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La crociera della «Graf Spee» e la battaglia del Rio de la Plata

di Francesco Lamendola - 15/10/2008

Il trattato di pace di Versailles, nel 1919, aveva stabilito, fra l'altro, che la Marina germanica non potesse costruire delle navi da guerra superiori alle 10.000 tonnellate di stazza. Tale clausola era stata scrupolosamente rispettata dai governo della Repubblica di Weimar, durante i quali la Germania non aveva proceduto che al varo di unità leggere: dragamine, cacciatorpediniere e incrociatori leggeri.

Le cose cambiano con l'avvento al potere del nazismo. Nel quadro generale di riarmo delle forze armate tedesche, anche la Kriegsmarine riceve un forte impulso, nella prospettiva di fare nuovamente della Germania una potenza navale. Nasce così, presso l'Ammiragliato di Berlino, l'idea di varare alcune piccole corazzate di appena 10.000 tonnellate, in modo da non superare i limiti imposti dal trattato di Versailles; ma, per il resto, dotate di tutte le caratteristiche delle vere corazzate.

L'armamento principale è costituito da 6 cannoni da 280 millimetri disposti in due torri trinate, che possono sparare proiettili da 335 kg. fino a una gittata di 15 miglia nautiche. L'armamento secondario è formato da otto cannoni da 150 millimetri  al centro della nave; otto cannoni da 105 millimetri; artiglieria contraerea, otto tubi lanciasiluri da 833 millimetri e, infine, un idrovolante su catapulta per la ricognizione aerea. Dotate di otto motori Diesel da 6.750 HP ciascuno, queste unità possono raggiungere la velocità massima di 26-27 nodi e godono, a pieno carico di nafta, di un'autonomia di 10.000 miglia. Sia lo scafo che le torri sono dotate di una corazzatura sufficiente a proteggerli dal tiro dei medi calibri.

Sono tre queste mini corazzate, che vengono subito battezzate «corazzate tascabili»: Deutschland, Admiral Scheer e Admiral Graf Spee. Si ritiene che esse possano superare in velocità qualunque nave pesante e, in potenza di fuoco, qualunque unità veloce, anche se non è del tutto vero. Gli incrociatori da battaglia inglesi Hood, Repulse e Renown e le corazzate francesi Dunquerque e Strasbourg sono ad esse superiori sia in fatto di velocità, che di armamento. Un po' come nel caso degli Stukas per l'Aviazione, la leggenda ingigantisce il potenziale bellico delle «corazzate tascabili»: saranno i fatti a mostrare che le reali prestazioni di queste unità, pur eccellenti sotto molto rispetti, non sono però così fuori dell'ordinario, quali le aveva dipinte il timore - o la propaganda - del nemico.

La Admiral Graf Spee è stata battezzata con il nome dell'ammiraglio che, all'inizio della prima guerra mondiale, comandava la squadra degli incrociatori tedeschi dell'Estremo Oriente, con base a Tsingtao, e che venne interamente distrutta nella battaglia delle Isole Falkland, dopo aver riportato un brillante successo sulle coste del Cile, nello scontro di Coronel, contro l'ammiraglio Cristopher Cradock (cfr. F.. Lamendola, L'ultima crociera dell'ammiraglio Spee. Battaglie navali di Coronel e Falkland, novembre-dicembre 1914, consultabile sul sito di Arianna Editrice). Un curioso destino vorrà che anch'essa trovi la sua tragica fine nelle acque orientali del Sud America, proprio come era toccato agli incrociatori  corazzati Scharnhorst e Gneisenau e agli incrociatori leggeri Nürnberg e Leipzig, l'8 dicembre 1914.

Costruita nell'arsenale di Wilhelmshaven e varata il 30 giugno del 1934, la Graf Spee ha un dislocamento effettivo di 16.200 tonnellate; è lunga 188 metri, larga 21,7 e un pescaggio di 7,3; i suoi motori possiedono una potenza di 56.800 cavalli, che le consentono di filare a una velocità massima di 28,5 nodi. L'equipaggio è costituito da 1.150 uomini.

Al comando di questa bella e modernissima unità viene chiamato il capitano di vascello Hans Langsdorff, 45 anni, veterano della battaglia dello Jutland. È il classico ufficiale gentiluomo, determinato ma cavalleresco, e lo dimostrerà facendo del suo meglio per assicurare il miglior trattamento possibile (o, almeno, il meno peggiore possibile) agli equipaggi delle navi nemiche catturate durante la sua crociera in qualità di nave corsara. I suoi uomini lo adorano; perfino gli Inglesi dovranno dimostrargli rispetto, oltre che un certo grado di ammirazione per l'abilità con cui comanderà la sua nave.

La sua tragica fine, quando deciderà di togliersi la vita per non sopravvivere alla perdita della Graf Spee, potrebbe far pensare che, dietro i suoi modi decisi e tuttavia cortesi, si celasse una certa fragilità emotiva. Non è così: per tutta la durata della crociera, e durante il drammatico scontro del Rio de la Plata, Langsdorff mostrerà di possedere ottime doti di padronanza di sé e sicurezza di giudizio.

La decisione di togliersi la vita verrà presa in perfetta lucidità di spirito - dopo che i suoi uomini avevano preteso che anch'egli si mettesse in salvo mentre la loro nave si inabissava - allo scopo di «lavare» dalla Kriegsmarine la macchia dell'autoaffondamento. Anche se un tale gesto può essere criticato dal punto di vista morale, bisogna tuttavia riconoscere che è perfettamente in linea con lo spiccato senso dell'onore del comandante Langsdorff.

 

Per assicurare alla Graf Spee l'indispensabile rifornimento di combustibile, è stato predisposto dall'Ammiragliato che si ponga a sua disposizione la magnifica petroliera di 12.000 tonnellate Altmark, comandata dal capitano Heinrich Dau. La busta per le istruzioni che i due comandanti, Langsdorff e Dau, ricevono dall'Ammiragliato, indipendentemente l'uno dall'altro, è sigillata e dovrà essere aperta solo in caso di guerra, per assicurare all'operazione la massima segretezza. Entrambi ignorano che il destino sta per accomunarli in una breve, ma gloriosa crociera che renderà la Graf Spee ben più famosa delle altre due unità consorelle.

Salpata  dalla base di Wilhelmshaven il 21 agosto del 1939, undici giorni prima dell'attacco tedesco alla Polonia e tredici prima dello scoppio della seconda guerra mondiale, la Graf Spee dirige dapprima verso la Norvegia, poi verso l'aperto Oceano Atlantico, e scende velocemente verso sud. Secondo un piano di marcia prestabilito, s'incontra con l'Altmark che, proveniente da Port Arthur nel Texas, le reca il gradito rifornimento di 9.000 tonnellate di combustibile di eccellente qualità. Procedendo di conserva, le due navi tagliano la linea dell'Equatore l'8 settembre; poi, dopo aver incrociato senza incontrare una sola nave nel triangolo compreso fra Trinidad, Ascensione e l'isola di Sant'Elena, Langsdorff, effettuato un novo rifornimento con l'Altmark - che, dora in poi, procederà per conto suo, stabilendo l'appuntamento di volta in volta - decide di portarsi più vicino alle coste del Brasile.

La prima preda a cadere in potere della Graf Spee, il 29 settembre, è il mercantile inglese Clement, di 5.000 tonnellate. Poi, fedele alla regola di allontanarsi rapidamente dal luogo delle sue catture, per non rivelare la propria presenza al nemico, Langsdorff  volge decisamente la prua ad est e, il 5 e il 7 ottobre, al largo dell'Angola, cattura altre due navi, rispettivamente la Newton Beach, di 4.600 tonnellate, e il piroscafo Ashlea, di 4.200. Poi, il 10 ottobre, mentre la corazzata si dirige a sud-ovest, è la volta del mercantile Huntsman, di 8.300 tonnellate, carico di gomma e altri materiali; e il 22 successivo, proprio al largo di Città del Capo, del coraggioso piroscafo Trevanion di 5.300 tonnellate, il quale, prima di essere colato a picco, riesce - ma inutilmente - a lanciare l'allarme radio, segnalando la posizione del corsaro.

Adesso, Langsdorff decide di disorientare gli Inglesi, che lo stanno cercando nel Sud Atlantico, doppiando il Capo Agulhas e spingendosi nell'Oceano Indiano. La sua crociera in questo settore durerà solo una quindicina di giorni, giusto il tempo di spingersi in direzione del Canale di Mozambico e di catturare la piccola petroliera Africa Shell, di appena 700 tonnellate, che, essendo priva di combustibile, viene affondata il 5 novembre.

Con le stive ormai stracolme di prigionieri, e deluso per la scarsità del bottino nell'Oceano Indiano, Langsdorff volge nuovamente la prua verso ovest e rientra in Atlantico, navigando sul parallelo del Capo di Buona Speranza, dove effettua una serie di catture spettacolare mano a mano che procede verso il Sud America.

Il 2 dicembre tocca al piroscafo Doric Star, di 10.000 tonnellate; il giorno dopo, al mercantile Tairoa di 8.000 tonnellate; e infine, l'8 dicembre, a un altro mercantile, il Streonshaln, di 9.900 tonnellate.

Il giorno 6 ha luogo l'ultimo incontro con l'Altmark, dal quale la Graf Spee si rifornisce di nafta e vettovaglie e alla quale affida gli equipaggi delle navi catturate, ad eccezione degli ufficiali. L'8 dicembre, poi, una mesta cerimonia ricorda il sacrificio dell'ammiraglio Spee nel 1914: una corona di fuori viene gettata nelle acque dell'Atlantico meridionale, per commemorare i caduti tedeschi nella battaglia delle Isole Falkland di venticinque anni prima.

 

Intanto, però, la rete dei segugi si sta stringendo intorno alla «corazzata tascabile».

Sia il Doirc Star che il Tairoa hanno fatto in tempo, prima di essere obbligati a fermarsi, a lanciare dei messaggi che iniziavano con la sigla convenzionale RRR, che significa: «Assalto da parte di una nave corsara di superficie». Anche se Langsdordff si illude che il nemico lo creda ancora nell'Oceano Indiano, quelle due ultime segnalazioni hanno dato all'Ammiragliato inglese la certezza che egli si trova nel Sud Atlantico, a non grande distanza dall'estuario del Rio de la Plata. Mentre il comandante tedesco, informato che un convoglio di quattro piroscafi nemici si trova nell'estuario, dirige verso di esso, la trappola sta per scattare.

Le forze navali che la Gran Bretagna  e la Francia hanno messo in campo per dare la caccia alla Graf Spee e distruggerla, sono addirittura schiaccianti. Si tratta di ben nove distinte squadre operative, contraddistinte da altrettante lettere dell'alfabeto, ciascuna con il suo settore di pertinenza.

La Forza F, costituita dagli incrociatori Berwick e York, pattuglia le acque orientali del Nord America; la Forza G (incrociatori Cumberland, Exeter, Ajax e Achilles) sorveglia le coste orientali del Sud America; la Forza H (incrociatori Sussex e Shropshire) sorveglia le adiacenze del Capo di Buona Speranza; la Forza I (incrociatori Cornwall e Dorsetshire e portaerei Eagle) è di stanza a Ceylon; la Forza J  (corazzata Malaya e portaerei Glorious) sorveglia il Golfo di Aden; la Forza K (incrociatore da battaglia Renown e portaerei Ark Royal) staziona sulla rotta Pernambuco-Freetown; la Forza L (incrociatore da battaglia Repulse e portaerei Fur) è adibita alla scorta dei convogli atlantici; La Forza X (due incrociatori francesi e la portaerei inglese Hermes) copre la rotta Pernambuco-Dakar. Infine, a protezione di quest'ultima rotta, considerata particolarmente sensibile, è pronta anche la Forza Y (incrociatore da battaglia francese Strasbourg e incrociatore inglese Neptune) .

Come si vede, la Graf Spee è letteralmente circondata, e la sua fine è solo questione di tempo. È sufficiente che il nemico riesca a localizzarla - come avviene dopo l'affondamento del Doric Star e del Tairoa - perché almeno una delle squadre in pattugliamento nell'Atlantico (o nell'Oceano Indiano) abbia buone probabilità di incontrarla e impegnarla, trattenendola fino all'arrivo delle altre che si trovano più vicine.

E così avviene.

Il Gruppo G, composto dai due incrociatori pesanti Cumberland ed Exeter e dai due incrociatori leggeri Ajax ed Achilles, al comando del commodoro Henry Harwood, calcola, in base alle ultime segnalazioni ricevute, che il 13 dicembre la corazzata tascabile dovrà trovarsi in un punto ben preciso al largo del Rio del la Plata e si dirige verso quella zona. Il Cumberland, però, deve trattenersi a Port Stanley, proprio nelle Isole Falkland, per delle avarie; sono perciò gli altri tre incrociatori che, all'alba del 13 dicembre, entrano nel campo visivo della corazzata tedesca, avvistandola a loro volta.

Langsdorff commette un errore di valutazione: credendo di avere a che fare solo con un incrociatore e due cacciatorpediniere, decide di affrontarli per poter piombare poi sul convoglio, che egli crede non lontano. Quando si rende conto di avere di fronte tre incrociatori, è ormai troppo tardi per sottrarsi: la loro velocità superiore renderebbe impossibile un tentativo di sganciamento. Meglio affrontarli subito, sfruttando la superiore gittata dei propri pezzi.

Alle 6,18 ha inizio la battaglia. Gli Inglesi, come avevano stabilito in precedenza, attaccano su entrambi i lati: l'Exeter da una parte, l'Ajax e l'Achilles dall'altra.

 

Léonce Peillard, autore di uno dei migliori libri sull'argomento, La battaglia dell'Atlantico, ha così rievocato le due fasi salienti della battaglia del Rio de la Plata: la prima, nella quale l'Exeter viene messo fuori combattimento; e la seconda, in cui l'Ajax e l'Achilles conducono il loro lungo, ostinato attacco contro la Graf Spee, obbligandola a fuggire verso Montevideo, che sarebbe divenuta la  meta finale della sua sfortunata crociera (titolo originale: La Bataille de l'Atlantique, Éditions Robert Laffont, 1974; traduzione italiana di Oliviero Morpurgo, Arnoldo Mondadori, Milano, 1976, pp. 79-87):

 

Martedì 12 dicembre, alle 7 del mattino, tre incrociatori britannici si riunivano al punto 32° S -41° W. Era il punto di passaggio per la maggior parte delle navi mercantili che entravano nel Rio de la Plata e ne uscivano. A mezzogiorno, Harwood impartiva all'Ajax (capitano di vascello C. H. L. Woodhouse), all'Achilles (capitano di vascello W. F. parry) e all'Exeter (capitano di vascello F. S. belkl) l'ordine di attaccare immediatamente, e di sorpresa, la corazzata tascabile, da poppa, sia di giorno che di notte.

Nel corso della serata, per la prima volta, le tre navi eseguirono, come esercitazione,, le manovre prescritte da Harwood: da un lato, la 1a divisione (Ajax-Achilles), dall'altro l'Exeter.

Durante questo tempo, la Graf Spee, che aveva perso tempo per trasferire i prigionieri inglesi sull'Altmark, aveva fatto una diversione verso la baia di Santos e procedeva a 15 nodi verso la divisione del commodoro Harwood.

La battaglia tra i tre incrociatori inglesi e la Graf Spee era ora inevitabile. Doveva durare dall'alba al tramonto.

Il 13 dicembre 1939, nelle prime ore del mattino, la Graf Spee si trova a 34°30' S - 49°55'W, con prora per 155°, a 15 nodi, velocità che essa ha mantenuto durante tutta la notte. Langsdorff ha intenzione di accostare per 335° alle 6 del mattino. La visibilità è buona: 20 miglia.

Sono esattamente le 5,52 quando le vedette segnalano prima due, poi quattro alberi, di proravia sulla dritta, a una distanza di circa 31.000 metri. Langsdorff, subito informato, fa subito aumentare la velocità per avvicinarsi a queste navi sconosciute.

Alle 6 risuona l'ordine: «A posto di combattimento!».

Dalle sovrastrutture della Graf Spee si osservano con attenzione quegli alberi; un convoglio? Alla fine, no!

«È un incrociatore del tipo Exeter. Di prora ad esso ci sono due navi, probabilmente due cacciatorpediniere, perché sono basse sull'acqua», dice l'ufficiale di guardia.

«Sicuramente, queste unità proteggono un convoglio», pensa Langsdorff, e decide di attaccare immediatamente.

«Quando fummo certi che le navi nemiche erano tre incrociatori [scrive Rasenack, direttore di tiro della corazzata] era troppo tardi per cambiare il corso degli eventi poiché essi ci avevano scorti, erano più veloci e, con l'eccellente visibilità a quelle latitudini, non avremmo in alcun modo potuto perdere il contatto e disimpegnarci. Simili navi potevano senza difficoltà far intervenire uno dei nostri 'grandi amici' che avrebbe potuto liquidarci da una distanza superiore alla gittata dei nostri cannoni. Proprio per tale ragione, il nostro comandante ci ordinò d'aprire il fuoco prima che il nemico, aumentandola velocità, potesse uscire dalla gittata dei nostri pezzi. Quando il comandante fu informato del tipo di navi con le quali avevamo a che fare, senza levare la pipa dall'angolo della bocca, disse seccamente: "Li schiacceremo!" e, invece di raggiungere il torrione di comando corazzato, si arrampicò in cima alla plancia superiore. Di là, poteva meglio osservare l'andamento delle cose e dirigere l'azione».

Ore 6,10: Langsdorff riconosce il proprio errore. Non si tratta di due cacciatorpediniere, ma dell'Ajax e dell'Achilles. Delle bandiere e salgono sulle drizze delle navi nemiche, tra cui la N., un triangolo giallo con una fiamma blu, seguita dal numero 322. Dunque hanno scorto la Graf Spee e certo si preparano alla battaglia.

La Graf Spee naviga ora a tutta velocità. Alle 6,15 accosta per 115, per attaccare da dritta. La velocità dell'Exeter  è stimata sui 117 nodi. La posizione della Graf Spee è favorevole.

6,15: l'Exter segnala otticamente all'Ajax: «Credo si tratti di una corazzata tascabile».

Nello stesso istante, Rasenack dava istruzioni alla due torri affinché fossero pronte ad aprire il fuoco, quando la A segnalò: «Non brandeggio!»

Era quanto di peggio potesse accadere. C'era difatti un'avaria a un magnete, un bullone del quale si era allentato sicché l'apparecchio di rettifica dell'alzo era bloccato. La riparazione fu immediatamente eseguita.

ora i tre cannoni della torre a sono in condizione di sparare. A 20.000 metri, le due torri aprono il fuoco. Una, brandeggiata sull'Exeter, l'altra, sull'Ajax.

6,20: secondo il piano predisposto il giorno precedente dal commodoro Harwood, la 1a divisione Achilles e Ajax) incomincia un tiro concentrato da 19.200 yarde e accosta per 340°.

L'Exeter lascia la linea di battaglia.

Come in un baleno, la divisione inglese si distende. Così, la Graf Spee sarà costretta a disperdere il proprio turo e sarà presa tra due fuochi da navi meno armate, meno protette da corazza, ma più veloci e, soprattutto, animate dal desiderio di vincere.

L'Exeter s'allontana dalla 1a divisione e apre il fuoco alle 6,20. L'Achilles alle 6,21, l'Ajax alle 6,23. Nello spazio di tre minuti, la battaglia s'accende da tutte le parti e le colonne d'acqua dei proietti tedeschi da 280 si levano attorno all'Exeter e all'Ajax. Sembra che Langsdorff faccia fatica a scegliere i propri obiettivi.

Il tiro dell'Achilles è preciso. Questo incrociatore neozelandese, comandato dal capitano di vascello Parry, possiede in dotazione un «cervello», eccezionale direttore di tiro:  l'Admiralty Fire Control table. Questa specie di calcolatore elettronico inghiottiva tutte le informazioni che gli si forniva: distanza, velocità, rotta del nemico, , e dirigeva i cannoni tenendo conti della velocità del nemico (25 nodi), di quella dell'Achilles (28 nodi), della forza del vento, della pressione barometrica.

6,25: la Graf Spee concentra il tiro dei suoi 280 sull'Exeter mentre la sua artiglieria leggera spara sugli altri due incrociatori inglesi.

Il comandante Langsdorff non ha lasciato le sovrastrutture. Sopra di lui, l'ufficiale di tiro Asher è meglio protetto del suo comandante.

Langsdorff può vedere in cima all'albero delle navi inglesi la lunga fiamma bianca - la White Ensign - insegna di combattimento, una tradizione nelsoniana. Egli non sa che, su ogni nave, parecchie White Ensigns sono pronte a essere inalberate nel caso la prima fosse abbattuta.

La terza salva della Graf Spee tocca l'Exeter. Un proietto esplode al centro della nave, uccide gli addetti al tubo lanciasiluri di dritta, danneggia il sistema di trasmissione e mette fuori servizio i due aerei sistemati sul ponte. Una squadra getta fuori bordo i due apparecchi. L'Exeter spara otto salve.

Un proietto da 280 colpisce il pieno la torre B dell'Exeter. Tutti i serventi ai pezzi della torre sono uccisi. Nonostante fosse ferito, il comandante Bell riesce a lasciare la timoniera inutilizzabile e passa con i suoi ufficiali a poppa. Di là, dirigerà la battaglia. I suoi ordini vengono trasmessi attraverso la nave da una catena d'uomini.

6,28: due nuovi colpi a prora - sono dei 280!

6,30: i cannoni d'una torre della Graf Spee sparano sull'Achilles e sull'Ajax, ch'è colpito tre volte.

Il tiro dell'artiglieria di medio calibro della Graf Spee, di troppo corta gittata, è inefficace.

L'Exeter conosce un momento di respiro.

6,32: l'Exeter accosta per ovest per lanciare i siluri dai suoi tubi di dritta, ma la Graf Spee accosta di 150° sulla sinistra e fa rotta a nord-ovest sotto la copertura di una cortina di fumo. A tutta velocità, l'Ajax e l'Achilles abbandonano momentaneamente la loro linea di tiro, accostando per nord, poi per ovest, per avvicinarsi al nemico.

6,37: il tenente di vascello Lewin s'arrampica a bordo dell'aereo di ricognizione dell'Ajax. Operazione pericolosa. La coperta è sconvolta dagli spostamenti d'aria provocati dai cannoni dell'Ajax che non cessano di far fuoco nemmeno durante il catapultamento dell'aereo.

L'Exeter accosta ancora una volta. Si avvicina alla corazzata tascabile tedesca.

6,38: l'Exeter riceve nuovi colpi in pieno. Il primo proietto mete fuori uso la torre prodiera. Il secondo scoppia al centro della nave, nell'alloggio sottufficiali e provoca un principio d'incendio in un deposito munizioni. Alcune tubolature scoppiano. Il deposito dei proietti da 105 è allagato. Le avarie sofferte dai circuiti elettrici costringono il comandante Bell a servirsi d'una bussola di fortuna.

6,40: alcuni proietti colpiscono la prora dell'Achilles. Diversi uomini restano uccisi. Il comandante Parry è ferito alle gambe. I tedeschi usano contemporaneamente proietti perforanti e granate esplosive.

L'ufficiale di tiro Washbourn scrive:

«Le schegge ci crivellano dalla linea di galleggiamento alla cima degli alberi. Il fracasso dei colpi in arrivo ci assorda. Lo choc è stato tremendo. Mi ricordo d'essere rimasto piegato in due sul mio seggiolino, mentre mi reggevo a due mani la testa grondante di sangue. Ho avuto la prontezza di riflessi d'urlare che si avvertisse la stazione di governo poppiera di sostituirci, dopo di che mi misi a fare il bilancio della situazione. La sala aveva l'aspetto di un mattatoio all'ora di punta. Avevamo ricevuto sei colpi in pieno sulla dritta, niente a sinistra. Due dei miei radiotelegrafisti non erano più che una specie di mucchietti di sargia blu inzuppati di sangue. L'uomo incaricato del cannocchiale telemetrico aveva al viso e alle cosce delle ferite tutt'altro che belle a vedersi. Era crollato addosso a un osservatore degli scarti. Quanto a costui, malgrado le profonde ferite alle natiche, ebbe il coraggio di restare al suo posto senza un solo lamento.

L'operatore dell'inclinometro era stato stroncato da due schegge. Disgraziatamente, non me ne accorsi subito, di modo che abbiamo continuato per un certo tempo a dirigere il tiro con un morto seduto davanti ai suoi strumenti. Inutile dire che la nostra precisione ne ha risentito. Quando me ne resi conto, ordinai a un giovane marinaio di seconda classe di sostituire il morto. Egli non riuscì a togliere il cadavere del suo predecessore, si sedette allora su "quella cosa" e continuò imperterrito l'aggiustamento sino alla fine della battaglia».

6,50: l'Exeter è praticamente fuori combattimento. Due torri su tre sono inutilizzabili. La terza, quella di poppa, continua a tirare ma con un solo canone, e a occhio. L'ufficiale di tiro dirige e giudica i colpi a lume di naso, sporgendo la testa, «come ai tempi di Trafalgar».

L'incendio fa strage. Il castello di prua non è più che un ammasso di ferraglia. L'incrociatore, avendo imbarcato 650 tonnellate d'acqua a prua, pesca 90 cm. di più. Nessuna comunicazione radio possibile con le altre navi inglesi. Si cammina sul sangue. Cadaveri ingombrano i ponti e i corridoi. Bell, colpito al viso, accecato, decide: «Montevideo vicino… No. Vi saremmo internati... Governa per Port Stanley… 1.000 miglia. È molto, ma ci arriveremo». L'Exeter si avvolge di cortine di fumo e s'allontana dal campo di battaglia.

6,56: a tutta velocità, la Graf Spee accosta più volte, si copre di nubi di fumo artificiale. L'Exeter, nel disimpegnarsi, sbanda di 7° sulla sinistra, continua a far fuoco dalla sola torre di poppa. Via d'acqua a prua. La Graf Spee continua ad avere come principale bersaglio l'Exeter, ma il suo tiro comincia a mancare di precisione.

«Si è per forza costretti ad ammirare il modo in cui il comandante della Graf Spee manovra la sua corazzata» dice il giovane sottotenente di vascello H. B. W. Williams dell'Achilles.

Passiamo a bordo della Graf Spee che manovra per evitare i proietti inglesi e si avvolge di cortine di fumo. Ascoltiamo F. W. Rasenack:

«Frammenti di proietti nemici che erano scoppiati sotto la linea di galleggiamento - colpi troppo corti - battevano la nostra carena con rumore metallico. È strano ciò che si prova in momenti simili! In ogni modo, eravamo tutti calmi e sicuri del nostro successo. Il personale della direzione del tiro lavorava con velocità e precisione.

Non si tratta affatto di cacciatorpediniere, bensì d'incrociatori e penso che almeno uno debba essere quasi fuori combattimento, che un altro lo seguirà e la faremo finita con il terzo. Bang! Questo non è uno dei nostri colpi! Dove mai ci avrà colpito? Una scia di siluro a sinistra! Con una forte accostata, la corazzata sbanda, ma mi sento rassicurato perché deduco che, il tempo di ricevere la notizia, il siluro è passato». (…)

Il commodoro Harwood soffriva come se ogni colpo che cadeva sull'Exeter entrasse nella propria carne. Aveva visto l'incrociatore farsi incontro gagliardamente alla Graf Spee e i proietti da 280 colpirne la parte prodiera, devastarne la coperta. L'Exeter aveva assolto il suo compito.

7,10: è il momento, per Harwood, di piombare sul nemico. La corazzata si trova ancora a 15.500 metri dall'Ajax e dall'Achilles, quando il commodoro prende la decisione di avvicinarsi «anche se questa manovra - scriverà - spostando il nostro rilevamento ristretto al bersaglio, diminuisce la nostra potenza di fuoco».

7,16: la Graf Spee emette una cortina di fumo, accosta per nord-ovest e, trascurando d'inseguire l'Exeter, apre il fuoco sull'Ajax e l'Achilles. L'Ajax è colpita da tre proietti da 280, tiro notevole da 10 km. di gittata.

La Graf Spee emette più cortine di fumo poiché il fuoco degli incrociatori inglesi diventa pericoloso.  Langsdorff è ferito due volte, alla spalla e al braccio. Il sangue cola dalla sua uniforme lacerata. Tuttavia, non autorizza che una fasciatura provvisoria… Pochi secondi dopo, lo spostamento d'aria d'uno scoppio lo scaraventa a terra e gli fa perdere conoscenza. Il suo secondo, capitano di vascello Kay, lo sostituisce. Per poco: Langsdorff s'è rialzato e ha ripreso il comando. Ordina delle brevi accostate, a tutta velocità. Langsdorff, già ufficiale specialista di siluri, teme che gli incrociatori inglesi forzino la velocità per lanciare contro di lui.

7,20: la 1a divisione, a tutta forza, facendo alcuni zig-zag per disturbare la punteria del nemico, si avvicina alla Graf Spee per 180 (Greenwich) senza interrompere il tiro dei propri pezzi d'artiglieria. I bruschi cambiamenti di rotta nuocciono alla precisione del tiro, ma alcuni colpi vanno a segno. Sembra che un incendio si sia sviluppato al centro della corazzata tascabile.

7,25: un proietto da 280 a scoppio ritardato attraversa le sovrastrutture poppiere dell'Ajax, diversi camerini, la camera relais della torre ove genera gravi guasti al macchinario della torre X, danneggia la cremagliera di puntamento della torre Y e va a terminare la sua corsa nell'alloggio del commodoro. I danni provocati da questo proietto sono irreparabili: le torri X e Y fuori uso, quattro morti, sei feriti.

Calmo, imperturbabile, il commodoro decide di lanciare contro la Graf Spee. L'Ajax accosta sulla dritta e lancia quattro siluri da una distanza di 8.500 metri.

In piedi, in cima ala coffa dell'apparecchio di punteria generale della Graf Spee, Langsdorff ha scorto la scia dei siluri. Lancia un ordine: «Accosta di 130° sulla dritta», e ciò senza rallentare neanche di mezzo nodo. Evitati i siluri, Langsdorff riprende la rotta nord-ovest.

La corazzata tascabile tedesca era stata più volte colpita dai proietti inglesi, le perdite erano state gravi anche perché l'artiglieria leggera e i cannoni antiaerei non erano protetti. L'aspetto della coperta, uno spettacolo di devastazione. Morti e feriti da per tutto. Tuttavia, nonostante le sue avarie - la coperta e poi il ponte di batteria trapassati da un proietto da 150 che è andato a esplodere nel montacarichi delle munizioni, uccidendo quattro uomini, un altro proietto scoppiato sull'impianto n. 3 dei 150, a poppa, numerosi morti - la Graf Spee conserva ancora ampia libertà di manovra e la sua potenza bellica.

«Alle 7,38 [scrive il commodoro Harwood] ci troviamo a circa 7 km. dal nemico. Ricevo in questo istante un rapporto dell'Achilles che mi informa come non gli resti più che il 20% di munizioni, che le torri X e Y sono fuori uso come pure il montacarichi della torre B. La nave non dispone più che di soli tre cannoni efficienti.

Il tiro della Graf Spee, d'altro canto, diventa sempre più preciso, mentre sembra che le avarie subite dalla corazzata non siano importanti. Decido quindi di interrompere la battaglia, salvo a riprenderla con la protezione della notte. In conformità a tale decisione, alle 7,40 l'Ajax e l'Achilles, protetti da una cortina di fumo, fanno rotta verso est.

Una delle nostre ultime salve messe a segno dalla Graf von Spee fa cadere l'albero di maestra  dell'Ajax, recidendo tutte le sue antenne radio… La Graf Spee non tenta minimamente di avvicinarsi a noi, ma, ad una velocità di circa 22 nodi, prende una rotta per 270° che la porta diritta all'estuario del Rio de la Plata».

 

Ha inizio così l'ultima fase del combattimento, con la Graf Spee - solo apparentemente in vantaggio, in realtà messa dura prova da venti proiettili nemici andati a segno e a corto di munizioni - che punta verso l'estuario, tallonata dai suoi implacabili inseguitori, anch'essi malridotti, ma ben decisi a non mollare più la preda, adesso che sono riusciti a individuarla e intercettarla.

Gli ultimi colpi sono stati sparati verso le 7,40: la battaglia è durata circa un'ora e venti minuti. Ora l'Ajax e l'Achilles si portano fuori tiro, ma continuano a seguire a distanza la corazzata; quest'ultima, bisognosa di riparazioni, entra decisamente nel Rio del la Plata e getta l'ancora a Montevideo poco dopo la mezzanotte fra il 13 e il 14.

La decisione di entrare nel porto di Montevideo è, probabilmente, infelice: l'Urugay è un Paese neutrale, ma propende per gli Alleati; molto meglio sarebbe stato puntare su Buenos Aires, dato che il governo argentino è in buoni rapporti con le potenze dell'Asse.

Una volta in porto, le leggi internazionali consentono una sosta di sole ventiquattr'ore a una nave da guerra di una potenza belligerante in acque neutrali, a meno che essa abbisogni di gravi ed urgenti riparazioni. Ha inizio, così, un tiro alla fune tra l'ambasciatore tedesco e quello britannico che ha per oggetto il diritto di permanenza della «corazzata tascabile».

Per Langsdorff ci vogliono almeno cinque giorni; è questo il tempo necessario non solo ad effettuare le riparazioni più necessarie, ma anche per concentrare davanti all'estuario un certo numero di U-Boote, in modo da attaccare la squadra inglese che si sta concentrando per interdire alla Graf Spee le acque del mare aperto. Per gli Inglesi, quest'ultima deve salpare entro le ventiquattro ore.

Una commissione d'inchiesta uruguayana viene incaricata dal governo di Montevideo di salire a bordo e di ispezionare i danni, per poter formulare un giudizio: ed essa stabilisce che la corazzata deve salpare entro 48 ore, prorogate poi a 72. Ma tre giorni sono assolutamente insufficienti pere consentirle una qualunque possibilità di salvezza; e, d'altra parte, all'imboccatura dell'estuario, oltre ai malconci Ajax ed Achilles, si sta radunando una forza poderosissima, composta, oltre che da diversi cacciatorpediniere, dall'incrociatore da battaglia Renown e dalla portaerei Ark Royal. In simili condizioni, prendere il mare e affrontare un combattimento sarebbe, per la Graf Spee, né più né meno che un suicidio.

Si ripete, un po', la situazione in cui era venuto a trovarsi l'incrociatore leggero Königsberg del capitano Max Looff durante la prima guerra mondiale, quando era stato imbottigliato nel delta di un fiume africano da una squadra navale britannica (cfr. F. Lamendola, La crociera dell'incrociatore Königsberg e le azioni navali nel Rufigi, 6 e 11 luglio 1915, sempre sul sito di Arianna Editrice). Con la notevole differenza che, in quel caso, le navi inglesi non avevano potuto entrare a loro volta nel fiume, a causa dei bassi fondali; e, soprattutto, che quella azione si era svolta nella colonia dell'Africa Orientale Tedesca, e non nella capitale di un Paese neutrale, il quale non vedeva l'ora di veder partire lo scomodissimo ospite.

Dopo aver comunicato a Berlino la propria situazione e averne chiesto l'autorizzazione formale, Langsdorff si decide per l'autoaffondamento, piuttosto che per l'internamento da parte del governo urugayano. Così.,  alle 18,20 del 17 dicembre, la Graf Spee prende il mare per l'ultima volta e si dirige verso il mare aperto.

Una folla di migliaia di curiosi si accalca sulle banchine del porto. Accompagnata dal mercantile tedesco Tacoma, che si trovava  Montevideo, e da due rimorchiatori presi a nolo, la corazzata si porta fuori dalle acque territoriali dell'Urugay e si fa saltare mediante cariche esplosive, dopo che l'equipaggio l'ha abbandonata.

Langsdorff vorrebbe morire con lei; ma, all'ultimo momento, davanti alle commoventi insistenze dei suoi uomini, che sono tornati indietro con le lance e hanno minacciato di morire anch'essi, se lui non si decide a seguirli, abbandona il ponte della Graf Spee poco prima che essa affondi.

L'equipaggio e il comandante vengono poi trasportati a Buenos Aires, ove li attende l'internamento, secondo le leggi di guerra.

 

Prima di spararsi un colpo di rivoltella alla tempia, il 19 dicembre, Langsdorff scrive una lettera all'ambasciatore tedesco presso la Repubblica Argentina, barone Edmund von Thermann,