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Pacchetto clima-energia: Governo ufficio di rappresentanza di Confindustria

di redazionale - 17/10/2008

Anche le associazioni ambientaliste commentano il pesante richiamo all´Italia del commissario europeo all´Aabiente, Stavros Dimas, a partire da Greenpeace che in questi giorni ha in piedi una polemica violenta con il ministro dell´ambiente Stefania Prestigiacomo.

Secondo Giuseppe Onufrio, direttore delle campagne di Greenpeace, «Il governo italiano è andato a chiedere sconti in Europa senza presentare lo straccio di un piano per tagliare le emissioni, in esubero di almeno 50 milioni di tonnellate/anno per il periodo 2008-2012. Ed è proprio questo il motivo dell´azione di ieri degli attivisti di Greenpeace alla centrale di Civitavecchia: da una parte, criticare il Governo italiano per il tentativo, fallito, di sabotare la trattativa europea sulle misure per combattere i cambiamenti climatici; dall´altra di ricordare come i 10 milioni di tonnellate di

CO2 della centrale si aggiungono al deficit ambientale dell´Italia sugli obiettivi di Kyoto.

Ancora più assurda, in un momento di crisi che dovrebbe obbligare a pensare a come rendere più moderno il sistema paese , è la completa ignoranza delle enormi opportunità che si aprirebbero spingendo l´innovazione ambientale. Grazie all´efficienza energetica e alle fonti rinnovabili, si possono creare almeno 120mila nuovi posti di lavoro. Si tratta di stime del Politecnico di Milano e dell´Anev, e non di Greenpeace. Posti che, grazie all´insistenza del governo e dell´Enel per il carbone, stanno volando in Germania. Non ci si può aspettare niente di diverso da parte di un governo che ha ridotto il ministero dell´Ambiente a qualcosa più di un ufficio di rappresentanza di Confindustria. E meno male che l´Europa se ne è accorta».

«Il re è nudo.Governo mente su obiettivi e costi per ottenere massima flessibilità», Legambiente commenta così questa ormai assurda vicenda italica del pacchetto energia-clima sottolineando che «Giustamente l´Europa non tace e per bocca del commissario per l´Ambiente Stavros Dimas rivela quella che è una eclatante verità: le cifre che Berlusconi e il governo italiano citano sono fuori da ogni proporzione e ben lontane da quel che chiede l´Unione europea. Al contrario di quanto afferma il governo - si legge nel documento dell´associazione - la Commissione europea ha già offerto all´Italia un incredibile sconto sui nuovi target per il clima, con la scelta di fissare al 2005 invece che al 1990 l´anno di riferimento per i nuovi tagli dei gas a effetto serra entro il 2020. Entro il 2020 infatti, secondo quanto stabilisce il pacchetto Ue, l´Italia dovrà ridurre le proprie emissioni a effetto serra del 13 per cento rispetto ai livelli del 2005.

Secondo Edoardo Zanchini, responsabile energia di Legambiente, «Il paradosso è che nel caso dell´Italia, questo obiettivo al 2020 è inferiore a quello fissato dal protocollo di Kyoto al 2012. Perché tali sono i nostri ritardi (nel 2005 l´Italia in controtendenza rispetto al resto dell´Europa aveva aumentato le proprie emissioni di CO2 equivalente del 12,1% rispetto al 1990), che ci è stato già assegnato un consistente sconto, e mentre Germania, Gran Bretagna e Francia si assumono, dal 2012 al 2020, impegni reali di riduzione e nell´ordine di centinaia di milioni di tonnellate di CO2 equivalente, all´Italia è consentito di aumentarle».

In quanto all´allarme costi lanciato da Governo E Confindustria, che parlano di circa 25-30 miliardi di euro l´anno, Zanchini dice: «Peccato che questi studi non siano stati mai resi pubblici e che siano stati smentiti dalla stessa Commissione europea secondo la quale l´adeguamento alla direttiva 20-20-20 costerà all´Italia 8 miliardi di euro l´anno, secondo calcoli che si basano sui costi di investimento previsti per lo sviluppo di rinnovabili, abbattimento dei gas a effetto serra, efficienza energetica e sulla riforme strutturali del sistema elettrico necessarie, senza considerare però i benefici economici del pacchetto. La verità è che con le sue minacce di veto e le richieste di ritardare l´approvazione del pacchetto, l´Italia è rimasta isolata all´interno dell´Unione europea. L´obiettivo del governo italiano è uno solo: quello di ottenere maggiore flessibilità all´interno delle misure previste. L´Italia chiede infatti di eliminare qualsiasi obiettivo temporale intermedio fino al 2020, in modo da evitare controlli e sanzioni. Sia sulle rinnovabili che sulla riduzione delle emissioni climalteranti si vorrebbe spingere oltre ogni limite la possibilità di rispettare gli impegni attraverso l´acquisto di crediti finanziari piuttosto che con investimenti reali sul proprio territorio. Ma acquistare crediti per finanziare l´istallazione di un campo eolico in un paese estero significa spendere soldi a vuoto. Significa pagare per l´innovazione di un altro paese senza avere alcun ritorno né sulla riduzione dell´inquinamento, né sul taglio di spesa dovuto all´importazione di petrolio o gas, né sull´occupazione che nascerebbe dallo sviluppo di un´economia rinnovabile».

E Legambiente fa i conti in tasca al governo: «A fronte dei 92 miliardi di spesa previsti per l´intera Ue, la Commissione stima anche un risparmio di circa 50 miliardi di euro per la riduzione delle importazioni di gas e petrolio e un risparmio di 10 miliardi rispetto alle attuali spese per i danni prodotti dall´inquinamento atmosferico, senza contare i benefici in termini di efficienza e ammodernamento industriale. Per l´Italia, l´Ue stima un risparmio di 7,6 miliardi l´anno nel taglio delle importazioni di idrocarburi e di 0,9 miliardi di euro nei costi per contrastare l´inquinamento. I costi effettivi pertanto scendono fino a trasformarsi in un guadagno netto di 600 milioni di euro l´anno. Questo senza contare i benefici di lungo termine sul piano dello sviluppo di un settore innovativo come quello delle rinnovabili e di crescita occupazionale. Inoltre non bisogna dimenticare i costi che già oggi pesano sull´Italia per i ritardi nell´adeguamento al protocollo di Kyoto. Da gennaio del 2008 fino al 2012 il mancato rispetto degli obiettivi fissati dal protocollo peserà per almeno 7 miliardi di euro sulle spalle dei contribuenti».