone.

L´Unasur ha accolto l´appello di Morales a difendere l´unità della Bolivia, ma ha soprattutto fatto capire agli Usa che sarà difficile tornare a trattare l´America del sud come l´antico giardino di casa dove prelevare materie prime a prezzi stracciati, grazie a governi fantoccio e golpisti.

Morales sarà anche un estremista di sinistra, ma la moderatissima socialista Bachelet ed il suo governo di centrosinistra sanno che accettare quello che l´indio di La Paz ha definito «il golpe civile dei governatori» sarebbe come ritornare ad infilare il capo nel guinzaglio di Washington che l´America latina si è appena sfilato grazie ad elezioni democratiche, dopo anni infiniti di fascismo, dittature militari e desaparecidos.

E i presidenti progressisti del Sudamerica sanno che Morales non esagera quando dice che «il governo americano è dietro l´opposizione».

Per Morales l´appoggio entusiasta del solo venezuelano Chavez, che aveva parlato immediatamente di «cospirazione internazionale diretta dall´impero degli Stati Uniti» sarebbe probabilmente stato mortale, ma che i presidenti dell´Argentina, del Brasile, del Cile, della Colombia (fidatissimo alleato degli Usa), dell´Equador, del Paraguay e dell´Uraguay abbiano accolto senza battere ciglio l´espulsione dell´ambasciatore Usa in Bolivia e con altrettanta freddezza l´invito di Washington ai suo personale di ambasciata e ai sui cittadini ad abbandonare il suolo boliviano, dà il senso di un cambiamento profondo e del saldarsi di una solidarietà continentale che ormai non risponde più, come il cane di Pavlov, agli input tradizionali dei governi Usa che preludevano a golpe e a una richiesta di mani libere per risolvere le crisi nel proprio giardino tropicale.

Se Washington dice che le accuse di Morales di sostenere la rivolta gasiero-indipendentista dei governatori «prive di ogni fondamento» i nuovi regimi democraticamente eletti del Sudamerica non sembrano crederci e sanno che dietro la rivolta contro le decisioni di Morales di redistribuire le entrate del gas nazionalizzato ci sono le voglie di rivincita delle multinazionali espropriate e le paure degli Usa di vedersi tagliati i rifornimenti energetici sempre più preziosi da una coalizione di democrazie progressiste che intendono alimentare così la loro crescita economica e che guardano a nuovi partner, come il ritrovato "nemico" russo, con l´apripista Chavez già pronto a rivolare a Mosca, in Cina e Portogallo la prossima settimana.

La socialista Bachelet ha capito che, in un contesto internazionale come questo (e con un´America del Sud così singolarmente fuori sintonia rispetto al pensiero unico liberista), isolare il presidente indio sarebbe stata la scelta peggiore e l´Unasur ha così espresso il proprio «sostegno completo» ad Evo Morales ed alla sua durissima reazione contro americani ed autonomisti filo-Usa.

Questa è la sostanza di cui dovrà tener conto la missione di mediazione dei 12 Paesi sudamericani che verrà inviata in Bolivia che, spiega il comunicato finale, «aiuterà l´inchiesta sulla morte di 30 contadini partigiani del presidente Morales, l´11 settembre, nel nord della provincia di Pando».

La Bachelet in persona si è rivolta ai cittadini della Bolivia (che detto per inciso ha un secolare contenzioso territoriale per lo sbocco al mare proprio con il Cile) chiedendo loro di «proteggere l´unità e l´integrità territoriale del Paese» ed ha chiesto un dialogo tra Morales e il gruppo di opposizione per placare la crisi.

Insomma, la Bachelet e gli altri 11 presidenti sudamericani mandano a dire a Washington che questa è una questione interna della Bolivia, che sanno bene che si tratta di una rivolta della destra boliviana contro i risultati di un referendum democratico che ha respinto le pretese autonomiste delle regioni ricche che non vogliono dividere con i poveri le risorse petrolifere e del gas e, soprattutto, che gli affari del Sudamerica sono roba sudamericana e che il giardino di casa ha ormai chiuso i cancelli, e non basteranno più rivolte e carriarmati, blandizie e minacce a riaprirli tanto facilmente.