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Ribelli e veline

di Giuliano Corà - 29/10/2008

   

 

Eravamo stati tentati di scrivere un fondo di benvenuto al nuovo mensile di Massimo Fini, La Voce del Ribelle (www.ilribelle.com), ma temevamo che sapesse un po’ di piaggeria. Ci ha tratto d’impaccio tal Giulio Meotti dell'agenzia di stampa vicina a D'Alema Il Velino (www.ilvelino.it).
Davvero non si sa da che parte prenderlo, il Meotti, tanto i due livelli sono strettamente mescolati. Converrà cogliere fior da fiore, ma senza prenderlo troppo sul serio. Fini sarebbe “del tutto ignorante” sulla realtà afgana. Peccato però che proprio nel suo editoriale siano indicate le ragioni economiche (“c’est l’argent qui fait la guerre”), per le quali è stata scatenata questa guerra, ragioni di cui non si trova traccia nel pezzullo di Meotti. E ancora. Fini immagina l’Afghanistan come una Arcadia medievale “contrapposta all’Occidente sfibrato, lezzo, sconcio” e ce lo indica come esempio da seguire? Vien da chiedersi se Meotti l’ha letto tutto, l’articolo di Fini: forse era troppo lungo, o troppo difficile, o invece troppo semplice, e si sa che non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire. Se fosse arrivato fino in fondo avrebbe trovato il passo in cui dice che “non si tratta, ovviamente, di scimmiottare il modello talebano. I popoli tradizionali, quelli tribali, hanno la loro storia, che va rispettata. E noi occidentali abbiamo la nostra”, spiegando, a chi vuol capire, che la lezione dell’Afghanistan è stata quella di “un esperimento fondato su una visione pauperistica del mondo, basata su valori e non sul dominio dell’Economia, del Denaro e della Tecnologia”. Ma se Fini è un ignorante, Meotti racconta invece di un Afghanistan che pare uscito da un cartoon disneyano: “ragazze che lavorano, che si vestono, ridono e parlano come vogliono e negli intervalli vanno a fumare nei corridoi o nelle toilettes … ritorno della musica, bandita dai fanatici … seggi elettorali con le donne timidamente accompagnate dai mariti … persistenza della libertà e della democrazia …”. Ciliegina sulla torta, la figura di Karzai, questo grottesco Quisling, vergognosa marionetta manovrata dall’Occidente. Nell’immaginario anderseniano di Meotti, Karzai si trasforma in una specie di incrocio tra Kennedy (buono quello!) e Obama, rappresentante di un governo “democraticamente eletto” (qualcuno vuole raccontare a Meotti chi e come ha gestito le elezioni ‘democratiche’ di tre anni fa?), che da buon papà della Patria racconta di “avere una piccola superstizione: le mie giornate vanno meglio se la mattina incontro dei bambini che vanno a scuola”. Non è commovente? Tra parentesi, ci chiediamo dove mai possa andare il babbo di mattina, visto che la sua sovranità sul paese non si estende oltre la porta del suo palazzo (difeso col pugnale tra i denti dai Marines), e che, per andare al cesso, deve chiedere ogni volta via satellitare il permesso a Bush.
Ma da che parte stia il buon Meotti risulta chiaro quando, finalmente, inneggia alla “liberazione angloamericana”. Insomma, la questione è sempre la stessa. In Afghanistan – e in Tibet, non dimentichiamocene mai – esisteva, come scrive Fini, “una sorta di Medioevo Sostenibile, cioè una società regolata, sul piano del costume, da leggi arcaiche, non alieno però dal far proprie, alcune, mirate e limitate, conquiste tecnologiche”. E dunque i casi sono due. O riconosciamo a qualsiasi popolo quella “autodeterminazione” che al filo-occidentale Meotti fa tanto ridere, o decidiamo che la nostra è l’unica cultura possibile e che “la missione dell’Uomo Bianco” (questo è Kipling, Meotti) è quella di esportarla ovunque sulla Terra, per cui sì all’etnocidio e genocidio del popolo tibetano e sì al genocidio ed etnocidio di quello afgano (il “taglio [sentite questa!] euforico delle barbe” essendo stata una delle minori, ma non meno importante, e certo non ‘euforica’, tra le violenze commesse contro la tradizione locale). “Massimo Fini verrebbe scuoiato o decapitato dai talebani”, conclude Meotti. Può anche darsi, ma prima bisognerebbe che fosse lì, a predicare ai ‘selvaggi’ la sua superiorità, ruolo in cui, francamente, davvero non lo vediamo. Chi invece, più ‘semplicemente’, venne dai suddetti talebani appeso alla forca nel 1996 fu Najibullah, servo sciocco dei sovietici, la cui potenza militare e tecnologica non bastò a piegare quel popolo e a salvargli la vita. Ma la lezione non è stata capita e sarà bene che Karzai si guardi il collo: è probabile che il prossimo sia lui.