Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Latte cinese, 53 mila intossicati. Lo scandalo nascosto ai Giochi

Latte cinese, 53 mila intossicati. Lo scandalo nascosto ai Giochi

di Fabio Cavalera - 23/09/2008

 
 

L'allarme generale per il latte tossico era scattato il 2 agosto. Mancavano appena sei giorni alle Olimpiadi. E sul tavolo del sindaco di una città del Nord-Ovest dal nome quasi impronunciabile (Shijiazhuang), più di due milioni di abitanti, era comparso un rapporto che già illustrava le malefatte alle quali erano ricorse 22 aziende per alterare il prodotto destinato soprattutto ai più piccoli. Ma si poteva, il 2 agosto, spezzare la macchina mediatica messa in piedi e oscurare la bellissima vetrina che la Cina stava lustrando per presentare al mondo il risultato delle sue importanti riforme economiche? Anche a costo di giocare con la salute di 53 mila bambini — quanti sono stati, come si è saputo ieri, costretti o al ricovero (12.892) o al controllo in pronto soccorso — il numero 1 di questo regno poco conosciuto che ospita l'industria chimica, tessile e alimentare, e che è la capitale della Provincia, l'Hebei, attorno a Pechino, ha preso il dossier e lo ha chiuso a chiave. Era da mesi che migliaia di famiglie lamentavano effetti collaterali opposti a quelli per i quali i medici sollecitano l'assunzione di tanto latte nell'infanzia.

 

Anziché fortificarsi, le ossa decadevano e il corpo entrava in sofferenza per il blocco di alcune funzioni del fegato. Ciò a causa di melamina aggiunta a badilate (nelle linee di produzione, hanno raccontato alcuni imputati, ne arrivavano sacchi strapieni a 29 dollari ciascuno). Una sostanza che oltre certi limiti è veleno: un trucco per fingere di migliorare la percentuale proteica. Le analisi, e si era alla vigilia della grande kermesse olimpica, avevano spazzato via ogni ragionevole dubbio. Lì dentro c'era un intruglio nocivo. Adesso che lo scandalo è sulla bocca di un miliardo e 300 milioni di cinesi è facile dare del «terrorista» al signor Ji, il sindaco della città, vicesegretario del partito comunista dell'Hebei, e additarlo come l'esempio del funzionario di medio-alto livello che per arroganza o negligenza ha provocato uno sconquasso del genere. La verità è che il signor Ji ha eseguito gli ordini di chi aveva imposto di sacrificare qualsiasi cosa all'ordinato svolgimento e al successo del mega-evento sportivo. Questo chiedeva la politica dell'immagine. E il sindaco si è dato da fare, da bravo soldatino.

 

Per almeno un mesetto si è tenuto in cassaforte il rapporto.Poi, a riflettori spenti, il 4 settembre ha finalmente avvertito i suoi superiori gerarchici nella Provincia. Credeva di essersi comportato da amministratore pubblico fedele: durante le Olimpiadi vietati i diversivi. Il cerino acceso è rimasto nelle mani del signor Ji che è finito in carcere. Bersaglio del gigantesco scaricabarile. Ma che sia stato lui l'unico a conoscere i dettagli della contraffazione alimentare e l'unico esecutore della volontà di silenziare la vicenda è dura da credere. Ieri il capo dell'Authority che vigila sulla qualità del cibo e sulla regolarità delle ispezioni, Li Changjiang, è stato rimosso dall'incarico. È il primo pesce grosso a cadere a Pechino. Segno che la catena dell'omertà si estendeva ben oltre i confini di una città a 300 chilometri dalla capitale. È immaginabile che la valanga della indignazione subisca una brusca frenata, ma che si fermi è impossibile. Lo scandalo sta bussando alle porte del potere che conta. Dalla periferia si sposta al centro. E una domanda (con relativa risposta adeguata) può fare saltare il banco: chi ha intimato al capo dell'Authority di aspettare l'11 settembre, quando già migliaia di bambini erano ricoverati (4 morti), di informare l'Oms, come previsto dai protocolli internazionali? All'origine di questo scandalo vi è uno dei problemi irrisolti della Cina: l'enorme difficoltà per il governo, addirittura l'impossibilità fino ad oggi, di vincolare le ramificazioni del partito comunista e della amministrazione al rispetto della legalità. Un conflitto che riesplode dopo la «tregua» olimpica. In nome dei Giochi la norme del buonsenso erano state sospese e sacrificate. Con un prezzo, quei 53 mila bambini intossicati, davvero tragico. Adesso, a Pechino e in periferia, ognuno col suo carico di responsabilità è spalle al muro.