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Spazio vissuto e identità

di Renzo Giorgetti - 23/09/2008

 

 

 

 

1. L’uomo vive e si muove sul territorio e sviluppa con esso un rapporto di interazione reciproca. Nel suo rapportarsi egli non solo utilizza l’ambiente come strumento di sopravvivenza, ma vi si rispecchia e trova un orientamento valido per avere una coscienza di sé e del proprio agire. Ad ogni luogo si lega il ricordo di diversi significati e funzioni che gli conferiscono una particolare identità nel quadro di uno spazio organizzato e vissuto, l’antica città è contraddistinta dall’attribuzione di valori qualitativi che definiscono ogni sua parte in maniera univoca. I luoghi particolari, con i loro nomi, formano, all’interno del tessuto urbano, un insieme organico utile all’orientamento e all’identificazione.

La piazza, il mercato, la chiesa, realtà concrete della vita quotidiana, luoghi emblematici che “rivelano” l’ambiente e ne manifestano il carattere, esprimevano un tempo con grande forza i significati della vita e creavano una vera e propria imago mundi, un microcosmo che concretizzava il mondo dell’uomo e ne esprimeva l’essere e l’essenza.

Nella tipologia degli insediamenti tradizionali non esistono nomi facenti riferimento a realtà estranee al territorio.

I vecchi nomi possono essere ricondotti ad una serie di categorie fondamentali, ad esempio alla presenza di chiese od edifici religiosi, alla memoria d’uso (armorari, mercato, osti, etc), alla presenza di fabbricati od oggetti particolari (lazzaretto, pontaccio, case rotte, giardino, etc), di famiglie patrizie, di antichi insediamenti o cascine (fara, borghetto, cascina…), di caratteristiche geofisiche del terreno (brugo, bosco, laghetto, motta, etc), o di direzione della via[1] (plombina, veroncora, via per…).

Nella città come nella campagna, l’indirizzo di una abitazione non era altro che la descrizione del percorso da effettuare per arrivarci.

I nomi, mantenuti vivi dall’uso, conservavano la loro ragion d’essere e venivano tramandati nel tempo alle future generazioni quasi senza subire variazioni, di modo che, addirittura oggi, il loro ricordo anche se corrotto e non più chiarissimo, si può comunque intravedere: per fare dei brevi esempi ricordiamo non solo i nomi degli esercenti di arti e mestieri, o di famiglie nobili, ma anche di elementi più specifici riguardanti le zone un tempo fuori dalle mura e non ancora urbanizzate: come ronchetto, (ronco, strapera o baraggia ) che indicava la presenza di suolo incolto, pieno di sterpi, o chisso (chiossetto) che indicava la presenza di un campo chiuso, piccola area di agricoltura di sussistenza coltivata ad uso familiare; così come Scaldasole indicava l’antica proprietà o la residenza nel luogo di uno skuldaizo, funzionario longobardo con incarichi amministrativi e giudiziari, e via discorrendo. E’ da notare che questi nomi non sono mai uguali nelle varie città considerate, ma sono sempre simili, comunque accomunati dall’analogia strutturale degli insediamenti. In antico il nome dato ad un luogo rispecchiava le sue qualità ed anche le memorie e le funzioni che questo concretizzava. Era proprio il vivere quotidiano, difatti, che dava forma e realtà all’ambiente. Viceversa, oggi, lo spazio, sempre più uniformato, anche dal punto di vista qualitativo, viene definito in maniera artificiale non tenendo conto delle sue caratteristiche principali. Le costruzioni anonime, gli stili costruttivi e l’organizzazione spaziale della società urbana di massa hanno portato poi alla creazione di un nuovo tipo di ambiente anonimo e straniante. Così il fenomeno del cambiamento dei nomi delle strade è un aspetto della standardizzazione e del livellamento dell’attuale società; in ogni periodo storico, la classe dirigente al potere ha cercato di imporre i propri miti a discapito delle peculiarità e delle caratteristiche del territorio; la principale caratteristica è stata sempre quella della cancellazione dell’identità locale.

 

2. Tutto questo è solo un riflesso del fenomeno della crisi dell’identità e dell’appartenenza così tipico delle società postmoderne; fenomeno che, in varie forme e manifestazioni, svuotando il territorio del suo senso più concreto ed immediato, tende a livellare lo spazio omologandone i significati e le funzioni, rendendolo così sempre più anonimo e privo di riferimenti storici e comunitari. Lo stesso abitante, già colpito come uomo da tutta la serie di mutamenti avvenuti in ambito economico e sociale nel corso degli ultimi secoli, si trova ad essere privato di quella parte del proprio essere data dallo speciale legame con la terra, legame antico e costruitosi nel corso di intere generazioni.

La perdita di appartenenza allo spazio vissuto determina quindi sradicamento e senso di straniamento da una parte consistente della stessa realtà. Con la perdita di contatto nei confronti dei luoghi occupati materialmente, l’uomo non “abita” più lo spazio (abitare-habere) cioè non lo possiede in maniera sana e non vi si identifica più completamente; certo ora occupa altri luoghi, immateriali e virtuali, ma subisce a causa della perdita della concretezza dello spazio vissuto dei cambiamenti psico-biologici perturbanti e squilibranti. Così lo spaesamento può quindi riguardare non solo persone in viaggio o che vivono in luoghi nuovi ed estranei, ma anche chi vive da sempre sul suolo natale, comunemente considerato proprio; ora che la “civiltà urbana senza città” sta dilagando sotto forma di megalopoli senza confini, è il mondo stesso a divenire uniforme, omologato, anonimo; per questo la crisi che coinvolge l’uomo della contemporaneità sembra sempre più acuta, minacciosa, e a tutti gli effetti irrimediabile.

Christian Norberg-Schulz nel suo Genius Loci porta all’attenzione il concetto di “presa esistenziale”, corrispettivo del termine “abitare”, ovvero dell’orientarsi in un ambiente e dell’identificarsi con esso, acquisendone un senso di sicurezza e familiarità tale da completare la dimensione umana; capacità che implica però spazi che siano “luoghi” nel vero senso della parola, ossia spazi dotati di un proprio carattere distintivo. Avendo l’ambiente un ruolo sociale estremamente importante, quando questo è identificato, focalizzato, familiare a tutti, agevola la formazione di memorie e simboli comuni, che rinsaldano i legami della comunità e permettono ai suoi membri di comunicare e di comprendersi vicendevolmente. E la stessa identità dell’uomo dipende dall’appartenenza autentica al luogo.

Dopo quanto detto in precedenza si può constatare come tutto ciò non sia più a portata di mano per l’uomo attuale, utilitarista e moderno, che nella sua ansia di libertà ha perso il vincolo sacro dell’appartenenza e si trova sempre più a fluttuare, come un fantasma, tra gli incerti contorni di una realtà indistinta. Finché permarranno gli attuali paradigmi economico-sociali il rapporto uomo-ambiente sarà sempre improntato sul modello dello sviluppo e sui miti della crescita illimitata e della produzione quantitativa fine a se stessa, tutti elementi che non faranno altro che far perdurare l’attuale crisi di identità in cui versa l’attuale mondo “civilizzato”; come aveva già notato Kevin Lynch infatti, “un paesaggio carico di significati magici può inibire le attività pratiche”, per cui “lo sfruttamento si realizza più facilmente in assenza di sentimento riguardo al suolo”[2].

Allo stato attuale delle cose non si intravedono vie d’uscita per cui l’uomo, nel suo continuo muoversi, con il suo viaggiare verso il nulla, sembra inevitabilmente condannato a smarrirsi del tutto, semprechè non riesca ad avvedersi che molti dei suoi obiettivi ideali non porteranno mai a risultati realmente positivi e che se intende realmente ritrovare la propria dimensione e tutti i benefici che questa comporta deve finalmente capire che “la vera libertà presuppone l’appartenenza, e che <<abitare>> significa appartenere a un luogo concreto”[3].

 



[1] La via plombina si dirige verso una località specifica (Pombia), la via veroncora o (veroncorella), è più generica, e si può trovare in vari luoghi, essendo il suo significato letterale quello di via “verso i ronchi”, ossia di strada che porta verso campi non coltivati.

[2] K.Lynch, L’immagine della città, Padova, Marsilio, 1964, p.151.

[3] C. Norberg-Schulz, Genius Loci, Milano, Electa, 1979, p.22.