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La comunità contro il libero mercato: Alain De Benoist

di Laura Zanarini - 16/10/2008

 

 

Alain De Benoist nasce l’11 dicembre 1943 e ha studiato legge, filosofia e storia delle religioni. Nel corso della sua vita, ha collaborato, diretto e creato moltissime riviste riguardanti i più svariati argomenti al fine di portare avanti il suo lavoro di analisi e riflessione nel campo delle idee. Scrittore, giornalista, saggista, conferenziere, filosofo, ha pubblicato più di 50 libri e più di 3000 articoli, oggi tradotti in una quindicina di lingue differenti e nel 1978 ha ricevuto il premio Grand Prix de l'Essai dall'Académie Française per il suo: Visto da destra.

E’ un filosofo molto complesso e nel corso della sua vita per le sue idee decise è stato etichettato prima “di destra”, in particolar modo per il suo passato di militanza nella destra radicale e poi “di sinistra” per aver abbracciato, durante il suo percorso, alcuni concetti del marxismo, ecologismo e multiculturalismo. Il suo nome è associato soprattutto al movimento “La Nuova Destra” (Nouvelle Droit”), la quale rifiuta il razzismo (sostiene che non esistano criteri per valutare la presunta superiorità di una razza su un'altra), ed il nazionalismo (sostiene il federalismo). Netta è la distanza anche rispetto alla destra filostatunitense, accusata di imperialismo (culturale, militare ed economico) e si occupa principalmente di multiculturalismo, identità politiche, comunitarismo, federalismo, critica all'imperialismo, ecologismo.

Indifferente alle mode ideologiche, Alain de Benoist rifiuta ogni forma di intolleranza e di estremismo e non coltiva nemmeno una qualsivoglia nostalgia "restaurazionista". Il suo pensiero è caratterizzato dalla critica alla modernità, senza un sentimento di nostalgia per il passato, ma cercando di puntare l’obiettivo verso il futuro e le problematiche che in esso vede.

(Mentre la sua opera è conosciuta e riconosciuta in un crescente numero di paesi, Alain de Benoist resta largamente ostracizzato in Francia, dove ci si limita troppo spesso ad associare il suo nome a quello di una "Nuova Destra" nella quale egli non si è mai veramente riconosciuto. )

Lo scopo di quest’articolo è dare un piccolo riassunto di quello che sono le principali sue idee e cercare attraverso i vari commenti di entrare nello specifico degli argomenti.

 

POLITICA. Aspetto importante del pensiero di De Benoist è l’argomento “politica”, in quanto da lui ritenuta elemento costitutivo di ogni società. Essa emerge nel momento in cui i semplici rapporti “familiari” non bastano più a gestire i conflitti esistenti all’interno di una società, in particolar modo nell’ambito della determinazione degli obiettivi comuni. Si può, pertanto, definire “l’arte della decisione in vista del bene comune”. La politica è infatti lo spazio dove gli uomini non sono più persone singole, ma sono interessati ad agire in comune e per lo stesso fine. Sono, quindi, l’insieme dei cittadini a creare ed essere la società ed il potere statale consiste semplicemente nel rappresentarla.

Partendo da questo concetto, è evidente che per Alain De Benoist la democrazia sia l’unica forma ritenuta veramente politica, in quanto si fonda sulla partecipazione del maggior numero di persone alle vicende pubbliche. Nello specifico, De Benoist valorizza la democrazia partecipativa, in quanto il “soggetto di tutto” è sempre il popolo.

Il problema dell’attuale società è che la nostra democrazia dovrebbe essere rappresentativa, ma non rappresenta più nulla..

La politica che parte dalla base implica la sovranità condivisa, il principio di sussidiarietà, il rispetto delle libertà fondamentali, la costituzione a ciascun livello di un equilibrio fra deliberazione e decisione, ma al momento la politica non viene più condivisa.

 

IL LIBERALISMO. Alain De Benoist critica aspramente il liberalismo, poiché tralascia e fa scomparire le comunità, che sono un elemento fondamentale ed insostituibile dell’esistenza umana. E’ una dottrina economica redatta per gestire il mercato in cui l’uomo viene visto come essere non necessariamente legato ad un apparato sociale. Il liberalismo vorrebbe che l’uomo fosse estraneo ai principi basilari della collettività e che i limiti imposti agli uomini ed alle merci fossero eliminati. E’ ovvio, quindi, capire come De Benoist non accetti tale visione. Secondo lui, un individuo appartenente ad una collettività sa bene che la loro appartenenza va oltre la loro stessa individualità e pertanto non può essere eliminata.

Aspetto interessante di questo argomento è il discorso sui diritti individuali: ogni essere umano ha dei diritti “per natura” che prescindono da qualsiasi forma di collettività esistente. I governi hanno però il dovere di garantire che questi diritti vengano rispettati. L’idea generale è che ogni individuo possa fare ciò che vuole liberamente, senza però andare ad intaccare la libertà altrui. E’ ovvio che questa soglia sia molto sottile, se non addirittura impossibile.

Secondo il liberalismo, gli individui agiscono sempre per ricercare il proprio soddisfacimento e le varie forme di associazione nascono e agiscono in funzione di questo scopo: nel momento in cui le parti non trovano più giovamento da tale situazione, la forma associativa si sfalda.

Il liberalismo pensa che la base di tutti i rapporti umani o forme di associazioni sia la regolarizzazione dei rapporti di scambio. Questa società può essere concepita o come la conseguenza di un atto volontario o razionale iniziale, quindi la creazione delle società, oppure come risultato dell’interscambio delle azioni prodotte dai singoli fattori individuali senza alcuna premeditazione, ossia un gioco regolato dalla così detta  “mano invisibile” del mercato, che agisce e crea a dispetto delle azioni e della volontà degli individui.

 

IMMIGRAZIONE ed IDENTITA’ NAZIONALE. Altro aspetto affrontato da Alain De Benoist è il fenomeno dell’immigrazione ed i risvolti che esso produce sulla collettività che accoglie il popolo migrante. De Benoist discute in particolar modo il motivo per cui la popolazione che migra verso un altro paese venga utilizzata come “capro espiatorio” per tutti i problemi che derivano da questo insediamento. Infatti, secondo lui il problema dell’immigrazione non è dovuto agli immigrati, ma al popolo stesso che ospita. L’immigrazione diventa un problema solo quando l’identità nazionale del paese ospitante non è solida: se i legami sociali si sfaldano, se il popolo stesso diventa estraneo al proprio ambiente, se il mercato diventa globale, senza più avere un fondamento nazionale, è solamente colpa degli stessi appartenenti alla comunità che non riescono più a vedere e sentire la propria identità nazionale. Alain De Benoist sostiene che anche senza l’immigrazione l’identità nazionale sarebbe persa, perché è un problema della nazione stessa.

Bisogna, quindi, cercare di trovare la propria identità nazionale, senza per forza ritornare al passato, in quanto l’identità nazionale è staccata dall’ambiente storico che ha determinato la sua apparizione. L’identità nazionale è la miscela tra “fattori di appartenenza” che rimangono costanti e “fattori di cambiamento”.

Nelle società attuali, ormai, l’individuo non cerca più il bene comune necessario per la collettività, ma ricerca in primis il suo interesse e ha sviluppato una diffidenza (a volte tramutata in odio) verso l’Altro. Questo sentimento viene reso noto con il fenomeno dell’immigrazione che lo amplifica, ma che sarebbe comunque presente anche all’interno della stessa nazione. E’ necessario, quindi, che l’individuo torni a mettere in primo piano il bene comune, anche se a discapito del suo interesse.

 

 

 

IL CAPITALISMO. il capitalismo ha continuato a mobilitare milioni di individui intorno a una causa che pure non ha alcun’altra finalità all’infuori di se stessa: l’accumulazione del capitale. in ogni epoca il capitalismo comporta una figura basilare, un elemento di eccitazione individuale e un discorso di giustificazione in termini di bene generale. Il che li porta a distinguere tre diversi periodi:

 

Il primo capitalismo, che domina l’intero XIX secolo, è incarnato dal "borghese". L’elemento di eccitazione è rappresentato dalla volontà di scoprire e di intraprendere. Il discorso di legittimazione si confonde con il culto del progresso.

 

Il secondo capitalismo si sviluppa a partire dagli anni Trenta. È quello in cui il proletariato rinuncia progressivamente alla critica sociale in cambio della garanzia di avere accesso alla classe media. L’eccitazione risiede nella volontà dell’impresa di svilupparsi quanto più possibile. Il discorso di legittimazione fa cadere l’accento sull’aumento del potere d’acquisto, nonché sulla valorizzazione del "merito" e della competenza. Si conclude in contemporanea con i trent’anni d’oro del dopoguerra, a seguito della crisi petrolifera del 1973.

 

Da allora in poi siamo entrati nella "terza età" del capitalismo, momento che corrisponde al passaggio da un capitalismo ancora inquadrato al capitalismo sfrenato del mondo attuale. I suoi valori-chiave sono l’autonomia, la creatività, la mobilità, l’iniziativa, la convivialità, lo sviluppo. L’elemento di eccitazione è rappresentato dallo sviluppo delle nuove tecnologie. Il discorso di legittimazione è quello di una "nuova economia" che farebbe entrare l’umanità in una nuova era di crescita durevole. Il valore economico è sempre meno connesso a un valore che può essere reso in termini oggettivi e sempre più a una ricchezza virtuale che si suppone corrisponda al desiderio illimitato degli individui. Questa liberalizzazione dei mercati finanziari è stata uno dei motori essenziali della globalizzazione. Con il pretesto della deregolamentazione e di una maggiore efficacia, il nuovo capitalismo reclama dunque in maniera statutaria una libertà di manovra totale, sostenendo che qualunque restrizione a tale libertà si tradurrebbe in una diminuzione di efficacia. In tal modo esso si affranca da ogni regola, al di fuori di quella del profitto immediato.

Si è infatti passati dal commercio delle materie prime a quello dei prodotti industriali, poi dal commercio dei prodotti industriali a quello dei prodotti finanziari. Questa evoluzione è oggi sostenuta dalla fede in un nuovo tipo di crescita duratura legata allo sviluppo delle "nuove tecnologie".

Questo comporta il fenomeno esteso della disoccupazione che segna la fine dell’epoca in cui chi entrava nella classe media (e i suoi discendenti) aveva la certezza di non ricadere in ambito proletario.