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Mercosur: alla ricerca di una strategia comune

di Carlo Lupo - 29/10/2008

 

Mercosur: alla ricerca di una strategia comune

In America Latina si è alla ricerca di una strategia comune per contrastare la crisi finanziaria che sta spazzando via ogni certezza neoliberista. I Paesi sudamericani hanno dovuto già fare i conti nel loro recente passato con le terapie choc del Fondo monetario internazionale, “ricette” che hanno avuto conseguenze disastrose per le economie e per i cittadini.
A Brasilia si è svolto il settimo vertice dei ministri degli Esteri e dell’Economia delle nazioni che aderiscono al Mercosur, il mercato comune sudamericano. La riunione, convocata su iniziativa del governo argentino, ha messo a confronto le iniziative varate da Argentina, Brasile, Uruguay e Paraguay (stati membri dell’organizzazione), da Bolivia e Venezuela (stati in via di adesione) e Cile, Colombia, Ecuador e Perù (stati associati). Differenze e malumori si sono registrati fra i Paesi che stanno tentando di affrancarsi dal cappio neoliberista e quelli invece che ancora aderiscono alla logica della globalizzazione. Pur convenendo sulla necessità di mettere a punto meccanismi congiunti di salvaguardia dei mercati, soprattutto per frenare l’invasione di prodotti asiatici, le delegazioni non hanno trovato infatti un’intesa operativa.
In particolare l’Uruguay, un po’ come la commissione di Bruxelles in Europa che resta la paladina del libero mercato ad oltranza, ha accusato l’Argentina invocando “la libera circolazione dei beni ed evitare qualsiasi tipo di barriera protezionistica”. Buenos Aires ha deciso invece di attuare da subito misure che puntano su restrizioni all’import. L’Argentina non resta dunque ad aspettare che sia il mercato a decidere del futuro delle proprie aziende. Le dogane argentine hanno subito comunicato di aver ampliato la lista, presentata due settimana fa, di 22mila prodotti di origine prevalentemente asiatica sottoposti a limitazioni all’importazione. Il piano argentino, chiamato “Valores-Critério de carácter preventivo”, stabilisce prezzi minimi per l’entrata dei prodotti compresi nella lista, evitando così le vendite molto al di sotto del prezzo di mercato. Per esempio in Italia l’invasione di merci cinesi già da tempo ha messo in ginocchio le nostre aziende del tessile, e la cui unica prospettiva – caldeggiata dai soloni neoliberisti – era quella di chiudere baracca e burattini per spostarsi in territori dove il costo del lavoro è minore, sacrificando l’occupazione italiana in nome della concorrenza.
Il nuovo elenco argentino comprende produzioni di cotone, fibra sintetiche e tessile in generale. Il governo di Buenos Aires, con le parole del ministro degli Esteri Jorge Taiana, ha puntualizzato che “sono norme volte a garantire un maggior rigore nell’entrata delle merci nel Paese” e non “barriere”, termine utilizzato dai fautori della globalizzazione quando si vogliono denigrare misure che non vanno nell’ottica del libero mercato. In realtà, si tratta di misure che servono a proteggere le proprie aziende dalla concorrenza sleale e quindi i propri lavoratori. Argentina, e Venezuela in particolare, comprendono che la crisi finanziaria in atto può sconvolgere anche la vita delle nazioni sudamericane. La protezione delle proprie aziende, come la nazionalizzazione dei fondi pensione, di aziende strategiche che operano nei settori di pubblica utilità, dai trasporti all’energia, resta l’unico baluardo di fronte alla tempesta della spazzatura finanziaria che si staglia all’orizzonte.
In alcune nazioni sudamericane si è dunque più consapevoli che è necessario garantire il benessere dei popoli, piuttosto che ricorrere al salvataggio dei banchieri responsabili della crisi, così come sta avvenendo in Europa e negli Stati Uniti. Recentemente un gruppo di economisti ed esponenti di governo del cosiddetto Terzo Mondo, provenienti da diciassette nazioni differenti (Venezuela, Ecuador, Cina, Corea del Sud, ecc.) si è riunito a Caracas dall’8 all’11 ottobre e ha chiesto che i governi riprendano il controllo dei rispettivi sistemi di banca nazionale, attuino misure d’emergenza per assicurare la sovranità energetica e alimentare e considerino di sospendere i pagamenti del debito pubblico. Misure all’avanguardia che nulla hanno a che vedere con la globalizzazione dei mercati.