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Gli Stati Uniti: una democrazia in armi

di Sergio Romano - 20/10/2008

Gli Usa si dicono una grande potenza perché hanno 700 basi militari sparse per il mondo, però non hanno mai vinto una guerra, se si esclude la seconda guerra mondiale combattuta a fianco dell'Europa e Urss.
E anche per vincere quella guerra hanno lanciato due bombe atomiche facendo strage di popolazioni inermi. Una vergogna che la storia non perdonerà.
Le guerre le vincono solo gli eroi di celluloide di Hollywood. Negli otto anni della presidenza Bush gli Usa hanno perso ogni residua credibilità, il crollo economico mondiale di questi giorni è solo una delle conseguenze.
Le menzogne di Bush, la corruzione delle istituzioni finanziarie che stanno danneggiando milioni di risparmiatori in tutto il mondo, hanno rivelato gli Usa come sono realmente.


Al Ghazali Giabir 

 

Caro Al Ghazali Giabir,
È capitato spesso anche a me in questi anni di esprimere giudizi critici sulla politica degli Stati Uniti. Ma credo che sarebbe un errore considerarli una tigre di carta o un gigante di celluloide. I film di guerra prodotti a Hollywood (dal «Sergente York» a «Salvate il soldato Ryan») sono spesso viziati da un eccesso di autocompiacimento retorico, ma la storia militare del Paese è assolutamente rispettabile. Hanno conquistato l'indipendenza combattendo con la Gran Bretagna. Si sono coraggiosamente difesi nel 1814 quando le forze britanniche, calate dal Canada, conquistarono e bruciarono Washington. Hanno strappato il Texas al Messico nel 1845 e lo hanno sconfitto fra il 1846 e il 1848 togliendogli i territori a Nord del Rio Grande, il New Mexico e la California. Hanno battuto la Spagna a Cuba e nelle Filippine durante la guerra ispano-americana del 1898. Hanno avuto un ruolo determinante nelle due grandi guerre mondiali del Novecento. E hanno partecipato a una lunga serie di spedizioni minori contro i pirati della Costa dei Barbari nel Mediterraneo, contro i boxer in Cina, contro i berberi in Marocco. Le parole dell'inno dei marines («From the Halls of Montezuma to the Shores of Tripoli», «Dal castello di Montezuma alle spiagge di Tripoli ») rievocano soltanto alcune delle numerose sortite guerresche degli Stati Uniti nel corso della loro storia.
Si potrebbe addirittura affermare che gli Stati Uniti sono, sin dal primo giorno della loro esistenza, una democrazia mi-litare, composta da cittadini armati e guidata da uomini politici che provengono spesso dai quadri dell'esercito. Il loro primo presidente fu un generale, George Washington; e furono generali sia il primo presidente eletto dopo la Guerra di secessione (Ulysses S. Grant) sia il secondo presidente eletto dopo la fine della Seconda guerra mondiale (Dwight D. Eisenhower). Accade persino che l'America affidi la direzione della propria politica estera a uomini che hanno rivestito l'uniforme per parecchi anni: George Marshall dal 1947 al 1950, Alexander Haig dal 1981 al 1982, Colin Powell durante il primo mandato del presidente Bush. Nessuno si scandalizza o si preoccupa negli Stati Uniti se un militare aspira alla Casa Bianca. Qualche mese fa, durante la fase che precedette le primarie americane, si parlò molto della possibile candidatura di Wesley Clark, comandante della Nato all'epoca della guerra del Kosovo. Non sarei sorpreso se di qui a qualche tempo entrasse in politica anche il generale David Petraeus, responsabile del miglioramento della situazione militare irachena durante l'anno scorso.
Questi rapidi passaggi dalle armi alla politica sono una caratteristica che gli Stati Uniti condividono con i Paesi latino- americani, Israele e alcuni Stati medio-orientali, fra cui l'Egitto e il Pakistan. Persino il modo in cui gli americani reagiscono alle sconfitte, come quella del Vietnam, è indice del loro temperamento militare e della loro vocazione all'uso delle armi. Analizzano i loro errori, preparano nuove strategie, costruiscono nuove armi e si gettano, spesso un po' troppo spensieratamente, in nuove operazioni belliche.