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Crimine, esclusione e marginalità

di Eugenio Orso - 03/10/2008

Fonte: oppostadirezione

Voglio prendere spunto dalla questione Rom, recentemente e in parte strumentalmente apertasi nel nostro paese, per trattare da non esperto quale sono un tema complesso e fondamentale, di drammatica attualità in una società profondamente in crisi come la nostra: il rapporto fra la criminalità diffusa, da un lato, e l’esclusione e la marginalità dall’altro. Un crescendo di episodi di intolleranza, nei confronti degli zingari presenti in Italia, ha creato un nuovo caso mediatico, che si innesta furbescamente, per ragioni propagandistiche e di audience, su un problema effettivamente antico, e un’ulteriore strumentalizzazione di questioni sentite nel malconcio paese reale, quali i diritti alla sicurezza e alla buona vita della popolazione residente, da parte di quella politica che definisco senza mezzi termini ufficiale e “di sistema”. Il caso Rom non può non essere ricordato, perché emblematico di come la questione sicurezza è trattata e, assieme ad altri numerosi casi generati dai recenti flussi migratori e di immigrazione (ad esempio i rumeni e i cinesi), è utilizzata dai poteri mediatico e politico a loro uso e consumo. Certo che gli zingari, siano essi Rom o Sinti, costituiscono un facile bersaglio, non avendo uno stato di riferimento, con il quale possono sorgere contrasti a livello internazionale, non essendo una nazione omogenea, per lingua, dato che non tutti parlano il Romanì, per diversità di origine, essendo diversi i paesi di provenienza, dalla provincia serba del Kosovo alla Romania, e per religione, che può essere cristiana ortodossa, cattolica, musulmana, protestante e altro. Certo che lo sgombero del campo di Ponticelli, a Napoli, avvenuto in fretta e furia a suon di molotov e attacchi con l’uso di spranghe da parte di alcuni napoletani, è prima di tutto funzionale alla “riqualificazione” dal punto di vista urbanistico di quella area, affare edilizio di molte decine di milioni di euro nel quale, possiamo ragionevolmente supporre, c’è di mezzo anche l’onnipresente camorra, oltre che il comune targato Jervolino e una certa quantità di finanziamenti pubblici. Da un lato si innescano vere e proprie guerre tra poveri, non del tutto spontanee, in cui italiani sempre più depauperati e angosciati dal futuro credono di poter difendere i loro miseri averi e i diritti residuali attaccando altri poveri provenienti dalle più diverse parti del mondo, in fuga dalla miseria e talora dalla guerra, mentre dall’altro questo conflitto, ormai intestino e radicato nella nostra società, è utilizzato da un potere politico che ha i suoi referenti nei grandi interessi economici e finanziari, in buona parte internazionalizzati, per dividere ed imperare, magari sulle macerie etiche e materiali del paese, per limitare ulteriormente i diritti del popolo italiano e per distogliere l’attenzione da altri problemi, drammatici e concreti, quali sono la sovranità territoriale e quella monetaria, la distruzione progressiva dello stato sociale e l’esigenza di una ripartizione più equa del prodotto nazionale, la stessa sovranità alimentare, minacciata dagli accordi commerciali internazionali, dalla produzione di bio-carburanti e dalla speculazione sui mercati dei prodotti agricoli. Il fatto che le due principali parti politiche del sistema, il Pd da un lato e il PdL dall’altro, pur con qualche differenza significativa o anch’essa strumentale che sia, manifestino concordia all’interno di questa logica, ci rivela che l’amplificazione artificiosamente data ai temi della sicurezza, della lotta al crimine e, come se fosse la stessa cosa, del contrasto duro all’immigrazione clandestina, sono altrettanti sintomi della costituzione, nel nostro paese, di un vero e proprio “blocco istituzionale”, che proseguirà imperterrito sulla strada del consenso ai processi di mondializzazione economica – che pur hanno rivelato ampiamente la loro perniciosità – della conseguente espropriazione della sovranità popolare e nazionale, della difesa degli interessi dei grandi cartelli, quali quello bancario e assicurativo, e del mantenimento degli assurdi privilegi di una burocrazia politica sciagurata e autoreferenziale. Come ulteriore prova dell’omologazione della così detta classe politica e del fatto che questa ultima utilizzi per i suoi più inconfessabili scopi il problema della lotta al crimine, spesso furbescamente identificato con la migrazione e l’immigrazione (in particolare clandestina), riporto un illuminante passaggio, tratto dal settimanale Carta [Anno X n. 19, del maggio 2008, pag. 33]: All’assenza di conflitto nelle istituzioni corrisponde l’imbarbarimento sociale, quello della guerra orizzontale, che scarica sui deboli, sui rom, sui migranti, le tensioni e le paure generate dal crollo che non riguarda solo la politica. La ricerca di un nemico sul quale scaricare le proprie frustrazioni e la propria paura del futuro – generata nella realtà dagli assetti economici, politici e sociali ai quali la popolazione soggiace – è una tragedia antica, che si ripete in periodi di crisi e decadenza, proprio come l’attuale. E’ chiaro che il rapporto fra criminalità diffusa, flussi migratori e immigrazione deve essere completamento ripensato, poiché le cause dell’insicurezza generale e del proliferare degli atti criminosi – anche se le “statistiche” ufficiali, per alcuni reati, segnano una diminuzione e si parla ipocritamente di insicurezza percepita - vanno ricercate in primo luogo non in una relazione diretta e aprioristica fra crimine, migrazioni e immigrazione, ma nel modello di sistema politico e sociale al quale siamo stati costretti a sottostare, nonché nel modello di “sviluppo” economico diffuso a livello mondiale, attraverso gli accordi commerciali predisposti ad arte, i “prestiti” internazionali concessi ai paesi poveri a condizioni capestro, il nomadismo dei capitali finanziari per lo sfruttamento delle risorse in ogni angolo del pianeta, con conseguente impoverimento delle comunità umane, e talora non disdegnando, per allargare il mercato e diffondere la democrazia, l’uso della forza militare con tutte le conseguenze distruttive del caso. Democrazia rappresentativa di matrice liberale e libero mercato globale sono dunque i concetti chiave, per comprendere in profondità il nesso che esiste fra criminalità, esclusione e marginalità. Quando si parla di esportazione della democrazia si intende, in realtà, ulteriore allargamento del mercato in senso neo-coloniale, nonché omologazione dal punto di vista culturale, che ogni particolarismo e ogni identità tende a distruggere, e quando si parla delle (fumose) opportunità offerte dalla globalizzazione, si intende nient’altro che l’aumento di profitti e dividendi per i gruppi finanziari e industriali di controllo, ottenuti a scapito delle economie e delle collettività nazionali e locali sia dei paesi che si “aprono” al mercato, sia dei paesi di più antica industrializzazione. Le fiumane di persone che sono entrate e cercano ancora di entrare nel nostro paese – nonostante gli annunciati irrigidimenti legislativi in materia, fino alla creazione del reato di immigrazione clandestina – sono vittime, dirette o indirette, dei predetti meccanismi. Coloro i quali, in Italia, “percepiscono” il pericolo come direttamente legato alla presenza di Rom e degli appartenenti a tutti gli altri gruppi, sono anch’essi sempre più marginali o esclusi dai benefici della globalizzazione, anzi, ne sentono esclusivamente gli effetti negativi, in termini di riduzione dei servizi sociali offerti, di danni ambientali, di assenza o di precarietà del lavoro, di insufficienza crescente di reddito. Ambedue i gruppi di poveri sono le vittime predestinate di un capitalismo deterritorializzato e di rapina e di una visione del mondo ridotto ad un vasto mercato, popolato da consumatori sottomessi all’ordine marciante [cito liberamente Alain de Benoist, in L’altro mondo, Comunità e Decrescita, Arianna Editrice, I edizione del 2006], per essere ancor più chiari: sottomessi al Nuovo Ordine Mondiale teorizzato dai Neocon ebreo-americani e agli appetiti pantagruelici dei bilderbergers e di Goldman Sachs. Le due forze apparentemente contrapposte sul campo di battaglia di un'Italia in crisi, non soltanto economica, sono in realtà accomunate, pur in forme e in gradazioni diverse, dalla marginalità e dall’esclusione: i migranti e gli immigrati – in primo luogo i Rom – costituiscono un comodo capro espiatorio, per scaricare le forti tensioni sociali e impedire la riflessione sulle vere cause del nostro attuale degrado, mentre gli italiani sviati dalla falsa informazione e impoveriti, che ne “percepiscono” il pericolo legandolo direttamente alla diffusione della criminalità, costituiscono una comoda massa di manovra per un potere politico, democratico e liberale, sicuramente prono davanti alle ragioni della mondializzazione economica, che tende semplicemente a perpetuare se stesso.