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Iraq, L’accordo con Washington inciampa nell’opposizione degli sciiti

di Ornella Sangiovanni - 20/10/2008



Che la strada sarebbe stata tutta in salita lo si sapeva, ma arrivano anche prima del previsto gli intoppi per l’accordo in materia di “sicurezza” fra Washington e Baghdad, che dovrebbe autorizzare la presenza delle truppe Usa in Iraq dopo la fine di quest’anno – quando scadrà il mandato Onu per la cosiddetta “Forza multinazionale”.

Dopo l’enorme manifestazione che due giorni fa ha visto scendere in piazza a Baghdad almeno 50.000 iracheni, che hanno raccolto l’invito di Muqtada al Sadr a protestare contro l’accordo - e contro l’occupazione, la United Iraqi Alliance, la coalizione sciita di maggioranza (dalla quale i ‘sadristi’ sono usciti da tempo) ha diffuso un comunicato, in cui si dice che il testo dell’accordo, così com’è, non soddisfa, e si chiede che vengano apportati emendamenti. Ma senza specificare quali.

E’ una prima battuta d’arresto per l’iter del provvedimento – iter che già non si presentava facile, data l’opposizione all’accordo (e alla presenza militare Usa) che c’è nel Paese: che è vasta, e trasversale alle forze politiche, fatta eccezione per i kurdi.

E solo loro, infatti, a detta del portavoce governativo, Ali al Dabbagh, avrebbero dato il loro avallo al testo presentato, nel corso della riunione del Consiglio Politico per la sicurezza nazionale, che si è svolta ieri notte – e si è conclusa con un nulla di fatto.

Gli altri, ha riferito Dabbagh, “avevano delle riserve”.

La bozza di testo concordata fra i negoziatori Usa e quelli iracheni, dopo molti mesi di difficili trattative, non è ancora stata resa pubblica, anche se le anticipazioni non sono mancate.

Si sa comunque che prevede che le truppe Usa si ritirino dalle città irachene entro il 30 giugno 2009, e da tutto il Paese entro il 31 dicembre 2011. Ma sarebbe un ritiro condizionato alle cosiddette “condizioni sul campo”. La formulazione adottata è che il governo di Baghdad possa chiedere agli americani di restare anche oltre quest’ultima data. Se le condizioni di “sicurezza” dovessero richiederlo.

Le riserve degli sciiti: immunità per i militari Usa e calendario per il ritiro

L’altra questione spinosa, che ha bloccato per molto tempo qualsiasi progresso – quella dell’immunità per i militari Usa rispetto alla legge irachena – sarebbe stata risolta con una formulazione di compromesso: che garantisce in sostanza l’immunità ai soldati americani, tranne nei casi di reati gravi e premeditati, commessi quando non sono in servizio, e fuori dalle loro basi.

Troppo poco per gli iracheni, che ne avevano fatto una richiesta centrale – una “linea rossa”.

Come spiegano alcuni esponenti di spicco della UIA, che parlano delle riserve sull’accordo che arrivano dalla coalizione sciita di governo.

Sami al Askari, ad esempio, che fa parte di al Da’wa, lo stesso partito di Maliki, ed è molto vicino al premier.

Nel testo si prevede che venga creato un comitato che esamini i reati di cui fossero eventualmente accusati i militari americani, per decidere se essi debbano essere rinviati ai tribunali iracheni: una disposizione che deve essere eliminata, dice il deputato sciita. Come quella che consentirebbe al governo iracheno di chiedere che le truppe Usa  restino ancora nel Paese dopo il 2011.

"Alcuni dicono: che cosa succede?", commenta Askari. "Questo articolo apre la porta perché il prossimo governo” iracheno prolunghi il mandato delle forze Usa. In Iraq, il prossimo anno sono previste elezioni legislative.

Se queste due disposizioni venissero eliminate dal testo, sostiene il politico sciita, non ci sarebbero più problemi ad avallare l’accordo con Washington.

In caso contrario, sottolinea, “non riesco a vedere come questo accordo possa vedere la luce del giorno”.

Ali al Adib, un altro esponente di al Da’wa, è più “soft”, e spiega che la coalizione sciita proporrà degli emendamenti al testo, dicendosi sicuro che i negoziatori americani li accetteranno. Ci vorranno due o tre giorni, aggiunge, “e poi aspetteremo la risposta degli americani. Pensiamo che la bozza attuale non sia accettabile”.

“Tutto dipende dagli americani”

Askari è più duro, e sottolinea che il destino dell’accordo “adesso dipende dagli americani”.

Nell’altro partito influente della UIA, il Consiglio Supremo islamico iracheno (ISCI), di Abdel Aziz al Hakim, che ha stretti legami con Tehran, ma al tempo stesso è stato finora il più saldo alleato (tattico?) di Washington, sono in pochi a esporsi pubblicamente.

Uno di questi è Jalaluddin al Saghir, che insiste a sua volta che tutto è ora nelle mani degli americani, ai quali consiglia di dare retta agli iracheni.

“Se vogliono che [l’accordo] venga accettato sicuramente, devono ascoltare gli altri”, dice. “Altrimenti, andremo verso una porta chiusa”.

Quella del Parlamento, cioè. Dove si sa che l’opposizione all’accordo è diffusa, anche se non è facile dire come potrebbe andare a finire.

Saghir riassume così le forze in campo: “I sunniti finora non hanno dichiarato la propria posizione. I kurdi sostengono l’accordo, e la coalizione sciita ha delle osservazioni riguardo a possibili revisioni o chiarificazioni di alcune parti del testo”.
Previsioni su quando il testo potrebbe arrivare in Parlamento il politico sciita non vuole farne.

“E’ difficile parlarne.”, dice, “ Si tratta di negoziati. A volte ci sono progressi, a volte no".

Iter confuso

Negoziati? Progressi? Il fatto è che è difficile capire dove. Almeno per il momento.

Dopo il nulla di fatto di ieri sera al Consiglio Politico per la sicurezza nazionale, un organismo consultivo composto dal premier Maliki, dal cosiddetto “Consiglio di Presidenza” (il presidente Jalal Talabani e i suoi due vice – lo sciita Adel Abdel-Mahdi e il sunnita Tariq al Hashimi), dai leader delle principali formazioni politiche, e dal presidente del Parlamento, il testo sarebbe stato inviato al Consiglio dei ministri perché lo discuta

Cosa che dovrebbe iniziare a fare domani. Si tratterebbe della fase finale, prima dell’approdo in Parlamento.

Ma le cose non sembrano così chiare.

Nassir al Ani, capo di gabinetto del Consiglio di Presidenza, dice che il Consiglio politico per la sicurezza nazionale continuerà a esaminare il testo. La seduta del Consiglio dei ministri di domani, aggiunge, servirà a studiare l’accordo, non a votarlo.

Di certo si sa che il premier Maliki ha rinviato la sua visita in Australia, che sarebbe dovuta iniziare proprio domani. A comunicarlo è stato il suo ufficio, adducendo come motivazione le "intense discussioni" sull’accordo con Washington.

Dagli americani, come al solito, bocche cucite.

Alla Casa Bianca non vogliono fare commenti.

“Continuiamo a discutere con gli iracheni, e gli iracheni continuano a discutere fra loro", dice da Baghdad, la portavoce dell’ambasciata Usa, Susan Ziadeh. “Era prevedibile. Vedremo dove porteranno queste discussioni".


Fonti: New York Times, Washington Post, Los Angeles Times